“La vita facile” che ha vinto i Goodreads Choice Award 2025

9 Dicembre 2025

"La vita facile" ha vinto i Goodreads Choice Awards 2025 con la sua critica profonda. Scopri di più in questo articolo dove analizziamo il libro edito e/o.

"La vita facile" che ha vinto i Goodreads Choice Award 2025

Una piscina azzurra, lettini, champagne, vestiti griffati: questo è il centro del mondo che dobbiamo immaginare, mentre il resto del mondo al di là della recinzione brucia. Dentro, invece, ogni gesto è filmato, monetizzato, giudicato da milioni di spettatori.

Da qui inizia “La vita facile” di Aisling Rawle, un romanzo uscito in Italia per edizioni e/o, dietro il cui titolo ammiccante si nasconde l’esordio di una giovane autrice irlandese, ex libraia e oggi insegnante a Dublino, che ha dichiarato di voler scrivere una “dark satire of reality television”.

In originale il libro si intitola in origine “The Compound” (e prima ancora era noto come “Easy Living”), ed è già diventato un piccolo caso internazionale: BBC Radio 2 Book Club pick, scelto dal “Good Morning America” Book Clube – nella sua edizione italiana – vincitore del Goodreads Choice Award 2025 per la fantascienza.

Non sorprende che in copertina campeggi la fascetta “Crea dipendenza come le migliori serie TV ma con tutto lo spessore di un grande classico”, firmata Oprah Daily: La vita facile è proprio questo, un romanzo da binge-reading che però ti lascia addosso un leggero malessere, come dopo aver guardato troppa TV “trash” sapendo di essere parte del problema.

Di cosa parla “La vita facile”

Lily e il risveglio nel deserto

La protagonista è Lily, ventenne annoiata e un po’ frivola, commessa nel reparto cosmetici di un grande magazzino. La incontriamo nel momento in cui si sveglia in una grande casa semi-abbandonata in mezzo al deserto: è il complesso dove vivrà per mesi come concorrente di un reality show. Insieme a lei ci sono altre nove ragazze; più avanti arriveranno dieci uomini, a piedi, se sopravvivranno al tragitto.

Il format è una specie di ibrido fra dating show, survival e Grande Fratello, come nota bene Francesca Crescentini sul blog Tegamini: un po’ gioco delle coppie, un po’ esperimento sociale, un po’ tiro alla fune con l’apocalisse.

Il gioco, i premi, il mondo fuori

Le regole sono semplici e crudeli. I concorrenti devono superare prove sempre più umilianti o pericolose per ottenere ricompense di lusso – champagne, vestiti, gioielli – oppure beni essenziali: una porta, cibo, acqua.

Intorno, il deserto è punteggiato da incendi lontani; la società esterna è in pieno collasso climatico, politico, economico. Ma la narrazione rimane quasi sempre chiusa nella bolla del complesso abitativo: vediamo il mondo solo attraverso i racconti dei concorrenti e le poche notizie che filtrano dalla produzione. L’orrore rimane fuori campo, come succede quando scrolliamo il feed e passiamo da una guerra a un reel di make-up.

Le prove si fanno via via più disturbanti – Kirkus cita sfide come “bandisci un altro concorrente” o “sputa nel letto del tuo partner”. Il cibo scarseggia, le alleanze cambiano, i sentimenti veri e finti si intrecciano. E Lily, che all’inizio sembra passiva e un po’ superficiale, si trova costretta a prendere posizione: fino a dove è disposta a spingersi pur di restare nella villa mentre fuori il mondo affonda?

Satira del capitalismo dell’immagine

Il reality come macchina del desiderio

Rawle usa la struttura del reality per parlare di capitalismo, consumismo e onnipotenza degli oggetti. Ogni prova del gioco ha al centro un premio materiale: non si compete per la sopravvivenza in sé, ma per la possibilità di vivere “meglio” degli altri dentro la stessa catastrofe.

Le ricompense sono sempre presentate in modo ipnotico – la borsa firmata, la vasca idromassaggio, la cena privata – come se fossero l’unico orizzonte possibile. È una distorsione volutamente estrema di quello che facciamo tutti i giorni: lavorare, esibirci, competere per possedere qualcosa che ci distingua, anche se il fondo del sistema è lo stesso per tutti.

Il romanzo mostra come il desiderio venga gamificato: ogni scelta è una mossa strategica, ogni gesto un contenuto. Non a caso Rawle ha dichiarato che l’ispirazione le è arrivata guardando Love Island, affascinata e inquietata insieme dal modo in cui il programma mette in scena la politica di genere, il voyeurismo e la trasformazione degli appuntamenti in un gioco a punti.

