Jordan Harper come Shakespeare in “L’ultimo re di California”

19 Ottobre 2025

Il romanzo di Harper porta nel deserto californiano un Amleto armato e disperato. Un noir feroce e umano che riscrive la tragedia del potere e della colpa.

Jordan Harper come Shakespeare in "L'ultimo re di California"

Jordan Harper dialoga apertamente con Shakespeare nel suo nuovo romanzo edito Neri Pozza. Un figlio sfidato dall’ombra paterna, un regno ridotto a carcassa morale, un mondo che finisce nell’odore di bruciato: “L’ultimo re di California”.

Il romanzo si apre nel nulla californiano, tra carovane, strade dritte e aria rovente. Luke Crosswhite, diciannove anni, scappa da una stanza senza finestre, abbandona libri e pentole, e torna verso casa; ma “casa” non è un rifugio: è Devore, una città fantasma dominata dal Combine, la gang che comanda tutto — droga, armi, giuramenti.

Il padre di Luke, Big Bobby, ne è il capo, il “re” del titolo. Un uomo enorme, carismatico e spietato, che ha trasformato il sangue in legge e la violenza in linguaggio.

Luke torna per ragioni confuse — vendetta, identità, amore — ma finisce nel vortice: una faida tra bande, un padre che pretende la fedeltà e un mondo dove il potere si misura in cicatrici.

Un ragazzo, un padre, un deserto che brucia

Harper costruisce un romanzo di padri e figli, ma anche di territori corrotti, in cui la California è letteralmente in fiamme. Ogni incendio nel libro — e ce ne sono molti — ha due facce: quella del disastro ambientale e quella del crollo morale: la natura brucia, ma anche l’anima.

Un noir che guarda “Amleto”

Molti critici americani hanno letto “L’ultimo re di California” come una tragedia shakespeariana travestita da crime.

Luke è un Amleto contemporaneo: un figlio che torna in un regno devastato, cerca giustizia, ma trova solo sangue.

Big Bobby è il padre-re che detta la legge, anche dal carcere. Il deserto è l’Elsinore del XXI secolo: un luogo dove non esistono più regole, solo clan, polvere e memoria.

Il libro non è però una semplice riscrittura: è una riflessione sulla lealtà, sull’eredità del male e su cosa significhi sopravvivere al proprio destino.

Il motto del Combine, “Il sangue è amore”, è l’idea che Harper vuole distruggere: la violenza non è amore, e la famiglia non è salvezza.

Harper scrive con la rabbia di un reporter e la pietà di un figlio

Jordan Harper viene dal giornalismo e dalla sceneggiatura televisiva (The Shield, Gotham). La sua prosa è visiva, asciutta, piena di nervi: ogni frase è un colpo, ogni dialogo pesa. Ma dentro questa violenza Harper inserisce qualcosa di raro nel noir: una tenerezza senza sentimentalismo.

Il risultato è un romanzo che non feticizza la crudeltà: la analizza.

Quando Harper descrive un omicidio o un incendio, lo fa per mostrare la fame di appartenenza che spinge i personaggi, non per compiacerla.

In questo senso “L’ultimo re di California” è meno un romanzo “di genere” e più un romanzo morale: un libro sul desiderio di cambiare il proprio destino quando tutto ti ha insegnato che non puoi.

Cosa dice la critica estera

Le recensioni americane sono state entusiastiche e hanno contribuito a consolidare la reputazione di Harper come uno dei grandi nomi del noir contemporaneo:

  • Kirkus Reviews lo ha definito “un romanzo violento e straziante, eppure pieno di speranza”, lodando il modo in cui Harper “infonde umanità ai suoi personaggi immersi nella spietatezza del mondo”. (“Un romanzo che sanguina e respira, dove perfino i mostri conservano un battito d’umanità.”)
  • Publishers Weekly ha scritto che Harper “intreccia motivi mitici e trope hardboiled”, fondendo Shakespeare e Don Winslow, costruendo “una California apocalittica dove la legge è solo un’eco”.
  • Crime Fiction Lover ha parlato di “scrittura esplosiva e compassione sotto la cenere”, notando come Harper “eviti il nichilismo e scelga la redenzione”.
  • Bookreporter ha descritto il libro come “un ritratto implacabile del crimine organizzato e dei legami familiari pronti a implodere”.

Tutti concordano su un punto: Harper non giudica, ma illumina il buio. Non c’è eroismo, solo la possibilità di scegliere di non ripetere il male.

Chi è Jordan Harper

Nato nel Missouri, Harper è una delle voci più originali della nuova scuola americana del noir. Con il romanzo d’esordio “She Rides Shotgun” (2017) ha vinto l’Edgar Award, il massimo riconoscimento del genere, e conquistato lettori come Megan Abbott e S.A. Cosby.

È uno scrittore “geologico”: scava nelle fratture morali dell’America e mostra cosa succede quando il sogno si disintegra.

Vive a Los Angeles, dove ambienta quasi tutte le sue storie, e considera L’ultimo re di California il suo libro più “personale e politico insieme”.

Un’America in fiamme

Al di là della trama, “L’ultimo re di California” è un romanzo sul collasso di un Paese: la California che brucia nel libro è quella reale delle ultime estati — fatta di deserti, polizia corrotta, povertà mascherata da libertà.

Ogni incendio è una metafora del capitalismo americano, un sistema che promette il paradiso ma consegna solo ceneri.

Nessuno ne “L’ultimo re di California” si salva completamente, ma tutti — anche i più perduti — hanno il diritto di provarci. È questo che rende il romanzo umano: un racconto di peccati ereditati, ma anche della possibilità di rifiutare l’eredità.

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