L’affezione per i libri di Andrea Camilleri e in maggior misura per quelli con Montalbano è rinnovata ad ogni uscita editoriale, è come un immancabile appuntamento al quale tutti gli appassionati non sanno rinunciare. Il legame creatosi tra l’autore e i suoi lettori è una dipendenza ormai basata sulla reciproca fedeltà e a nulla può valere, a volte, la voce dissonante di certa critica pelosa che cova una sotterranea invidia verso chi sfugge ad ogni catalogazione ed è nel cuore dei fedelissimi, a prescindere.
Fatta questa premessa è quasi pleonastico parlare della trama di “Una voce di notte” (Sellerio, 2012) dove, come da codice deontologico di un giallo, in questo caso, è il furto degli incassi di un supermercato in odore di mafia a far scatenare dei delitti e le relative indagini del commissario Montalbano. Per inciso, questo romanzo è stato scritto, annota Camilleri, diversi anni fa. Le avvisaglie funeste dell’età che avanza in Montalbano, le sue ormai proverbiali liti con Livia, le sue reiterate ubbie…insomma il Montalbano d’annata è qui già scolpito e suggellato. Il nostro poliziotto, burbero e per certi versi teatrante, s’impantana in fantasiosi soliloqui, s’interroga sui precipizi dell’età in bilico tra come eravamo e come siamo: prenderne atto è un atto di coraggio e consapevolezza. Se la mente del commissario di Vigàta può perdersi in elucubrazioni senescenti e la sua intensa immaginazione confondersi in oniriche visioni, l’acume investigativo sorveglia le sue intuizioni e le sue mosse strategiche non sempre ortodosse.
Il romanzo, tra virgolette, è l’ennesimo pretesto camilleriano per costruire una storia basata su connivenze malsane tra poteri contrapposti, politica e mafia – “meno politici ci trasivano nella facenna e meglio era. Saribbiro stati capaci di vanificari tutto il travaglio fatto” –, ma con fini allineati. Le mistificazioni e il malaffare di chi dovrebbe far rispettate la legge, i superiori questori… che si muovono con ipocrita cautela, con i piedi di piombo per non calpestarne altri, e demandano le personali responsabilità: è l’eterno gioco perverso di chi vuole millantare una verità fasulla.
Il trittico operativo del commissariato di Vigàta formato da Montalbano, Mimì e Fazio, senza dimenticare l’immarcescibile Catarella, è una riuscita e spesso acuta caratterizzazione di personaggi. Le battute di rimando d’interrogatori quando mai singolari; taluni colpi ad effetto del commissario; il ritmo narrativo lento e raramente scosso da scene d’azione; sono alcuni dei tratti distintivi della narrativa noir di Camilleri.
“Una voce di notte” sembra nel titolo una parodia della canzone napoletana Voce ’e notte, ma allude in modo truffaldino e istrionesco ad un escamotage del commissario per far cadere nella rete il sospetto assassino iniettandogli il veleno corrosivo del ricatto. In questo romanzo le reminescenze letterarie o cinematografiche, i riferimenti ad atmosfere da thriller nel periodo del gangsterismo americano di memoria hollywoodiana intercalano il racconto.
Come si sono espressi già altri lettori, i libri dello scrittore, siciliano doc, presentano un solo difetto: l’appagante lettura di ogni suo romanzo è inficiata dal pavor finis di esso. Si vorrebbe ancora dilazionare le pagine per continuare questo ludico intermezzo letterario.
25 novembre 2012