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I 7 romanzi più belli sull’America di provincia

Vivere in campagna può dare l'impressione di vivere alla "periferia della Storia" ma non è così. Ecco 7 romanzi per addentrarsi nell'America di provincia

MILANO – In molti pensano che gli scrittori americani ci abbiano sempre raccontato soltanto l’America delle città, ma non è così. Certo, Paul Auster ci ha parlato di New York, John Fante di Los Angeles, ma sono tantissimi gli autori che hanno parlato della vita di provincia e di campagna, a partire da Walt Whitman e Henry David Thoreau. D’altra parte, come scrive Emily Ruskovich sul “Guardian“, vivere in campagna può dare l’impressione di vivere alla “periferia della Storia” ma, come tante pagine hanno dimostrato, ancora una volta non è così. Ecco 7 romanzi per addentrarsi nell’America della provincia selezionati da Emily Ruskovich.

 

Il dono” di Toni Morrison 

Questo romanzo di Toni Morrison è ambientato alla fine del Seicento, quando il commercio degli schiavi era solo agli inizi e nell’America ancora incontaminata e selvaggia regnavano violenti contrasti religiosi e di classe, pregiudizi e oppressioni. Protagonista della storia è Florens, una ragazzina con “le mani di una schiava e i piedi di una signora portoghese”, sa leggere e scrivere, le piacciono le scarpe dei grandi, ama con trasporto sua madre e vive in una squallida capanna. È figlia di una schiava e forse del padrone, proprietario di una piantagione nel Maryland cattolico. Un giorno nella fattoria giunge Jacob, commerciante e avventuriero angloolandese con una piccola proprietà nell’aspro Nord, che è passato a riscuotere un debito. Il padrone gli offre la schiava, ma in un attimo la made di Florens, che ha colto negli occhi dell’uomo un lampo di bontà, lo convince a prendersi la piccola Florens, nella speranza che possa avere futuro migliore. Così Florens parte. Per tutta la vita cercherà invano di colmare il vuoto dell’abbandono materno con l’amore di altri, ignorando che quell’abbandono è l’incredibile dono di sua madre.

 

Lila” di Marilynne Robinson

Lila viaggia leggera: un vestito, un vecchio coltello arrugginito, e un bagaglio di ricordi e delusioni. Non ha mai avuto altro, Lila, nemmeno un nome, prima che, da bambina, una vecchia di passaggio gliene offrisse uno per pietà. Poi un giorno la misteriosa Doll, sfregiata in volto e nel cuore, diseredata a sua volta, forse una fuorilegge, raccoglie quel fagotto di pelle, ossa e sporcizia, lo avvolge nel suo scialle capiente, e lo porta via da quella casa senza amore. Per loro inizia una vita di vagabondaggio, fra i pericoli della strada sempre più arcigna dopo l’arrivo della Grande Depressione, e l’intimità gioiosa di due anime perse e sole che bastano a loro stesse. Lila cresce al fianco protettivo di Doll, madre e padre per lei, e legge, e religione, fino a che all’improvviso si ritrova sola al mondo, e la strada le mostra un’altra faccia. Quando il suo errare la conduce al villaggio di Gilead, è ormai una randagia incallita e diffidente, malata di solitudine.

 

Il sogno di mia madre” di Alice Munro

Otto storie di donne. Otto racconti magistrali che, come ha scritto Antonia Byatt “contengono elementi del probabile e insieme fratture e disastri. L’interesse di Munro è da sempre rivolto sia al tessuto della “normalità” sia al colpo di forbici che lo taglia di netto… Sono storie di morti violente, di nascite altrettanto violente, e di un solo terrorizzante, aborto”.

 

Furore” di John Steinbeck

Pietra miliare della letteratura americana, Furore è un romanzo mitico, pubblicato negli Stati Uniti nel 1939 e coraggiosamente proposto in Italia da Valentino Bompiani l’anno seguente. Nell’odissea della famiglia Joad sfrattata dalla sua casa e dalla sua terra, in penosa marcia verso la California, lungo la Route 66 come migliaia e migliaia di americani, rivive la trasformazione di un’intera nazione. L’impatto amaro con la terra promessa dove la manodopera è sfruttata e mal pagata, dove ciascuno porta con sé la propria miseria “come un marchio d’infamia”. Al tempo stesso romanzo di viaggio e ritratto epico della lotta dell’uomo contro l’ingiustizia, Furore è forse il più americano dei classici americani.

 

Mentre morivo” di William Faulkner

Un viaggio folle su un barroccio sgangherato, tra inondazioni e fienili in fiamme, sotto i cerchi sempre più stretti degli avvoltoi che accompagnano speranzosi il grottesco funerale di Addie Bundren. Attorno alla bara, ingobbiti nei loro truci destini, assorti ciascuno nel proprio segreto, il marito e i cinque figli. Faulkner scrive questo suo quinto romanzo in sei settimane: è l’estate del 1929, ha trentadue anni, lavora di notte come operaio in una centrale elettrica e ha appena pubblicato una delle sue opere più alte e composite, “L’urlo e il furore“. E “Mentre morivo” è un nuovo, ancor più vertiginoso azzardo, poiché in esso Faulkner riesce a ordire una rara, tetra polifonia di voci monologanti, nella quale riconosciamo il suono di un’America primordiale e sino allora muta.

 

Ciao, a domani” di William Maxwell

I protagonisti del romanzo sono due ragazzi silenziosi, compagni di giochi, sfortunati bersagli della sorte: a uno muore prematuramente la madre, l’altro ha il peso di un padre omicida. Una sera si lasciano con il solito arrivederci, ma il destino li allontana uno dall’altro. Si incontrano per caso solo due anni dopo, ma passano oltre, senza un saluto.

 

LaRose” di Louise Erdrich

Nella riserva di indiani ojibwe serpeggiano i timori per l’approssimarsi della fine del secondo millennio. Le famiglie di due sorelle si preparano ai festeggiamenti natalizi. Tutto sembra andare normalmente, a parte le paure ossessive del bug che tormentano Peter, uno dei due capifamiglia, quando una tragedia ben più reale della prevista fine del mondo si abbatte sulla riserva: un giorno, andando a caccia di un cervo di cui ha seguito le tracce per tutta l’estate, il cognato di Peter, Landreaux, vede finalmente sbucare da un bosco la sua preda, spara, e quando si avvicina scopre di aver ucciso non l’animale ma Dusty, suo nipote. Potente e toccante, “LaRose” è la storia di due famiglie straziate dal dolore, e della capacità morale della comunità ojibwe di trasformare questo sentimento.

 

 

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