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”Il giardiniere è sempre un po’ filosofo”, Marco Martella protagonista dell’evento ”Alla ricerca del giardino perduto” di Mantova

Non un semplice spazio dedicato alla cura delle piante, ma un luogo in cui l’individuo può ritrovare se stesso. È questa l'idea di ''giardino'' secondo Jorn de Précy, autore del saggio curato da Marco Martella...

Lo storico dei giardini ricorda a Mantova Jorn de Précy, il suo saggio “E il giardino creò l’uomo” e rende omaggio alla sua filosofia

MANTOVA – Non un semplice spazio dedicato alla cura delle piante, ma un luogo in cui l’individuo può ritrovare se stesso. È questa l’idea di “giardino” secondo Jorn de Précy, autore del saggio curato da Marco Martella. Lo storico sarà protagonista questo pomeriggio al Festivaletteratura di Mantova nel corso dell’incontro "Alla ricerca del giardino perduto". Il giardiniere-filosofo Jorn de Précy, vissuto fra Otto e Novecento, pubblicò “E il giardino creò l’uomo” nel 1912, senza avere fortuna. Recentemente il libro è stato ristampato dalla casa editrice “Ponte alle grazie” e curato da Marco Martella. Fondatore a Parigi  nel 2010 della rivista “Jardins” (Éditions du Sandre), Martella ha ricevuto due prestigiosi riconoscimenti: “Prix Esprit de Jardin” alla manifestazione Lire au Jardin, e “Le Prix littérature” du Prix Redouté.

 

Lei è curatore del libro “E il giardino creò l’uomo” di Jorn de Précy. Qual è la concezione profonda del giardino da parte dell’autore?
Per Jorn de Précy, il giardino non è un semplice spazio dedicato alla cura delle piante o all’orticultura. E’ innanzi tutto un luogo in cui l’individuo può ritrovare se stesso, accedere alla propria umanità. La modernità ha allontanato l’uomo dalla natura, inserendolo in un meccanismo sempre più disumanizzante, isolandolo dal proprio mondo. Per Jorn de Précy, la causa dell’alienazione dell’uomo moderno va cercata nella perdita del rapporto diretto con la natura. Il giardino ci consente tuttavia di recuperare questa innocenza. Ci dà la possibilità di riscoprire la nostra capacità di meravigliarci di fronte ai semplici processi vitali, cioè i cicli di morte e rinascita, all’alternarsi delle stagioni, al mistero della bellezza. Il giardino ci offre soprattutto un tempo più vivibile, basato sui ritmi lenti e fertili della natura, e che è l’esatto contrario del tempo della produzione e del consumo. Il giardino è, in definitiva, un luogo di resistenza alla modernità, uno degli ultimi spazi di libertà alla portata di tutti.

 

Il libro, pubblicato in Inghilterra nel 1912, fino ad oggi era rimasto ignoto fuori dai confini di quel Paese. Come mai?
Anche in Inghilterra ha avuto pochi lettori. Pochi ma appassionati e fedeli, alcuni particolarmente illustri, come il paesaggista Russel Page. Capita che certi libri dal destino singolare non facciano scalpore al momento della pubblicazione, poi continuino la loro vita ai margini, per riemergere molti anni più tardi. E’ il caso del saggio sui giardini di Jorn de Précy. Certo, è strano pensare che un libro scritto nel 1912 sia così anticipatore rispetto alle problematiche attuali – l’ecologia, il rifiuto del modello consumistico, il genius loci ecc. – ed è per questo che alcuni si domandano se Jorn de Précy, questo originale signore vittoriano che viveva recluso nel suo magnifico giardino selvatico di Greystone, sia davvero esistito o se sia un personaggio letterario. Quel che è certo è che avrebbe potuto esistere…

In che senso è possibile parlare di una filosofia e poetica del giardino?
Il giardiniere è sempre un po’ filosofo, anche se in genere non ne è consapevole. Mentre lavora interroga la terra, il mistero della vita. Il giardinaggio è un dialogo ininterrotto, non concettuale né teorico ma sensuale, con il mondo che ci circonda. Questa ricerca filosofica è anche, e forse soprattutto, poetica. Si tratta di poesia e filosofia in azione, che si incarnano cioè in un fare, in un’opera materiale, in un luogo. Questo vale anche, naturalmente, per il visitatore di giardini. Esplorare un luogo di natura, di bellezza, dedicato alla contemplazione oltre che alla produzione, significa sempre esplorare noi stessi, la nostra interiorità e, nello stesso tempo, il mondo che ci circonda. Sono una filosofia e una poetica ben modeste, umili, o, come direbbe de Précy, sporche di terra.

Quali sono i libri che lei consiglia legati alla natura e al verde?
Quest’ultima considerazione sul rapporto tra la nostra interiorità e lo spazio del giardino mi fa pensare al grande filosofo Rosario Assunto. Alcuni suoi scritti, ad esempio quelli riuniti in “Ontologia e teleologia del giardino” (Guerini), sono indispensabili per comprendere la dimensione filosofica del paesaggio. “Giardini. Riflessioni sulla natura umana” di Robert Harrison (Fazi editore) ha contato molto per me. Ho appena finito di leggere “Giardiniere per diletto” (Pendragon), di Lidia Zitara. Ci ho trovato molte idee che Jorn de Précy avrebbe potuto esprimere, in particolare quella di un giardinaggio irregolare, non conforme, indomito.

Perché la natura secondo lei è un settore specifico che non ha raggiunto, almeno in Italia, la stessa pubblicazione di altre letture settoriali, come quelle legate alla cucina?
E’ vero che negli Stati Uniti esiste un vero e proprio settore, quello dei nature writers (come Rick Bass), e sono convinto che si svilupperà presto anche in Europa. Perché stenta ancora a crescere da noi? Credo che ci sia un certo numero di luoghi comuni sulla natura che devono essere rimossi. Per la maggior parte della gente la natura resta una fonte di risorse da sfruttare, se possibile (è la tesi dello “sviluppo sostenibile”) in modo razionale, senza fare sprechi. Tutta la cultura occidentale si è costruita sulla dicotomia: uomo/natura. Ma io credo anche che molti comincino ad avvertire, più o meno confusamente, che questo modello ci ha portato ai piedi di un muro, che la natura ci offre vie d’uscita. Credo che ci sia un’attenzione crescente per ciò che la natura ci offre come alternativa ai modelli culturali, economici e sociali dominanti, e per il giardino come luogo in cui sperimentarli.

8 settembre 2012

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