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“Le cose migliori”: un romanzo che racconta la storia della generazione dei trentenni

C’è una generazione che ha imparato a cadere e rialzarsi.

Ginocchia sfregiate dall’asfalto e curate con l’alito delle mamme e delle nonne, soffiato a spazzar via dolore.

 

C’è una generazione che ha imparato che non si vince sempre.

La bandiera dell’Italia ancora in mano quando, ai Mondiali del 1990 (noi c’eravamo!), l’Argentina vinse ai rigori.

 

C’è una generazione che ha imparato che si è troppo giovani o troppo vecchi.

Il curriculum in duplice versione, con le specializzazioni conseguite omesse, per non risultare troppo qualificati.

 

C’è una generazione che ha imparato che non ci si può fidare ma lo si fa lo stesso, nonostante tutto.

Un figlio messo al mondo dopo i trent’anni, da mantenere con un lavoro precario, tenendo la valigia pronta per espatriare.

 

Erano figli negli anni ’80, sono genitori oggi, anche senza avere una prole.

Padri e Madri di nuove generazioni, alberi dalle radici possenti, che affondano in un passato denso di ideali, e dai rami sguarniti protesi verso l’alto, che anelano nuovi valori.

 

«Quel sogno che comincia da bambino 

e che ti porta sempre più lontano 

non è una favola…».

 

Valeria Pecora, nel suo romanzo “Le cose migliori”, edito da Lettere Animate nel 2015, ci racconta la vita di Irene, una donna della generazione over 30, attraversata dal senso di colpa per una madre affetta, giovanissima, dal morbo di Parkinson eppur capace, anche lei come una Dea, di ripartorirsi e partorire, facendo sempre seguire un’alba luminosa e colorata a notti di pianto, notti scure e non più “magiche inseguendo un goal”.

Una storia intensa, animata da un arcobaleno di personaggi con la quale la protagonista tenta di ricreare la solidità di una famiglia: un bambino autistico che assume il ruolo di figlio; uomini fragili che assumono il ruolo di mariti; vecchi saggi che assumono il ruolo nonni, quali portavoce di una memoria lontana nell’eco della quale trovare la soluzione al presente.

 

«E il mondo in una giostra di colori 

e il vento accarezza le bandiere 

arriva un brivido e ti trascina via 

e sciogli in un abbraccio la follia».

 

Lo stile dell’autrice è un susseguirsi di anacoluti, metafore e similitudini: un periodare a tratti incerto, che rievoca il parlato, anche con l’uso di espressioni gergal e dialettali, e, al contempo, si farcisce di citazioni attinte dal mondo del mito e si interroga sull’etimologia dei lemmi di origine latina.

 

C’è una generazione che ha voglia di raccontarsi, perché le cose migliori non sono solo quelle trascorse, ma soprattutto quelle da costruire. Passo dopo passo.

 

«e negli occhi tuoi 

voglia di vincere… ».

Emma Fenu

 

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