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Giuseppe Culicchia, ”Quello che mi interessa è scrivere con i miei libri un ritratto antropologico degli Italiani”

Giuseppe Culicchia, torinese di origini siciliane, scrive romanzi e traduce in italiano opere letterarie scritte in lingua inglese...

Giuseppe Culicchia, torinese di origini siciliane, scrive romanzi e traduce in italiano opere letterarie scritte in lingua inglese.

 

Giuseppe, vorrei iniziare questa chiacchierata chiedendole prima di tutto del suo lavoro di traduttore. Un mestiere spesso misconosciuto, eppure − per quel poco che ne so − delicato e creativo. Lei ha tradotto opere importanti della narrativa angloamericana, vuol parlare della sua esperienza, anche con riguardo alla genesi della sua vocazione letteraria?

Ho un grande rispetto della professione di traduttore, si tratta di un lavoro difficile, faticoso, poco riconosciuto e mal pagato, eppure in Italia leggiamo tantissime traduzioni di libri stranieri! La mia esperienza è stata senza dubbio fortunata: mi è stato chiesto di tradurre dopo che avevo pubblicato diversi romanzi, e ho potuto scegliere che cosa tradurre, il che normalmente non accade. Credo che non ci sia modo per entrare più a fondo in un libro e che si tratti di un’esperienza allo stesso tempo interessantissima e frustrante, nel senso che per quanti sforzi si facciano non si riuscirà mai a rendere come si vorrebbe l’originale.

 

Letteratura e società, un binomio inscindibile. Lo scrittore registra la realtà e la trasfigura. Che ruolo ha per lei lo scrittore nella società?

Io credo di essere un narratore e cerco di fare al meglio il mio lavoro, che è raccontare storie. Poi le storie vivono nella testa di chi le legge, e non so che cosa accada loro. Spero che le mie servano a porsi delle domande. Quello che mi interessa è scrivere con i miei libri un ritratto antropologico degli Italiani. Riuscirci è un altro paio di maniche, naturalmente.

 

Chi scrive di solito legge molto. Quali sono le sue preferenze di lettore?

Da ragazzo ma anche più tardi ho amato alla follia gli americani, Hemingway, Fitzgerald, Bukowski, Carver. Poi li ho traditi con amori altrettanto forti: Thomas Bernhard, Knut Hamsun, Alfred Doblin. E poi i grandi russi, Tolstoj e Dostoevskij. E tipi poco raccomandabili, come Irvine Welsh o Michel Houellebecq.

 

L’esperienza della trasposizione cinematografica di una propria opera dev’essere emotivamente molto coinvolgente. Cosa ha provato quanto Tutti giù per terra è diventato anche un film (diretto da Davide Ferrario)? Ha riconosciuto la storia, i personaggi, oppure ha avvertito un disorientamento, una distanza fra le immagini e la parola scritta?

Disorientamento totale, ma era un buon film, anche se oggi credo sia un po’ datato.

 

Una domanda sulle radici siciliane all’autore di Sicilia o cara. Un viaggio sentimentale (Feltrinelli, 2010) si impone. Come si vive in bilico tra la piemontesità materna e la sicilianità paterna?

Si vive col privilegio di poter guardare alla Sicilia e al Piemonte da punti di vista ibridi, con una distanza che chi è tutto siciliano o tutto piemontese non ha. Detto questo, sono nato in Piemonte ma spero di finire i miei giorni in Sicilia. Non subito.

 

A cosa sta lavorando, adesso?

A un romanzo!

 

Grazie, Giuseppe, per il suo tempo e le sue risposte.

 

Rosalia Messina

 

2 maggio 2015
 
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