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I libri dicono basta al femminicidio

Venerdì sera è stato ritrovato in una zona di campagna il corpo carbonizzato di Fabiana Luzzi, ragazzina quindicenne scomparsa da casa a Corigliano Calabro. L'orrore ha assunto tinte ancora più drammaticamente tetre quando il fidanzato della ragazza, 16 anni, ha confessato l'omicidio, dando indicazioni per il rinvenimento del cadavere...

Fabiana Luzzi, la quindicenne di Corigliano Calabro uccisa dal fidanzato coetaneo, è solo l’ennesima vittima di un’inaccettabile violenza nei confronti delle donne che in Italia è una triste e diffusa realtà. Contro il femminicidio occorre una nuova educazione al rispetto, e i libri sono in prima linea in questa battaglia

MILANO – Venerdì sera è stato ritrovato in una zona di campagna il corpo carbonizzato di Fabiana Luzzi, ragazzina quindicenne scomparsa da casa a Corigliano Calabro. L’orrore ha assunto tinte ancora più drammaticamente tetre quando il fidanzato della ragazza, 16 anni, ha confessato l’omicidio, dando indicazioni per il rinvenimento del cadavere. Secondo quanto si è appreso, il ragazzo avrebbe accoltellato Fabiana nel corso di una lite, incapace di sopportare l’idea di essere lasciato, e avrebbe dato fuoco al corpo prima che la ragazza fosse morta.

“La ragazza di Cosenza, così giovane come il ragazzo che l’ha ammazzata, è morta perché era una donna, non per amore né per passione, come spesso viene scritto”. Così si apre la riflessione della scrittrice, sceneggiatrice e regista Cristina Comencini su Repubblica di oggi riguardo a questo ennesimo, terribile episodio di femminicidio. La donna, teoricamente, vede oggi affermato il suo diritto a esprimere i propri sentimenti, a decidere della sua vita, a lasciare anche il proprio uomo. Ma troppo spesso gli uomini non accettano che eserciti questo diritto. Bisogna intervenire legalmente per punire questi reati e prevenirli, bisogna intervenire in primo luogo sulla formazione dei bambini, dei ragazzi, dei futuri uomini, afferma Cristina Comencini, insegnare loro che la donna non è un corpo che possa essere posseduto, che si concede sempre.

È un compito che spetta anche alla letteratura, che in passato ha purtroppo spesso riflettuto una concezione dell’amore quale possesso, ossessione di controllo dell’uomo sulla donna. “Quando dormiva, non dovevo più parlare, sapevo di non essere più guardato da lei, non avevo più bisogno di vivere alla superficie di me stesso. Tenendola sotto il mio sguardo, nelle mie mani, avevo l’impressione di possederla tutt’intera che non avevo quando era sveglia”. Così scriveva Marcel Proust nel sesto volume di “Alla ricerca del tempo perduto”, “La prigioniera”, in cui racconta del rapporto di amore e morbosa gelosia del protagonista Marcel con Albertine. Ed è, questa, un’idea dell’amore che va riscritta.

 

Contro questa concezione della donna come possesso dell’uomo si scaglia il libro di Michela Murgia e Loredana Lipperini, “L’ho uccisa perché l’amavo. Falso!“. Le due autrici vogliono qui dire basta a un certo modo di parlare di femminicido cui la cronaca indulge. Spesso infatti i media danno un’implicita giustificazione del delitto classificandolo come passionale, dovuto a uno scatto d’ira, alla gelosia, da mettere in conto all’amore. Il libro mette in evidenza le trame che si nascondono dietro questi gesti drammatici, evdienziando come la loro origine sia in un modo sbagliato e assurdo di intendere l’amore e il rapporto umo-donna. L’obiettivo è far guardare le cose da un altro punto di vista, dalla propettiva scomoda delle vittime, obbligare ad ascoltare quelle storie che non fa piacere sentire. Agire in direzione di un cambiamento culturale è infatti il miglior modo per prevenire queste violenze.

Tra le più recenti pubblicazioni, c’è anche il libro di Simonetta Agnello-Hornby e Marina Calloni, “Il male che si deve raccontare”, non solo un libro di ricordi, racconti di violenze subite da vittime indifese nella loro stessa casa, ma anche un libro per combattere la violenza domestica, ridurla, cancellarla. Le due autrici espongono un sistema semplice ed efficace per condurre questa lotta, un sistema che coinvolge servizi sociali e sanitari, welfare, scuole. Questo libro rappresenta un passo importante nella battaglia, non solo perché informa – e la conoscenza, si sa, è già di per sé un’arma importantissima – ma anche perché i proventi delle vendite stanno contribuendo alla creazione di Edv (Eliminate Domestic Violence) Italy, filiale italiana dell’associazione contro la violenza domestica creata da Lady Scotland in Gran Bretagna.

Altra lettura consigliata sul tema è il libro di Serena Dandini, “Ferite a morte”, che è anche un progetto teatrale. L’autrice parte qui da storie vere su vittime di femminicidio, e immagina cosa potrebbero raccontare queste donne se fossero ancora vive. Attraverso la scrittura, cerca di ridare loro una voce, di renderle libere almeno da morte, dopo essersi consumate in drammi che si svolgono troppo spesso nel chiuso delle pareti di casa, dopo aver subito le peggiori violenze proprio in quei luoghi in cui avrebbero dovuto sentirsi più sicure, da parte di uomini che dicevano di amarle. E in Italia questa realtà è, purtroppo, ben viva e presente: i numeri lo confermano.

Altro libro-denuncia è stato pubblicato sempre quest’anno da Marsilio, “Questo non è amore. Venti storie raccontano la violenza domestica sulle donne”, scritto dalle autrici del blog del Corriere.it La 27esima ora. Si tratta di un’inchiesta di drammatica attualità su un’emergenza nazionale, di cui gli omicidi rappresentano solo l’epilogo più evidente, dietro ai quali si celano anni do soprusi, abusi, maltrattamenti passati sotto silenzio.

C’è poi il libro di Cinzia Tani, Mia per sempre”. L’autrice racconta qui alcuni tra gli ultimi e più efferati delitti, scavando alle radici del problema nel tentativo di fare giustizia (con l’aiuto di criminologi, psicologi e magistrati) dei tanti luoghi comuni con i quali si tende a mascherare il fatto che le donne devono ancora misurarsi con una violenza di genere che le conquiste sociali non sono riuscite a debellare. Chiamare questi delitti “passionali” o “della gelosia”, frutto di un accesso di rabbia o di un momento di “blackout”, sostiene l’autrice, significa solo cercare alibi per gli assassini.

E a questi assassini alibi non vanno forniti, non ci possono essere giustificazioni. Sono gesti che vanno analizzati, di cui bisogna comprendere le radici profonde, che affondano in una millenaria concezione del rapporto uomo-donna oggi inaccettabile, per poterli eliminare. I libri devono schierarsi in prima linea in questa battaglia, e lo stanno già facendo. Attraverso saggi e inchieste, ma anche attraverso le opere sempre più numerose di autrici di narrativa, che nelle loro storie descrivono il mondo dei sentimenti vissuto dalle donne. Perché la verità sull’amore e sulle relazioni umane può essere solo un racconto scritto a più voci, da tutti i punti di vista. E insegnando a immedesimarsi nell’altro, i libri sono uno strumento potente per aiutare a fermare la violenza.

26 maggio 2013

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