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La scrittura di Simona Lo Iacono, in bilico fra letteratura e diritto, che rincorre il mistero dell’esistenza

Simona Lo Iacono, classe 1970, siracusana, magistrato, scrive non solo provvedimenti giurisdizionali ma anche narrativa e con buon successo. Molti i premi ricevuti da quando scrive racconti e romanzi...

Simona Lo Iacono, classe 1970, siracusana, magistrato, scrive non solo provvedimenti giurisdizionali ma anche narrativa e con buon successo. Molti i premi ricevuti da quando scrive racconti e romanzi: ricordiamo, fra gli altri, il premio Vittorini opera prima per il romanzo d’esordio, “Tu non dici parole” (Perrone, 2008), il premio Più a Sud di Tunisi per il racconto lungo scritto a quattro mani con Massimo Maugeri, “La coda di pesce che inseguiva l’amore” (Sampognaro & Pupi, 2010), il premio Ninfa Galatea per il romanzo “Stasera Anna dorme presto” (Cavallo di Ferro, 2011), il premio Martoglio per il romanzo “Effatà” (Cavallo di Ferro, 2013). Cura la rubrica “Letteratura è diritto, letteratura è vita” sul blog “Letteratitudine” di Massimo Maugeri.

 

Ciao, Simona, eccoci di nuovo a chiacchierare di scrittura, di libri. Stavolta salto le domande rompighiaccio sulla nascita della tua vocazione letteraria e le altre che spesso si fanno a un autore con cui non si ha confidenza, per passare subito a sollecitarti su un tema che ti sta a cuore, quello del rapporto tra diritto e letteratura. Nel romanzo “Stasera Anna dorme presto”−  una storia di amore e tradimenti a quattro voci − va in scena un vero e proprio processo. Ciascuno dei protagonisti racconta la sua personale verità, in un gioco di rimandi interessantissimo, che conquista il lettore. E questo è in fondo ciò che accade in ogni processo: le parti esprimono, attraverso i difensori, la propria visione dei fatti oggetto di controversia, il giudice deve stabilire ragioni e torti districando quel groviglio di dati di fatto e argomentazioni in cui spesso orientarsi verso la verità è impresa ardua. Insomma, per te “letteratura è diritto, letteratura è vita”, come titola la rubrica che curi su “Letteratitudine”. Però il linguaggio giuridico e quello letterario, che quotidianamente adoperi, sono diversi. Ma si influenzano a vicenda? E se sì, in che modo?

Lia cara, innanzi tutto grazie per l’attenzione che stai dedicando al mio percorso letterario. Un percorso che per me è anche una vocazione antichissima, nata probabilmente insieme alla mia anima. Gli studi giuridici sono venuti dopo, e così pure il servizio che presto in magistratura. E questo ha certamente avuto un’incidenza sulla parola, che è affiorata in modo lirico e poi, col tempo, si è asciugata, anche per il lungo esercizio sui codici e sulla stesura dei provvedimenti giudiziari.  Tuttavia non c’è mai una scissione completa, e la scrittura attinge sia dalla vita che dal processo. Diciamo che è un animaletto intuitivo, che si adatta alle circostanze e prende da ciò che gli torna utile, adattandosi, modellandosi, ingegnandosi a rincorrere il mistero dell’esistenza. Quindi accade spesso che la mia narrativa abbia struttura normativa e che le mie sentenze siano sorrette da un sentimento poetico, perché le due dimensioni stemperano gli eccessi sia della lingua che della legge. In definitiva sono molto grata alla mia ‘doppia vita’ che mi consente (nonostante la grande fatica) di essere ferma ma pietosa, sia con i miei personaggi che con i cittadini che vengono a reclamare giustizia.

 

Il femminile ha un ruolo centrale nelle storie che tu narri. Ma anche i tuoi personaggi maschili hanno grande spessore. Ti capita di affezionarti in modo particolare a un personaggio, di sentirlo particolarmente vivo, presente? Ce n’è uno (o più d’uno) che ti ha ossessionato, che ti ha quasi imposto di raccontare la sua storia?

