Ci troviamo ancora nei giorni freddi dell’anno, e mentre il clima si fa più rigido non possiamo non pensare a quei libri famosi per le loro ambientazioni innevate, dove l’inverno fa da padrone.
4 libri ambientati in inverno
Scopriamoli insieme.
“Una passeggiata d’inverno” di Henry David Thoreau
Questo libro ha il passo di chi esce di casa per “fare due passi” e finisce per attraversare un’idea: l’inverno come lente, come disciplina dello sguardo. “Una passeggiata d’inverno” mette insieme due movimenti complementari: il primo è un inno alla stagione fredda, alla sua purezza quasi ascetica, a quella quiete che sembra cancellare il superfluo e lasciare solo linee essenziali.
La neve, in Thoreau, non è una decorazione: è un modo di leggere il mondo. E, quando la camminata finisce, resta la sensazione fisica e mentale del ritorno: il calore della casa come intimità riconquistata, come premio sobrio dopo il bianco.
Poi c’è “Camminare”, che allarga il discorso e lo rende quasi manifesto: camminare come immersione totale nella natura, come recupero dell’“essenza selvaggia” dell’uomo, come contro-movimento rispetto a una civiltà che prosciuga energia spirituale e immaginazione.
Qui Thoreau alterna osservazioni puntuali e divagazioni filosofiche con un ritmo che somiglia a quello del respiro: passo, pensiero, passo. Il desiderio che attraversa queste pagine è netto: tornare a integrarsi nel paesaggio, sentirsi parte del bosco e della stagione, e in quel contatto ritrovare un modo diverso di conoscersi.
In questa edizione, la traduzione di Tommaso Pincio e le illustrazioni in bianco e nero di Rocco Lombardi aggiungono materia: il libro diventa oggetto d’inverno, da tenere vicino quando fuori il mondo si fa più lento e, proprio per questo, più leggibile.
“Soldato d’inverno” di Daniel Mason
Nel gelo dell’Ungheria del 1915, un giovane medico, Lucius Krzelewski, abbandona la disciplina monastica dei suoi studi per immergersi nella brutalità della guerra. Viene mandato in una valle che sembra tagliata fuori dal mondo, dove una chiesa di tronchi diventa ospedale da campo e la fede si confonde con la febbre. Tra il tifo, i feriti e la neve che non smette di cadere, l’unica figura stabile è suor Margarete: fragile come un miracolo, forte come la colpa.
Una notte, un contadino porta con sé un soldato sconosciuto, avvolto in un mantello di pecora, in stato di shock. Nei suoi disegni – uomini, cavalli, mostri, montagne – si nasconde il trauma della guerra e la domanda che ossessiona Lucius: quanto costa conoscere la verità, e cosa resta di umano dopo averla vista?
Romanzo di febbre e redenzione, “Soldato d’inverno” attraversa la carne e la neve dell’Europa devastata, trasformando la compassione in una forma di resistenza.
“Natale al femminile. Racconti sotto l’albero” a cura di Eleonora Carantini
L’antologia raccoglie diciotto racconti di autrici inglesi e americane – dalla fine dell’Ottocento al nuovo millennio – che attraversano (e spesso sabotano) la tradizione delle Christmas stories. All’inizio si respira ancora l’aria “classica”: strade innevate, camini, buoni sentimenti. Ma basta poco perché la superficie inizi a incrinarsi. Dorothy Parker già nel 1916 graffia l’idea stessa di racconto natalizio, con un’ironia che sembra una spilla infilata nella guancia del rito: fa ridere, e subito dopo fa pensare a cosa si nasconde dietro quel ridere.
Poi arrivano storie in cui il Natale mette a fuoco conflitti sociali ed etnici (Willa Cather, Eudora Welty), drammi della Storia, famiglie che esplodono e famiglie che si riconoscono per la prima volta, povertà, rifugi, solitudini urbane. E quando si entra nel nuovo millennio, il tono diventa più disincantato, persino dissacrante: come se la festa, invece di chiudere le ferite, decidesse di mostrarle.
La domanda finale resta sospesa come l’ultima nota di un carillon: dove porta questa nuova melodia? E soprattutto: può esistere un Natale che non sia solo un coro, ma anche un controcanto?
“La porta delle stelle” di Ingvild Rishøi
Un libro che mette al centro Ronja, dieci anni, che vive a Tøyen, periferia di Oslo, con il padre e la sorella maggiore Melissa, diciassettenne. Ronja è piccola, esile, ma ha un umorismo svelto e una lingua pronta: soprattutto, possiede quella convinzione testarda che le cose possano sempre aggiustarsi, anche quando i segnali intorno dicono il contrario. A scuola si prende cura di uno scoiattolo nel cortile, e a casa si aggrappa ai gesti minimi che sanno ancora di protezione: quando il papà le accarezza i capelli e la chiama “Maccheronia”, Ronja sente che esiste un luogo caldo dove tornare.
Il problema è che quel calore è instabile. Il padre è un uomo dolce e sognatore, ma anche uno che sbandera tra i pub del quartiere, perde un lavoro dopo l’altro e “dimentica” di pagare le bollette. Le figlie conoscono bene il prezzo di queste dimenticanze: quando l’inverno si fa più buio, la loro vita rischia di scivolare in una zona dove non basta voler bene per tenersi insieme.
Eppure Ronja continua a cercare appigli concreti. Gli trova un impiego come venditore di alberi di Natale: un lavoro stagionale, certo, ma per lei è un varco. Significa tornare a sperare che, almeno quest’anno, ci sarà un abete in casa con i regali sotto e, magari, alla recita di Santa Lucia qualcuno applaudirà davvero il padre, come se il mondo potesse riconoscerli senza pietà.
Ma Ronja sa anche un’altra cosa, imparata troppo presto: niente dura per sempre, e quando le cose “si rimettono male” bisogna muoversi in fretta, perché l’intervento dei servizi sociali incombe come una fine definitiva per una famiglia scombinata ma piena d’amore. Nel gelo, però, entra in scena la gentilezza degli estranei: i passanti, un anziano vicino di casa, un uomo misterioso che regala un abete bellissimo.
Ronja sogna una baita dove stare con Melissa davanti al fuoco mentre il papà spalare la neve: un’immagine che sembra irraggiungibile, eppure il Natale apre uno spiraglio, come se un “miracolo” potesse davvero capitare.
Ne esce una storia che si dichiara favola e insieme cronaca: una fiaba classica che guarda la contemporaneità senza addolcirla, muovendosi tra la cura dell’altro e lo sconforto, tra la luminosità della speranza infantile e la fame che, quando stringe, trasforma chiunque in preda o predatore.
