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La mia Africa. Sulle tracce di Karen Blixen

Fu un caso. O forse no. Talvolta agiamo governati da ricordi sopiti, seguendo, inconsapevolmente, tracce appena percettibili, in bilico fra la memoria e il sogno...

Fu un caso.  

O forse no.

Talvolta agiamo governati da ricordi sopiti, seguendo, inconsapevolmente, tracce appena percettibili, in bilico fra la memoria e il sogno.

Con la gota destra appoggiata al finestrino, distinguevo solo nero d’ebano fra me e l’infinito.

Ricordai distintamente l’incipit solo verso le due mattino, seduta sull’aereo che, da Istanbul, mi conduceva a Mombasa.

In Africa avevo una fattoria ai piedi degli altipiani del Ngong…”: le parole riemergevano dalla mente, passando per il cuore e arrestandosi sulle labbra, in soffi senza suono.

Anche io, proprio come Karen Blixen, l’autrice del celeberrimo romanzo “La mia Africa”, percorrevo l’itinerario che, dalla Danimarca, conduce fino ai luoghi nel libro sapientemente descritti: i dintorni di Nairobi, le distese di Tsavo e Amboseli, il monte Kilimangiaro.

 

“… si respirava bene, si sorbiva coraggio di vita e leggerezza di cuore. Ci si svegliava, la mattina, sugli altipiani, e si pensava: “Eccomi qui, questo è il mio posto”.

 

Anche io ho compiuto un “safari”, ossia un viaggio, in lingua swahili: ho sentito il ruggire fiero del leone nella notte intrisa di stelle; ho seguito, con occhi estasiati, i movimenti delle giraffe, ombre scure stagliate sul rosso del tramonto; ho ammirato la maestosità degli elefanti dalla pelle ricoperta di terra rossa; ho respirato la nuvola di polvere che segue il passaggio di branchi di zebre e impala; ho atteso per ore di scorgere il manto del leopardo e manciate di secondi per trovarmi faccia a faccia con un macaco incuriosito.

Anche io ho vissuto la mia Africa. Ho scorto quel cielo strabiliante “solcato da nubi maestose, senza peso, in continuo mutamento, erte come torri”.

Non ho assaporato, come Karen Blixen, il profumo intenso delle piantagioni di caffè, non ho trascorso in Kenya un ventennio, non ho interagito con gli autoctoni fino a comprenderne appieno la filosofia di vita.

Eppure, anche io ho percepito la magia dei luoghi; ho sentito gli infiniti “Jambo” urlati da bimbi in corsa dietro la mia jeep; ho scrutato, silente, l’intensità dei volti degli anziani; ho risposto a disarmanti sorrisi come uno specchio. Tutto ciò, ora, è ricordo indelebile racchiuso nelle pagine della mia storia.

 

L’aria, in Africa, ha un significato ignoto in Europa: piena di apparizioni e miraggi, è, in un certo senso, il vero palcoscenico di ogni evento”.

 

Emma Fenu

 

6 febbraio 2015

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