Amo tutti i miei personaggi, e in tutti c’è una parte di me e anche il contrario di me, un frammento di affermazione e uno di negazione, un po’ di vita e un po’ di morte. Dunque mi affeziono a tutti i miei personaggi, anzi, posso dire che sono i miei compagni di vita, che mi seguono nelle mille faccende quotidiane, mi parlano, mi ascoltano e mi reclamano. Un po’ tutti mi hanno imposto la loro esistenza, ma uno in particolare mi ha davvero ‘rapita’, Nino Smith, il piccolo protagonista sordomuto del mio ultimo romanzo, ‘Effatà’. Nino mi si è svelato in sogno, è venuto ad abitare nel mio cuore, ha sovrapposto la sua vocina (tutta pensata, mormorata, silenziosa, dato che è sordomuto) alla mia. Pur non avendo mai avuto alcuna esperienza con i portatori di questo handicap, ho fatto mie le loro mancanze, ho intuito la realtà con i loro occhi, e l’ho filtrata con i loro sensi. Quando ho presentato il romanzo qui a Siracusa per la prima volta e ho invitato l’ENS (l’ente nazionale sordomuti), mi sono trovata a mio agio in modo miracoloso e straordinario con tutti gli associati, sordi dalla nascita o per malattie contratte nella primissima infanzia. Credo quindi che la letteratura abbia poteri di immedesimazione e di materializzazione molto più forti di quanto possiamo pensare, e che tutti i personaggi di fantasia abbiano anche un’esistenza concreta, un destino vitale. Ci ossessionano proprio per questo, perché vogliono vedere la luce, nascere, essere raccontati.

 

Tanti magistrati tra gli scrittori, non può essere un caso. Quale affinità tra questa professione e la scrittura può spiegare questo fenomeno?

Credo che accada perché sia il processo che il romanzo cercano la verità. Hanno anche  una straordinaria affinità nei mezzi di ricerca. Una prova per testi,ad esempio, cos’è se non il racconto di un evento, di un fatto, filtrato, inoltre, anche dalla sensibilità di chi depone? E la confessione, non è forse la recita di un ‘io’ narrante? E persino un testamento, come atto di ultima volontà, che spesso il magistrato si trova a interpretare e a valutare, non somiglia alle memorie di cui lasciamo traccia nel romanzo? Il processo narra la realtà, proprio come fa il romanzo. Solo che il giudice deve rigorosamente catalogare le prove e sussumerle sotto il dato normativo, emettere un verdetto necessariamente fotografante una verità processuale. Invece il romanzo può raccogliere le briciole che il processo lascia cadere, dar voce alle emozioni, alle paure, alle bugie. Ma se integriamo narrazione processuale e narrazione romanzesca, ecco che avremo innanzi la VITA, la vita in tutte le sue sfaccettature, umili, pietose, arroganti, fedeli e traditrici. La vita nella sua completezza, nella sua miseria, nella sua incredibile capacità di trasformazione.

 

A giudicare dal ritmo delle tue pubblicazioni, si direbbe che ti dedichi con costanza alla scrittura. È così? Quando inizi a scrivere un libro ti concentri su di esso o ti capita di mettere momentaneamente da parte un progetto letterario, magari perché un’altra storia chiede con più urgenza di essere raccontata, e poi di tornarci dopo tempo?

Scrivo sempre, ogni giorno, anche pochissime righe, pur di non perdere il contatto con la mia dimensione interiore. Non è solo per ragioni scritturali, per dare compattezza alla storia o per scandire dei tempi. Scrivo perché sono assetata, perché ho sempre una nostalgia da consolare. Quindi in genere scrivo un romanzo per volta, anche se capita spesso che durante la stesura altre voci vengano a turbarmi, altri destini a sovrapporsi. Prendo nota, aspetto, chiedo alle ombre un po’ di pazienza.

 

A cosa stai lavorando adesso?

Ho completato un romanzo storico tratto da una vicenda vera. La storia di una ragazza del 1848 (Lucia Salvo ‘a siracusana) scambiata per folle ma in realtà solo affetta da una grave forma di epilessia. Pur nascendo e resuscitando mille volte a causa del suo morbo (oscuro ai più e scambiato per una forma di follia) Lucia è lucidissima, pietosa, intelligente. Sarà la chiave del successo dei moti rivoluzionari del 1848 a Palermo, si muoverà tra le segrete dello Steri e le vicende di due feroci famiglie nobiliari, incrocerà la storia e ne farà parte. Sarà sopraffatta dalla arroganza  dei potenti, ma griderà comunque  al mondo, e attraverso l’umiltà del suo destino svelerà che le vicende umane non  sono rette solo  dalle furfanterie. Al di sotto delle loro braci si muovono destini piccolissimi ma coraggiosi, tenaci, e sostenuti da esigenze morali. Destini che la cronaca dimentica e che è compito del romanzo riesumare, consegnare all’attenzione del tempo.

Grazie per il tuo tempo e per le tue risposte.

Grazie a te e alla tua cura nei miei riguardi, cara Lia.

Rosalia Messina

17 maggio 2014
 
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