In occasione dell’anniversario della strage di Capaci, il giornalista di Sky TG24 Federico Leardini ci illustra attraverso cifre e statistiche come si sia evoluta la lotta alal mafia negli ultimi 22 anni
MILANO – Una lotta reale ed efficace alla mafia farebbe nascere un’altra Italia. Parola di Federico Leardini, giornalista di Sky TG24, che nell’anniversario della strage di Capaci ci spiega come sia cambiato rispetto ai tempi del Maxiprocesso e come si alimenti oggi il giro di affari delle mafie, ricordando infine Giovanni Falcone come un grande esempio per l’Italia.
Quanto vale oggi economicamente il giro di affari delle mafie e quanto pesa sull’economia italiana?
Lo studio delle attività mafiose e dei loro giri d’affari è stato di recente oggetto di grande interesse, anche da parte degli economisti.
In uno Stato che si strugge per recuperare percentuali minime della propria competitività internazionale, sapere che esiste uno “stato parallelo” capace di crescere annualmente a tassi multipli rispetto all’economia ufficiale e generare profitti enormi è ovviamente motivo di preoccupazione e riflessione.
Rimane però estremamente complesso, se non impossibile per la natura delle attività gestite, stabilire quanto una ipotetica Mafia S.p.a. fatturi in un anno.
Stando al rapporto annuale di Sos impresa e all’audizione sostenuta dai vertici della Banca d’Italia presso la Commissione parlamentare antimafia, nel 2012, le mafie gestivano ricavi vicini ai 150 miliardi di Euro, con utili di oltre 100.
Altri studi, come quello del centro studi Transcrime dell’Università Cattolica parla di cifre inferiori, stimabili attorno ai 30 miliardi di Euro.
Ma attenzione, si parla di stime.
Per la natura del tipo di “affari” gestiti è realisticamente impossibile quantificare con precisione la ricchezza mafiosa e darne conto, a maggior ragione se guardiamo alle ramificazioni estere delle stesse organizzazioni, i cui numeri sfuggono a queste analisi.
Quanto pesa sull’economia italiana?
Il peso è enorme, qualsiasi dei riferimenti appena citati si prenda in esame.
Andiamo da uno scioccante 10% circa del Pil italiano all’1,5/2% circa dell’analisi Transcrime.
Numeri che lasciano sbalorditi e trovano ancora più peso, se andiamo ad analizzare le realtà locali:
Ricordo un intervento del presidente della Bce Mario Draghi (allora Governatore di Banca d’Italia) negli ultimi 30 anni, il crollo degli investimenti privati dovuto alla gestione e all’infiltrazione mafiosa nell’economia e nella produzione in Puglia e Basilicata ha causato una contrazione del 20% del Pil di quelle regioni.
Uscendo dai numeri. Una lotta reale ed efficace alla mafia farebbe nascere un’altra Italia.
Problemi visti oggi come strutturali del Mezzogiorno italiano sarebbero, se non del tutto risolti, ampiamente affrontabili.
Con enormi riflessi positivi,a mio avviso, per la pianificazione politica ed economica di tutto il Paese.
Quali sono le organizzazioni criminali che negli ultimi 22 anni hanno visto diminuire il proprio peso? Quali, invece hanno aumentato il proprio raggio d’azione?
L’evoluzione dell’orizzonte criminale mafioso è estremamente interessante e può essere oggetto di riflessioni importanti sul peso crescente che il fenomeno mafioso sta assumendo su economie tradizionalmente “sane” come erano quelle del nord Italia.
Negli ultimi anni si è assistito a un crescente fluire di capitali e influenze mafiose nelle aree del nord ovest (Piemonte e Lombardia) e nel Lazio, ossia le zone a maggior potere “politico”, più che a maggior crescita economica del paese.
Interessante la tipologia degli investimenti e le motivazioni: immobili e aziende. Ma in entrambi i casi con finalità più d’infiltrazione e controllo del territorio più che di redditività immediata.
Anche la tipologia delle aziende scelte per gli investimenti è interessante: i capitali mafiosi fluiscono preferenzialmente verso settori a bassa tecnologia, alta intensità di manodopera e alto coinvolgimento di risorse pubbliche.
Insomma una mafia colonizzatrice più che speculatrice, che mira, sembra, a radicarsi su un territorio, creare connessioni con il sistema politico locale e piegarlo ai suoi interessi, piuttosto che sfruttarlo nella sua attuale configurazione.
E questo, sono onesto, mi preoccupa molto.
Com’è cambiata la situazione dai tempi del Maxiprocesso di Palermo a oggi?
È difficilissimo rispondere.
La speranza farebbe credere che si stiano facendo passi avanti, grazie all’azione di forze dell’ordine e magistratura.
Le notizie continuano, da contro, a testimoniare una presenza persistente e maliziosa nel tessuto politico, sociale e imprenditoriale del nostro Paese.
Se è complesso dare contezza dei numeri della mafia, è ancor più arduo dare un giudizio sull’evoluzione dell’equilibrio fra giustizia e criminalità organizzata.
Penso alla lotta contro l’economia sommersa, il riciclaggio, i paradisi fiscali.
È evidente l’impegno delle istituzioni su questo fronte, ma è altresì lampante che sebbene si tratti di azioni lodevoli, l’effetto reale sia limitato.
Oggi è l’anniversario della morte di Giovanni Falcone. Vuole dire qualcosa in ricordo della figura del magistrato?
Voglio ricordare l’attualità di una figura di rottura, d’impegno, come Falcone.
Un uomo che ha sempre creduto fosse possibile cambiare, che non si sedeva sull’evidenza di una situazione, ma sognava un futuro diverso per la sua terra e la sua gente.
Uno dei tanti (come noi) che credono l’Italia possa risolvere i suoi problemi, che in più ha avuto il coraggio di uscire dal silenzio ed agire in questa direzione, fino a subirne le conseguenze che conosciamo.
Ma proprio nel suo essere immolato come simbolo della lotta alla mafia ha reso, forse, il suo servizio più grande: quello di rendersi immortale come esempio.
Ed è di esempi come questo che oggi, forse ancor più che 20 anni fa, abbiamo bisogno.
23 maggio 2014
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