Irina Odoevceva e il romanzo scandalo “Isotta”

7 Ottobre 2025

copri il romanzo scandalo “Isotta” di Irina Odoevceva, un’opera che affronta temi provocatori e controversi nel panorama letterario.

Irina Odoevceva e il romanzo scandalo “Isotta” il romanzo dello scandalo

C’è un romanzo che, nel 1929, fece tremare i salotti raffinati dell’emigrazione russa a Parigi. Non era firmato da Nabokov né da Gorkij, ma da una donna affilata come una lama e invisibile come un’ombra: Irina Odoevceva, poetessa e narratrice enigmatica, moglie del poeta acmeista Georgij Ivanov e protagonista silenziosa della scena letteraria in esilio.

Il romanzo si intitolava “Isotta” (in originale Изольда), e fu immediatamente tacciato di immoralità, ambiguità, e “troppe verità”. La storia ruotava attorno a Liza, un’adolescente quattordicenne dalla bellezza conturbante, e alla sua cerchia di giovani perduti tra le onde della gioventù émigrée. Un romanzo che osava guardare nell’abisso senza chiudere gli occhi, che metteva al centro desideri inconfessabili, disgregazione familiare e noia esistenziale, con una prosa tersa, quasi fredda. Era una bomba. E Odoevceva ne fu perfettamente consapevole.

“Isotta”, Irina Odoevceva e il suo scandaloso romanzo

Irina Odoevceva non fu solo una scrittrice dell’esilio, ma una vera outsider, capace di smascherare la finzione sociale e letteraria che avvolgeva la sua generazione. Con Isotta raccontò una giovinezza smarrita, una femminilità inquieta e un mondo sull’orlo della dissoluzione. E lo fece con una voce talmente limpida da risultare insopportabile. Oggi il suo nome ritorna, sussurrato tra le pagine ritrovate, come quello di una “Isotta” che ha sfidato il mito per raccontare la verità.

Chi era Irina Odoevceva?

Nata come Iraida Heinike a Riga, nel 1895 (o forse nel 1901), Irina Vladimirovna Odoevceva scelse da sé il proprio nome d’arte: significa letteralmente “Irene delle odi”, e già questo dice molto del modo in cui si auto-rappresentava. Figlia di un avvocato tedesco del Baltico, si formò nel cuore culturale dell’Impero russo: Pietrogrado, dove fu allieva del grande poeta Nikolaj Gumilëv, maestro dell’acmeismo, movimento che aspirava a una poesia concreta, visiva, nitida, contrapposta alle fumosità simboliste.

Nel 1921 sposò un altro poeta acmeista, Georgij Ivanov, e l’anno dopo fuggirono a Parigi, come molti intellettuali russi in fuga dalla Rivoluzione. A Parigi, Odoevceva frequentò l’ambiente dell’emigrazione, scrisse romanzi, poesie, e, molti anni dopo, le due autobiografie che le valsero un tardivo successo di pubblico: “Sulle rive della Neva” e “Sulle rive della Senna”. Ma fu nel 1929 che pubblicò la sua opera più audace: “Isotta”. Un libro che raccontava la gioventù come un veleno lento.

 “Isotta”: un mito medievale in abito da sera

Il titolo rimanda chiaramente alla leggenda arturiana di Tristano e Isotta, amanti destinati alla tragedia, consumati da un amore impossibile. Ma la Isotta di Irina Odoevceva non è un’eroina cavalleresca: è una quattordicenne moderna, sospesa tra infanzia e desiderio, schiacciata tra i giochi di potere di fratelli, amanti e figure genitoriali evanescenti.

Il romanzo racconta la storia di Liza, adolescente bellissima e manipolata dal fratello Nikolaj, una figura mefistofelica che governa le sorti della famiglia e dei sentimenti. Intorno a lei gravitano Andrej, suo innamorato autodistruttivo, e Cromwell, un giovane inglese dallo sguardo puro e maldestro.

Tutti ruotano attorno a Liza come falene attorno alla fiamma. La scena è quella di Biarritz, luogo di esilio dorato e decadenza, dove i figli dell’élite russa perdono sé stessi tra alcol, feste, depressione e desideri irrisolti. Un mondo in cui “l’infanzia è stata negata”, in cui i personaggi cercano di anestetizzare l’esilio con una vita “folle, divertente e spudorata”. Fino al punto di rottura.

Lo stile, asciutto e moderno, richiama più la letteratura francese ed europea che il pathos russo dell’epoca. Ed è proprio questa scelta linguistica, fredda e tagliente, a rendere il romanzo tanto urticante e spiazzante per l’epoca.

Perché “Isotta” fece scandalo?

Quando Isotta apparve nel 1929, fu subito ostracizzato dagli ambienti conservatori russi in esilio. Le critiche si concentravano su tre aspetti:La scrittura “troppo europea”: la prosa limpida e spoglia fu giudicata fredda, quasi amorale. Mancava della “sofferenza slava” e della densità simbolica a cui erano abituati.

Le allusioni sessuali: Odoevceva osava raccontare il desiderio femminile adolescenziale e lo faceva da un punto di vista interno, con empatia, senza moralismi.

La rappresentazione della gioventù émigrée: l’“élite bianca” russa non voleva vedersi riflessa in una generazione dissoluta, disperata, priva di orizzonti. Scrivere dell’amore, della manipolazione, dell’erotismo femminile e dell’apatia in una cornice così non russa, con il ritmo quasi cinematografico di una nouvelle française, significava mettere in discussione l’identità stessa della diaspora. E chi lo faceva era una donna.

Una donna oltre il tempo

Oggi “Isotta” è un romanzo di culto, amato da chi riscopre le scrittrici dimenticate del Novecento, rivalutato per la sua audacia stilistica e per l’inquietudine modernista che lo attraversa. Irina Odoevceva fu una pioniera: raccontò il desiderio femminile prima di Colette, la noia adolescenziale prima di Françoise Sagan, l’ambiguità relazionale prima di Marguerite Duras.

La sua figura letteraria anticipa molte delle questioni che oggi definiremmo femminismo esistenziale, e lo fa attraverso un romanzo che è al tempo stesso delicato e morboso, affascinante e scomodo. Dopo il ritorno in URSS nel 1987, Odoevceva vendette oltre 200.000 copie delle sue memorie

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