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Investimenti in Cultura, Italia fanalino di coda in Europa

“La cultura è tradizionalmente un asse strategico nelle dichiarazioni degli amministratori politici ma è al tempo stesso il primo oggetto di taglio di risorse in tutte le fasi di restrizione della finanza pubblica”. Si conclude così il rapporto...

Italia ultima della classe in Europa per quanto riguarda gli investimenti in cultura e arte. Questa l’impietosa conclusione di un’accurata analisi delle spese in cultura nel periodo 2000-2011 condotta dal Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica della Presidenza del Consiglio

MILANO – “La cultura è tradizionalmente un asse strategico nelle dichiarazioni degli amministratori politici  ma è al tempo stesso il primo oggetto di taglio di risorse in tutte le fasi di restrizione della finanza pubblica”. Si conclude così il rapporto che analizza le spese in cultura nel periodo 2000-2011, condotto dal Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica della Presidenza del Consiglio. Il rapporto verrà presentato nel corso del Convegno “L’Italia secondo i conti pubblici territoriali (Cpt). I flussi finanziari pubblici nel settore Cultura e servizi ricreativi”, in programma domani a Roma dalle 9 nella Sala polifunzionale del Consiglio dei Ministri. Oggi su Repubblica Salvatore Settis da alcune anticipazioni realtive al rapporto.

I NUMERI – Ecco alcuni numeri che sintetizzano la poca attenzione per la cultura in Italia. Nel Bel Paese fino al 2009 si spendeva in cultura lo 0,9% del Pil, nel 2011 lo 0,6%. Ciò ha portato l’Italia a finire all’ultimo posto fra i 27 Paesi dell’Unione. Il 2012 conferma questo dato terrificante. In Europa l’Italia evidenzia il più alto disinvestimento nel decennio (-33,3%), più del doppio rispetto alla Grecia (-14,3%). Altri Paesi come Olanda, Ungheria e Danimarca si investe l’1,5% del Pil, mentre tutti gli altri Paesi oscillano tra l’1 e l’1,5%. Numeri incresciosi, paradossali se pensiamo che in Italia si concentrano il maggior numero di beni artistici e culturali dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, ben 49!

LA PARTECIPAZIONE DI FAMIGLIE E CITTADINI – La situazione cambia poco se si analizza quanto le famiglie spendono in attività culturali. La spesa arriva al 7,2%, nettamente inferiore rispetto alla media europea (8,9%). Secondo dati del 2013, l’Italia è in fondo alla classifica per livello di partecipazione dei cittadini nelle attività culturali: 8%, un dato imbarazzante se confrontato con Svezia (43%), Danimarca (36%), Olanda (34%).

DIFFERENZE NORD-SUD – La contrazione della spesa nel settore cultura è stato più pesante che in qualsiasi altro, ma si è distribuita nelle diverse aree in maniera non uniforme, con eccezioni positive in Val d’Aosta, Friuli, Lazio e Sardegna e disinvestimenti rilevanti al Sud. I numeri evidenziano come il settore per svilupparsi necessiti di un’offerta pubblica in grado di stimolare la domanda, e ciò soprattutto nei territori caratterizzati da un grado inferiore di sviluppo sociale ed economico.

IL RUOLO DEI PRIVATI – Nel rapporto che verrà presentato domani, viene sottolineato come Fondazioni e privati possano dare il loro contributo per  “Un ulteriore fattore di differenziazione territoriale – scrive il rapporto – è il ruolo assunto dalle Imprese Pubbliche Territoriali”, a cominciare dalle fondazioni: il loro peso è fortemente cresciuto nel decennio, nell’ambito del calo della spesa pubblica e di una maggiore articolazione della governance”, ma con una forte concentrazione nel Centro-Nord e scarso beneficio per il Sud. L’integrazione tra risorse pubbliche e private può essere una via per recuperare terreno in Europa e soprattutto dar valore all’immenso patrimonio artistico italiano. Un possibile incentivo il tal senso è il recente Art bonus varato dal ministro Franceschini.

28 maggio 2014
 
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