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Giuseppe Aloe: l’esistenza come forzata, violenta ricerca di un senso che non c’è

Giuseppe Aloe è cosentino, autore di racconti e romanzi. È stato finalista al premio Strega nel 2012...

Giuseppe Aloe è cosentino, autore di racconti e romanzi. È stato finalista al premio Strega nel 2012.

Non è facile calibrare le domande di un’intervista. Si tende a trovare ispirazione nelle proprie personali preferenze e idiosincrasie. Ma la cosa fondamentale di cui tenere conto, secondo me, è il gusto del pubblico, occorre cioè immaginare quello che il pubblico vorrebbe chiedere all’autore, se potesse. Una domanda molto semplice la faccio sempre e riguarda la genesi della vocazione letteraria. Insomma, come arriva Giuseppe Aloe a scrivere narrativa?

Di solito le domande del pubblico sono abbastanza approfondite. Mi è capitato anche di non saper rispondere, e, devo dire, che la cosa mi è piaciuta molto. Uno scrittore non ha tutte le risposte. Nessuno ha tutte le risposte. Io diffido sempre di chi riesce ad elaborare repliche argomentate ad ogni domanda. Mi sembra che vi siano dei quesiti ai quali è impossibile rispondere. La mia vocazione è molto remota. Risale all’infanzia. L’ho sempre sentita come un fatto naturale, come la stanchezza dopo un’ora di corsa.

 

Anch’io diffido di chi ha certezze incrollabili e verità in tasca che lo aiutano a rispondere a ogni domanda. Una cosa che mi interessa sempre sapere, di un autore, è che tipo di lettore sia. Cosa ami leggere? C’è un genere che invece detesti? Un libro fondamentale, senza il quale non saresti quello che sei?

Io non detesto nessun genere letterario. Anche perché dividere la letteratura in generi è solo un espediente commerciale per selezionare i target e  quindi approntare campagne di marketing specifiche. Come si dice: aggredire il target. Ecco, questo è il sistema dell’attuale industria culturale con i risultati che vediamo. Si vendono sempre meno libri. E quelli che si vendono si vendono sull’onda di campagne più o meno indirizzate, ma non sappiamo se effettivamente vengano letti. L’industria culturale non si interessa di questo passaggio fondamentale. Ogni operazione si ferma alla vendita. Per quanto riguarda i libri che mi hanno influenzato, devo dire che sono troppi. Non posso sceglierne uno, per cui mi avvalgo della facoltà di non rispondere.

 

In un paese che legge poco, come mai, secondo te, in tanti, tantissimi scrivono? Sembra quasi una mania collettiva, sulla quale è  stata addirittura costruita una trasmissione, Masterpiece, che non ho mai visto ma di cui sento molto parlare. Tu cosa pensi di questo fenomeno? E in che modo sei arrivato alla tua prima pubblicazione?

Non c’è correlazione fra leggere poco e scrivere molto. C’è, piuttosto, un approccio superficiale alla scrittura (che detto fra di noi non è un male assoluto). E anzi direi che è quasi giusto. Chiunque può scrivere, come chiunque può correre, o può sdraiarsi su un prato. È un’azione puramente umana. Alla fine quello che conta è quello che hai scritto. Per quanto riguarda Masterpiece, non ne ho visto neanche una puntata, quindi non posso esprimere un giudizio. Posso dire solo che anche questo programma si inserisce in quell’espansione della tecnica all’interno della letteratura. È chiaro che, visto in chiave filosofica, si tratta di un arretramento della scena umana a vantaggio della funzionalità della tecnica. Il punto è un altro: la tecnica avendo sostituito gli epistemi, cioè le virtù che riparavano l’uomo dal terrore del dolore, ha creato una nuova tirannide che, come ogni tirannide che si rispetti, deumanizza, comprime e schiaccia l’uomo e la sua condizione.

Le tue opere toccano tematiche molto varie: l’infanzia, gli abissi dell’anima quando la vita ci mette duramente alla prova, il desiderio. C’è un comune denominatore nelle storie che costruisci, nei personaggi che inventi? Una ricerca di senso, una visione del mondo sottostante?
Noi siamo figli della radice giudaico-cristiana che prevede alla fine una salvezza. Una visione ottimistica che ci ammalia da duemila anni. A guardare bene nessuna vita ha un vero senso. L’esistenza è una forzata ricerca di senso, una violenta ricerca di senso. Un senso che non c’è. Quindi la nostra è una ricerca votata al fallimento. Per questo, nonostante la prospettiva salvifica, la vita è in se stessa tragica. L’unico tema che affronto è la follia. Non ne ho altri. La follia nei campi delle espressioni umane.

 

È inevitabile una domanda sul premio Strega, sulle emozioni che hai provato e sull’idea che ti sei fatto di questo premio che in passato è stato anche oggetto di qualche polemica.
 Le polemiche sui premi sono uno delle qualità fondamentali dei premi. Senza polemica non esiste fatto umano. Io ho vissuto quella stagione con grande entusiasmo e gioia. Per questo più volte ho ringraziato i miei editori, Giulio Perrone e Maria Carmela Leto.

 

Nessuno, oggi, vive di scrittura e basta. Credo che valga anche per te. Preferiresti avere tutto il tuo tempo a disposizione per scrivere? Come organizzi la tua attività creativa? So che sembra una contraddizione in termini (organizzazione = imbrigliamento, disciplina; creatività = libertà/improvvisazione), ma sappiamo tutti, credo, che in realtà senza metodo non si scrivono libri e che nulla si improvvisa. Insomma, lo stereotipo dell’artista senza regole, in preda al disordine delle sue emozioni, mi sembra tramontato definitivamente, non trovi?

Non è vero. Alcuni scrittori vivono di scrittura. Sono pochi ma ci sono. Io non rientro in questa schiera. Un po’ mi dispiace, ma neanche tanto. Per scrivere ho bisogno di distrarmi. Di non stare seduto a scrivere. Mi serve andare da altre parti. Passeggiare. Andare al mare, guardare palazzi, ruote di luna park, asini con le orecchie abbassate, cose del genere. La mia è una scrittura tutta interiore. Io aspetto. Sono in attesa che qualcosa risvegli l’idea di un racconto che sento vagare. E quando lo trovo non è un’illuminazione, è un tonfo. Come se in quel momento stessi ingoiando un pezzo di acciaio di un chilo. Dal tonfo nasce la storia. La coltivo per almeno un anno, con molte varianti, e poi la scrivo d’estate con una disciplina del più rigoroso frate trappista. L’artista senza regole è un altro stereotipo che ci impone la tecnica. La tecnica usa questi modelli per continuare ad espandersi.

 

Nella tua produzione c’è un’opera alla quale sei particolarmente affezionato, che senti più tua delle altre?

Lo splendore dei discorsi. Senza dubbio. È il mio libro più generoso. È la voce che non smette di suggerire. È il suggeritore del palcoscenico. Il sussurro che ti distrae e ti corregge.

 

A cosa stai lavorando adesso?

Ho già sentito il tonfo. Aspetto che faccia danni.

 

Bene, allora aspettiamo i frutti del tonfo, della coltivazione e della disciplinata e rigorosa stesura estiva. Grazie per le tue risposte e per il tempo che hai dedicato alle mie domande.

Rosalia Messina

12 aprile 2014

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