Un romanzo che intreccia i suoi fili tra i vivi e le anime dei defunti
Iride Dessì vive da anni lontano da Padria e quando torna è per il funerale del padre. Non ricorda più quel posto e neppure che, tra la notte di Ognissanti e il due novembre, le tavole sarde vengono apparecchiate per accogliere i defunti.
Ma nella villa dei Dessì, ricchi possidenti terrieri, tutto è rimasto com’era: un luogo stratificato di memorie, rumori notturni, fotografie che si aprono come portali. Una in particolare, con due giovani donne di un secolo fa, avvia la discesa nel tempo: la storia di Mimì Oppes, trisavola di Iride, legata a un matrimonio imposto con Augusto Dessì, ma attratta dall’amore proibito per Emanuele Manca, brigante leggendario, e dall’amicizia con Elisabeth Hope, un’inglese indipendente e “fuori dai canoni”.
Sardegna, luogo reale e mitico
Il romanzo sceglie Padria e la regione del Meilogu non come ambientazione esotica, ma come tessuto vivo di relazioni, archeologia e riti. Maria Laura Berlinguer lo racconta come un paesaggio morale, con pietre che ricordano, case che parlano, piazze dove la memoria circola con i venti di maestrale.
Non è un caso che, attorno alla storia d’amore impossibile, risuonino i rituali dei defunti di cui abbiamo già accennato, con le loro tovaglie merlettate e i piatti delle feste: questa è una tradizione che ancora oggi, in varianti locali, resiste come pratica di ospitalità ai morti — il titolo, “La cena delle anime”, la evoca esplicitamente, trasformandola in chiave poetica del libro.
L’autrice porta sulla pagina una Sardegna ottocentesca colta e inquieta — attraversata da banditismo, modernità in arrivo, rigidi codici familiari — senza rinunciare al respiro del presente: l’isola come confine fra visibile e invisibile, dove “la vita e la morte camminano ancora fianco a fianco”.
Due storie su due binari
Il congegno romanzesco è un doppio binario: la ricostruzione dell’antica vicenda tra Mimì, Elisabeth ed Emanuele, e il presente di Iride, che rilegge la propria infanzia assieme al suo senso di senso di sradicamento.
Le due storie si specchiano: l’emancipazione di ieri — le scelte di Mimì e l’amicizia radicale con Elisabeth — riformula la libertà di oggi — Iride che decide come abitare la propria eredità.
Figliol prodigo?
Il libro affronta il tema del ritorno, ma non lo fa seguendo il modello del “figliol prodigo”: tornare, per Iride, non è nostalgia; lei non assume il ruolo dell’“erede obbediente”, ma si cuce addosso l’abito della “forestiera” nella sua stessa terra per verificare quali legami meritino di restare e quali di essere recisi una volta per tutte.
La scrittura: realismo con venature d’incanto
Berlinguer alterna capitoli brevi e passaggi più distesi, tenendo la lingua sul crinale tra realismo e incanto: un “realismo magico sardo” che non tradisce il vero con il fantastico, ma lo accende. Le scene notturne nella villa Dessì, i sussurri lasciati nelle stanze, la fotografia che apre un varco: tutto concorre a una lettura sensoriale e profondamente emotiva, senza eccessi gotici. È una prosa che cerca la misura, e per questo arriva nitida.
L’autrice: un esordio che viene da lontano
Maria Laura Berlinguer è sarda di nascita e romana d’adozione. Dopo una lunga esperienza nella comunicazione, ha lasciato il “posto sicuro” per creare un blog/ piattaforma dedicata al Made in Italy e all’identità sarda, diventandone ambasciatrice.
“La cena delle anime” è il suo esordio nel romanzo “largo”: un debutto che porta con sé anni di ascolto dei territori e racconto delle eccellenze artigiane, ora tradotti in personaggi e storie.
Risonanze e prime letture
Nelle anteprime editoriali e nelle prime uscite giornalistiche, il libro è stato raccontato come un romanzo familiare/mystery che restituisce una Sardegna misteriosa e luminosa; una storia alla “Cime tempestose” per l’intreccio di passioni e clan, ma radicata in riti e paesaggi tutto sardi. Unione Sarda ne sottolinea il taglio ottocentesco e il “segreto lungo” che chiede voce; varie testate e radio ne segnalano il setting nel Meilogu e la forza simbolica della fotografia che innesca la trama.