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Giovanni Tizian, ”Ricordare Paolo Borsellino oggi significa rifiutare ‘il puzzo del compromesso”’

Le idee di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone non sono morte con loro. I due grandi magistrati hanno trasmesso alle comunità una voglia di cambiamento che è ancora viva. Ad affermarlo è il giornalista Giovanni Tizian, che di mafie si occupa dal 2006...
Il giornalista, che si occupa di mafia dal 2006, e autore di “Gotica”, libro-inchiesta sull’ascesa delle mafie nel Nord Italia, riflette sull’eredità lasciataci dai magistrati Paolo Borsellino e Giovanni Falcone   

MILANO – Le idee di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone non sono morte con loro. I due grandi magistrati hanno trasmesso alle comunità una voglia di cambiamento che è ancora viva. Ad affermarlo è il giornalista Giovanni Tizian, che di mafie si occupa dal 2006 – scrive per l’Espresso, ha collaborato con la Repubblica e la Gazzetta di Modena e con il mensile Narcomafie ha pubblicato le sue prime inchieste. Tizian ha pubblicato anche un libro-inchiesta sul potere delle organizzazioni criminali al Nord, “Gotica. ‘ndrangheta, mafia e camorra oltrepassano la linea”, e uno in cui racconta la sua storia, la morte di suo padre, assassinato la sera del 23 ottobre 1989, e il suo trasferimento in Emilia, dal titolo “La nostra guerra non è mai finita”.

Qual è stato il valore dell’opera di magistrati come Borsellino e Falcone nella lotta alla mafia?
Sicuramente hanno avuto il merito di affrontare la lotta alla mafia non soltanto come repressione ma anche come prevenzione. Hanno infatti creato strutture di investigazione che oggi stanno dando ottimi risultati – basti pensare alla Superprocura Antimafia e alla Direzione Investigativa Antimafia. Non facevano solo singoli arresti e inchieste, ma immaginavano anche come il Paese dovesse affrontare complessivamente questa lotta.
Dopo la loro morte nella società italiana sono rimaste le loro idee, tanto era forte la voglia di cambiamento di questi magistrati. Oggi, riguardando le loro interviste, risentendo le loro parole, a me salta all’occhio questo: la loro capacità di parlare alla comunità.

Qual è il modo migliore di ricordare Paolo Borsellino oggi?
Purtroppo nelle commemorazioni si vede di tutto – si vedono anche politici, ministri e persone che, quando Borsellino e Falcone erano in vita non li amavano poi così tanto, e questa ipocrisia è il segnale peggiore che si possa dare, loro non l’avrebbero voluta.
Il modo migliore di ricordarsi di loro è invece quello di impegnarsi quotidianamente, di rifiutare “il puzzo del compromesso”, come Borsellino stesso più volte ripeteva, in tutti i settori e a tutti i livelli della vita – dal non accettare una raccomandazione al non accettare un caffè offerto da mani sbagliate. Bisogna rifiutare tutti quei piccoli compromessi che fanno parte della trattativa continua di pezzi della società e dello Stato con le organizzazioni mafiose.

Come si può proseguire l’opera di Borsellino? In che direzione occorre lavorare e quali sono gli obiettivi oggi?
Il primo obiettivo è garantire a questo Paese la libertà dal potere criminale e dalla corruzione. Il pool di Palermo lavorava proprio a questo, per scoprire gli intrecci tra pezzi di economia e di Stato e la mafia.
Il secondo obiettivo fondamentale è quello di garantire un futuro a chi rischia di finire nel circuito mafioso. Pensiamo ai tanti giovani che vivono sotto ricatto, per questioni occupazionali o per altre ragioni, che non si sentono liberi di scegliere. La politica deve dare a questi giovani delle opportunità.
Sono queste le due priorità, cui bisognerebbe provvedere subito, ma purtroppo non c’è un governo o una politica che ascolti queste richieste di libertà.

Qual è il compito del giornalismo nei confronti di questo complesso fenomeno che è la mafia?
Il giornalista ha il compito di raccontare quello che in molti vorrebbero tenere chiuso nei cassetti. La conoscenza è fondamentale, perché permette al cittadino di comprendere il contesto in cui vive, di capire per esempio quale politico sia meglio votare, in base a una serie di informazioni che il giornalista gli fornisce e che possono andare anche a toccare le sfere alte del potere. Tutto questo non perché il giornalista si diverta o goda a scrivere del malaffare, ma proprio perché parlandone è possibile curare questa patologia dello Stato italiano, questa connivenza secolare tra potere criminale e potere politico.

19 luglio 2013

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