Corpi, consenso, performance

In questo contesto i corpi diventano contemporaneamente merce e arma. I concorrenti devono piacere al pubblico, sedurre gli altri, mostrarsi desiderabili ma anche competitivi. La linea fra intimità e strategia si fa sempre più sottile.

Il New Yorker ha letto nel romanzo una critica alla “auto-oggettificazione” e al modo in cui il lavoro contemporaneo chiede costantemente di performare autenticità. Non basta essere belli: bisogna essere “relatable”, commoventi, scandalosi al punto giusto. La verità non interessa più di tanto, ciò che conta è ciò che funziona bene in clip.

Rawle insiste molto su questo punto: i personaggi si sorprendono a chiedersi se stiano provando davvero qualcosa o se lo stiano semplicemente interpretando meglio degli altri. L’amore, la gelosia, la rabbia esitano sempre un istante prima di esplodere, come se dovessero controllare se la telecamera è in posizione.

Metafore e simboli: il deserto, la piscina, la casa

Il deserto come fuori campo del disastro

Il deserto che circonda il luogo è un personaggio a sé. Non è solo un paesaggio suggestivo: è il promemoria costante del collasso del mondo esterno. Dagli articoli internazionali emerge chiaramente che Rawle colloca la storia in una “near future dystopia”, in cui crisi climatica e instabilità politica hanno reso la vita fuori sempre più invivibile.

Il fatto che i concorrenti desiderino disperatamente rimanere nell’area del reality, pur sapendo che le prove sono degradanti e pericolose, è già una metafora potente: meglio una prigione lussuosa che un futuro senza garanzie. È l’eco delle tante scelte reali in cui accettiamo condizioni di lavoro tossiche o dipendenze social per paura del vuoto fuori dallo schermo.

La piscina come miraggio

In copertina, sia nell’edizione originale sia in quella italiana, spicca la piscina azzurra con i gonfiabili gialli. È l’immagine perfetta di quella “easy life” promessa dal titolo: acqua fresca, relax, tramonto dorato alle spalle.

Nel romanzo la piscina è anche il luogo in cui Lily riflette, si isola, a volte telefona alla madre, come ricorda una recensione che sottolinea la forza emotiva di queste scene. È un miraggio di normalità che però galleggia letteralmente nel mezzo del nulla. Tutto è studiato per essere instagrammabile, ma basta allargare l’inquadratura perché il paradiso si trasformi in una zattera.

Il complesso come prigione trasparente

Il complesso del reality, poi, è una metafora trasparente della nostra vita iper-connessa. È circondato da muri e telecamere: chi è dentro non può uscire, chi è fuori può solo guardare. L’ambiguità del termine inglese – che richiama tanto le basi militari quanto le gated community di lusso – è significativa.

Edizioni e/o, nella scheda italiana, parla di un romanzo che, con la stessa carica ipnotica dei social, “svela il senso di alienazione al cuore di una società governata dall’apparenza e dal possesso, in cui ogni rapporto umano rischia di trasformarsi in un gioco a somma zero”.

È esattamente quello che succede nel complesso abitativo: ogni legame è un investimento, ogni gesto gentile può diventare una minaccia, perché qualcuno dovrà pur essere eliminato.

Una protagonista scomoda (e molto più complessa di quanto sembra)

Uno degli aspetti più interessanti del romanzo è la scelta di una protagonista dichiaratamente “non speciale”. Lily non è l’eroina carismatica che ci aspetteremmo: Kirkus sottolinea come Rawle la tratteggi deliberatamente passiva, un po’ superficiale, decisa più a evitare i conflitti che a guidare la narrazione.

Questa scelta rischiosa funziona, perché costringe chi legge a fare i conti con una verità spiacevole: la maggior parte di noi assomiglia più a Lily che al protagonista idealista di tanti romanzi distopici. Non siamo Katniss che guida la rivolta; siamo quelli che cercano di sopravvivere senza farsi notare troppo, sperando di cavarsela meglio degli altri.

Lily passa da commessa di cosmetici – un lavoro in cui il corpo e l’immagine sono già al centro – a concorrente di un gioco in cui la sua principale risorsa è, di nuovo, la capacità di apparire. Il passaggio è quasi naturale: il capitalismo dell’immagine sa trasformare senza strappi i ruoli della nostra vita quotidiana.

Nel corso del romanzo, però, Lily cambia. I rapporti con le altre ragazze, con i concorrenti maschi che arrivano più tardi, con la madre lontana, la costringono a riconoscere il prezzo delle sue scelte. Non c’è una redenzione clamorosa, nessuna “eroina improvvisata”: c’è un lento, ambiguo risveglio morale, fatto di tentennamenti, ripensamenti, piccoli atti di coraggio e codardia mescolati.

