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Giuseppe Ayala, ”Nel mio libro spiego come la mafia sia un problema politico”

Il biennio tra 1992 e 1994 ha rappresentato un passaggio epocale per la storia del nostro Paese: dalle stragi mafiose alla fine della Prima Repubblica, sono tanti i dettagli che stridono nella ricostruzione di questo periodo. ''Troppe coincidenze'', ecco come le definisce Giuseppe Ayala, magistrato e uomo politico italiano, nel suo libro così intitolato, dove l'autore conduce un'analisi ragionata degli eventi di quegli anni e ci spiega come è cambiato l'agire della mafia oggi rispetto ad allora...

Il magistrato ed ex parlamentare italiano ripercorre gli anni delle stragi mafiose e ricostruisce i rapporti tra Cosa Nostra e alcuni pezzi della politica

MILANO – Il biennio tra 1992 e 1994 ha rappresentato un passaggio epocale per la storia del nostro Paese: dalle stragi mafiose alla fine della Prima Repubblica, sono tanti i dettagli che stridono nella ricostruzione di questo periodo. “Troppe coincidenze”, ecco come le definisce Giuseppe Ayala, magistrato e uomo politico italiano, nel suo libro così intitolato, dove l’autore conduce un’analisi ragionata degli eventi di quegli anni e spiega com’è cambiato l’agire della mafia oggi rispetto ad allora.

LE STRAGI – Ospite nei giorni scorsi alla libreria Feltrinelli di piazza Piemonte a Milano, Ayala ha ripercorso sinteticamente gli avvenimenti che si sono susseguiti dal ’92 a partire dall’esecuzione, il 12 marzo, di Salvatore Lima, deputato democristiano leader della corrente andreottiana. Il gennaio precedente la Cassazione aveva confermato 19 ergastoli sentenziati nel maxi processo di Palermo contro importanti boss mafiosi. Afferma l’autore che Lima, coinvolto con Cosa Nostra, morì come punizione per non essere riuscito, mettendo in campo il potere di Andreotti, ad aggiustare il processo in Cassazione. Seguono il 23 maggio la strage di Capaci, in cui perdono la vita Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta, e il 19 luglio quella di via d’Amelio, a Palermo, in cui viene ucciso Paolo Borsellino.

LA FINE DELLA PRIMA REPUBBLICA – Nel frattempo sta accadendo qualcosa di molto importante nel mondo politico: tangentopoli, le dimissioni nel 1993 del governo di Giuliano Amato, l’ultimo della Prima Repubblica, il governo  tecnico di transizione di Carlo Azeglio Ciampi. Sono tutti segni di indebolimento del potere politico, cui la mafia crede di poter far corrispondere un rafforzamento del proprio “potere contrattuale”: durante il governo Ciampi, Cosa Nostra compie tre attentati, a Milano in via Palestro, a Firenze e a Roma. “Il messaggio è chiaro: noi possiamo ammazzare chiunque e dovunque”, commenta Ayala. L’ultima strage è organizzata per domenica 23 gennaio 1994 allo Stadio Olimpico di Roma, in occasione di una partita. L’attentato non riesce, ma solo perché non funziona il telecomando per azionare l’esplosione di una Lancia Thema imbottita di Tritolo. “È una data da ricordare”, sottolinea Ayala, “perché da allora la mafia non ammazza più. Proprio quell’anno salì al potere Berlusconi…” Da quel momento la mafia ha iniziato a operare nel silenzio, ma è tutt’altro che scomparsa.

LA MAFIA, PROBLEMA POLITICO – Ayala sottolinea che “la mafia è un problema politico, non di criminalità organizzata”: una frase forte, su cui però l’autore non rivendica nessuna originalità di pensiero. “Esiste un’imponente letteratura sull’argomento. Già nel 1988 scrissi sulla questione un saggio per la rivista ‘MicroMega’, ‘La lobby mafiosa’, basato su quanto acquisito da Falcone e Borsellino nel maxi processo. Falcone stesso lesse quel saggio e affermò che non ne avrebbe cambiata una virgola. La mafia esiste da almeno 150 anni, dimostrazione che Cosa Nostra è una componente organica del sistema di potere italiano da quando questo è nato. Perché lo Stato non riesca a vincere la partita contro la mafia? L’unica risposta possibile è che si tratta di una partita truccata: immaginandola come una partita di calcio, dicevo nel libro precedente, possiamo affermare che le maglie non sono distribuite correttamente tra i giocatori, alcuni mafiosi indossano la maglia della squadra Stato, e viceversa. Prima di Falcone non esisteva nemmeno una risposta giudiziaria adeguata: solo nel 1980 la risposta dello Stato all’attività mafiosa ha assunto una dignità.”

LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA – Nella seconda metà del libro Ayala tratta il tema della riforma della giustizia, che tanto peso ha avuto nel governo Berlusconi ed è ancora in primo piano in questo governo tecnico. “Non c’è democrazie moderna che non abbia un serio problema di illegalità”, dichiara Ayala, “ma da noi il tasso di illegalità è molto più alto che negli altri Paesi. I controlli preventivi in Italia non funzionano, l’unico controllo che funziona è quello repressivo esercitato da polizia e magistratura. E come il potere può aggirare quest’ultimo controllo? Mantenendo i tempi della giustizia estremamente lunghi: se la condanna definitiva arriva tra 12 o 15 anni, nel frattempo il potente di turno può continuare a fare carriera. La giustizia italiana viene mantenuta in questo stato pietoso per un preciso disegno politico trasversale. Tutto questo pesa enormemente sull’economia italiana, incidendo negativamente sul PIL e scoraggiando gli investimenti stranieri.”

RIFORME POLITICHE – Quanto alle riforme politiche necessarie a recuperare credibilità ai partiti, Ayala indica la modifica della legga elettorale come priorità assoluta, poi una revisione della Costituzione, con una drastica riduzione del numero di deputati e senatori e il superamento del bicameratismo perfetto. “Bisognerebbe inoltre avere la sfiducia costruttiva: un governo dovrebbe poter cadere solo se fosse già pronta un’altra maggioranza.” Ma un monito va anche agli elettori: “I partiti hanno la cattiva abitudine di proporre nelle loro liste dei condannati, cosa inaccettabile. Non date il vostro voto a chi indulge a questa prassi!”

 

27 giugno 2012

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