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”La Selva Oscura”, il libro che ha reso accessibile a tutti l’Inferno di Dante, la più grande opera della letteratura italiana

Bisogna essere grati a Francesco Fioretti per aver scritto “La selva oscura. Il grande romanzo dell’Inferno”. I motivi sono vari: il più immediato, aver reso accessibile a tutti la più grande opera della letteratura italiana, togliendo “il velame de li versi strani”...

Bisogna essere grati a Francesco Fioretti per aver scritto “La selva oscura. Il grande romanzo dell’Inferno”. I motivi sono vari: il più immediato, aver reso accessibile a tutti la più grande opera della letteratura italiana, togliendo “il velame de li versi strani” e rendendo la lingua di Dante semplice, ma mai banale. Senza la difficoltà della lingua antica, non si rischia più di occupare tutto il tempo della lettura nel decifrare sintassi e significati, allegorie e figure retoriche, ma ci si può concentrare sulle immagini, potentissime, dell’Inferno. Forse siamo diventati tutti lettori un po’ pigri, ma cogliere immediatamente, a colpo d’occhio, la distesa del Flegetonte, le mura della città di Dite, il fango in cui si sciolgono, letteralmente, le anime dei dannati, ci offre una gratificazione estetica immediata. Quando invece dobbiamo sforzarci a decodificare il testo antico, la nostra mente si perde sulle –bellissime- parole e dimentica di “vedere”.

 

E nella civiltà dell’immagine, “vedere” è più soddisfacente che “ascoltare”. Il secondo motivo è l’aver inserito spiegazioni dei passi più oscuri e notizie biografiche dei personaggi nominati, ma soprattutto non averlo fatto col tono di un professore che spiega Dante a scuola: l’esegesi del testo è perfettamente inserita nel racconto, in forma sintetica, chiara, direi anche “leggera” (nel senso in cui Calvino usa questa parola), una naturale e necessaria estensione del testo dantesco, nello stesso stile piano e discorsivo delle parti narrative. E queste estensioni ci fanno riflettere. Ecco il terzo, e più importante, motivo per cui leggere questo libro non è inutile, neppure a chi conosce la Divina Commedia “a memoria” e non avrebbe nessun bisogno di farsela raccontare da Fioretti: nei momenti in cui la sensibilità odierna fatica ad accettare la mentalità medioevale, Fioretti ci accompagna alla sua comprensione e, insieme, ci suggerisce che cambiando i tempi cambia la nostra percezione del peccato, ma che c’è qualcosa di immutabile nella natura umana che va al di là delle mutazioni della Storia. Ecco l’attualizzazione, non banale ma profonda, del peccato “contro la natura”: una pioggia di fuoco brucia le anime dei sodomiti, ma “oggi […] in quella terra dei fuochi vorremmo incontrare piuttosto i responsabili dei grandi disastri ambientali, i forsennati diboscatori, i trafficanti di scorie radioattive, le ecomafie…”.

 

Oppure, quando Filippo Argenti e gli altri iracondi sono costretti a sguazzare nel fango e ad esserne travolti, dopo avere travolto, in vita, vite e carriere altrui a causa della loro arroganza e brama di potere, Fioretti ci riporta al presente con la frase: “Così vide la macchina del fango travolgere se stessa”. La terra dei fuochi, la macchina del fango: espressioni che ci sono familiari, quasi luoghi comuni, che ci evocano immediatamente scenari geografici, sociali, politici. Allegorie che Fioretti, come Dante, usa sia in senso fisico (la landa infuocata dei peccatori contro la natura, il fiume di fango degli arroganti) ma che subito, come se noi fossimo i lettori di un novello Dante, riusciamo a cogliere nel loro significato “altro”: i rifiuti bruciati dalla camorra, i cui affiliati peccano contro la natura molto più di chi ama senza procreare, gli scandali creati ad arte per distruggere gli avversari scomodi, i politici onesti, le persone perbene che impediscono il malaffare e perciò vanno tolte di mezzo con i metodi più sporchi. Tutto questo conferma una volta di più che Francesco Fioretti non è un lettore occasionale di Dante, ma che ha assorbito e fatto propria la sua visione profondamente etica del mondo –depurata degli elementi “accidentali” legati al suo tempo- fino  a poter riscrivere l’opera principale del Sommo Poeta facendone non una semplice parafrasi, ma un’opera letteraria firmata Francesco Fioretti.

 

Marta Orazi

 
5 febbraio 2015

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