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La storia di Agar, l’eterna seconda

Frequentai le lezioni di catechismo in un edificio antico e solenne che, un tempo, era stato un orfanotrofio. I corridoi, attraversati da suore, dispensavano odore di bucato al profumo di marsiglia e di minestra sempre sul fuoco...

Frequentai le lezioni di catechismo in un edificio antico e solenne che, un tempo, era stato un orfanotrofio. I corridoi, attraversati da suore, dispensavano odore di bucato al profumo di marsiglia e di minestra sempre sul fuoco.

Ricordo la storia miracolosa del ventre di Sara, che custodisce e partorisce la vita di Isacco, e il braccio di Abramo levato sul figlio, fermato, nell’ultimo istante, dall’angelo, prima che la morte spezzasse troppi cuori. E ricordo la figura di Agar, che finisce per ricoprirsi della sabbia dell’oblio fra le pagine della Bibbia, traboccanti di altre donne e di altri destini.

  

Eppure Agar, molti anni più tardi, sovente è emersa dai miei carteggi di studio, sedendosi al mio fianco, in attesa di essere ascoltata, fino a svelarsi in me in tutta la sua complessità di Donna, fra le pagine del libro di Maria Pace, intitolato con il suo nome ed edito nel 2015 con America Star Books.

Il romanzo storico, con un linguaggio studiato, ma scorrevole, e una dovizia di espressioni che lo rendono una macchina del tempo, ci racconta la vita di una creatura destinata ad essere eterna seconda.

 

Nata a Tebe lo stesso giorno dell’erede al trono, da una principessa secondaria, sposa del faraone, la piccola Agar, il cui nome significa “gioia”, cresce nel gineceo, respirando il profumo di unguenti, miele cotto, petali di loto e gelsomino. Una prigione aurea, per una creatura che ha sete di conoscenza e di indipendenza e che agogna le armi e le navi da guerra più dei belletti e del talamo.

Figlia ed erede di grandi Dee, in lei convergono i poteri e i saperi di Iside, Neith, Sekmet e, soprattutto, Hathor, la Madre Universale, nel santuario della quale la protagonista diverrà, giorno dopo giorno, donna.

 

Saranno le rotondità del suo corpo a segnarne la sorte, la quale la porterà in Palestina, poiché concessa in sposa al principe dei Mitanni, in seguito ad un accordo diplomatico stipulato fra quest’ultimo, ossia Abramo, e il Faraone.

Ma, malgrado le intese, in realtà la prima moglie è Sarai: bella, affabulatrice e sterile, che non farà mai scordare ad Agar il ruolo a cui è da sempre destinata, quello di seconda.

Consumando le suole di sughero dei suoi sandali e regalando un colorito dorato alla sua pelle, prima delicata, la giovane principessa tebana affronta il lungo viaggio in carovana verso la valle di Gerar, fino a Mambre, assistendo al progressivo divenire realtà dell’ambizioso progetto di Abramo: riunire in un solo popolo, genti diverse, nell’appellativo impronunciabile di un unico Nume senza volto.

 

Sotto il giogo del Dio degli eserciti e delle tempeste, che è solo maschio, Agar sceglie di rinnegare il suo nome, per scegliere quello di Mara, in quanto è gonfio di amarezza il suo cuore, simile ad un Nilo nutrito dalle lacrime di Iside.

Gli eventi noti si succedono: Ismaele, frutto del seme di Abramo e dell’utero di Agar, viene partorito sulle ginocchia di Sarai, ma la nascita di Isacco lo renderà secondo, sulle orme di sua madre, fino ad essere entrambi esiliati nel deserto e salvati, miracolosamente, da morte certa.

Chi diventerà Ismaele, figura tutt’oggi tanto discussa? Non è dato sapere.

Maria Pace racconta la storia taciuta di Agar, attraverso il suo prisma di donna, e la interrompe nel suo rientro fra le mura di Tebe.

Una seconda volta, laddove tutto ebbe inizio, un giorno lontano, dal ventre di una principessa siriana.

 

“Ero finalmente a casa. I ricordi non mi pesavano più, né le amarezze mi ferivano. I rancori non ribollivano più dentro di me e le inquietudini si erano placate.

Ero a casa ed assaporavo il profumo della terra rossa che avanzava ad ogni colpo di remo e la carezza del vento caldo e secco”.

  

Emma Fenu

 

21 giugno 2015
 
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