Un romanzo da divorare in poche sere

Una scrittura ipnotica e molto visiva

Nelle edizioni internazionali, critici e autori parlano spesso di “The Compound” come di un libro “gripping and propulsive”, più avvincente della stessa TV che mette in scena, come nota Torrey Peters. Louise O’Neill lo definisce “Lord of the Flies meets Love Island: dark, thrilling and delightfully twisted”, mentre Cecelia Ahern lo consiglia come “il libro dell’estate, dieci su dieci”.

La prosa di Rawle è molto cinematografica: scene brevi, tagli netti, dialoghi serrati. L’effetto è quello di seguire le puntate di una stagione, con cliffhanger sottili che non ti fanno mai appoggiare del tutto il libro.

La scheda di edizioni e/o insiste sulla “carica ipnotica delle immagini che scorrono sui nostri social”. È proprio così: mentre leggiamo, abbiamo la sensazione di essere davanti a un feed che non possiamo smettere di aggiornare, anche quando le notizie che arrivano ci inquietano.

Il punto di vista come gabbia

La scelta di restare quasi sempre dentro la testa di Lily, con pochissime aperture al di fuori, accentua l’effetto claustrofobico. Non sappiamo mai davvero quanto la produzione stia manipolando gli eventi, quali siano gli indici di gradimento, come il pubblico stia reagendo. Siamo confinati esattamente come i concorrenti, costretti a interpretare indizi e confessionali.

Questa limitazione del punto di vista è una delle mosse più intelligenti del romanzo: il lettore è trattato come uno spettatore-giocatore, complice ma anche impotente. Non possiamo intervenire, possiamo solo giudicare – proprio come facciamo con i reality, seduti sul divano.

Accoglienza e premi: dal Book Club al Goodreads Choice Award

Da quando è uscito in inglese, il romanzo di Rawle ha raccolto un numero impressionante di lettori: su Goodreads l’opera, nelle varie edizioni, viaggia intorno a una media di poco superiore alle 3,5 stelle su quasi 70.000 rating e oltre 13.000 recensioni – numeri enormi per un esordio.

È stato selezionato come BBC Radio 2 Book Club pick, con una campagna che lo presenta come un libro “twisted” e perfetto per chi cerca una lettura estiva con sostanza. Negli Stati Uniti è stato scelto dal “Good Morning America” Book Club come titolo di luglio 2025, sottolineandone la capacità di far discutere di politica di genere, voyeurismo e gamification dei rapporti affettivi.

Sul fronte della critica più “alta”, il New Yorker lo ha inserito nella rubrica Briefly Noted, definendolo un romanzo che usa l’ambientazione da reality per interrogare il confine fra autenticità e performance. The Times lo ha inserito fra le nuove letture da spiaggia, parlando di una Love Island minacciosa e di una satira del culto dei social.

In Italia, le prime recensioni si muovono nella stessa direzione. Su SoloLibri il romanzo viene letto come una “perfetta denuncia” del capitalismo e della sete di onnipotenza legata agli oggetti. Il blog Tegamini insiste sul lato ludico, sottolineando quanto sia divertente seguire le dinamiche da “reality assoluto” pur percependone la cupezza di fondo.

Infine, il riconoscimento forse più significativo per un libro così fortemente pop: la vittoria ai Goodreads Choice Awards 2025 nella categoria fantascienza, votata direttamente dai lettori di tutto il mondo. È un segnale chiaro: La vita facile parla il linguaggio del mainstream, ma lo fa per smontarlo dall’interno.

Cosa vuole dirci davvero

La vita facile

In mezzo a tutto questo rumore – premi, fascette, definizioni ad effetto – che cosa resta?

Restano alcune domande molto concrete:

  • Che cosa siamo disposti a barattare per un po’ di comfort, di visibilità, di sicurezza?
  • Quanta parte della nostra identità è costruita pensando a come verrà percepita da uno sguardo esterno?
  • Quanto ci sembra “normale” guardare la sofferenza altrui come intrattenimento, purché ben montato?

Il romanzo non offre risposte pacificanti. Non c’è un grande discorso finale che rimette a posto il mondo; non c’è una rivoluzione che spegne le telecamere. C’è piuttosto l’impressione, pagina dopo pagina, che il reality di Rawle sia meno lontano dalla nostra vita quotidiana di quanto vorremmo ammettere.

Edizioni e/o parla di un libro che mostra il rischio di trasformare ogni rapporto umano in “un gioco a somma zero”. È forse questa la frase-chiave per leggerlo: nel complesso vince chi riesce a restare, ma a che prezzo? E nel nostro piccolo, quante volte pensiamo agli altri solo in termini di alleati, concorrenti, follower, numeri?

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