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Giovanni Falcone, l’eroe “solo” di Francesca Barra

In esclusiva su Libreriamo l’intervista a Francesca Barra, giornalista, scrittrice e autrice assieme a Maria falcone del libro “Giovanni Falcone. Un eroe solo”. Attraverso le parole della sorella emerge il ritratto di un uomo che credeva nel proprio Paese. Un Paese che lo ha forse abbandonato quando ne avrebbe avuto più bisogno…

La storia di un uomo che senza volerlo è diventato un eroe raccontata attraverso le parole della sorella Maria e della giornalista Francesca Barra.

È uscito in questi giorni il libro “Giovanni Falcone. Un eroe solo” scritto a quattro mani da Maria Falcone, sorella del giudice che venne assassinato durante quella che oggi viene comunemente chiamata la strage di Capaci, e dalla giornalista Francesca Barra, attenta conoscitrice delle dinamiche legate alla criminalità organizzata e alla mafia che ci ha raccontato in esclusiva le motivazioni che l’hanno spinta a parlare del magistrato.

Ecco l’intervista a Francesca Barra su Giovanni Falcone

Perché nasce questo libro? Raccontare Giovanni Falcone come uomo e come giudice, dopo vent’anni dalla strage di Capaci, era doveroso soprattutto per le nuove generazioni che non hanno fatto in tempo a vivere gli anni più caldi del nostro Paese. Mi riferisco ad esempio alle mattanze in Sicilia, agli anni del terrorismo, alle grandi stragi che però sono pagine ancora molto presenti nella nostra storia. Per questo i giovani hanno capito che non possono ancora voltare pagina senza aver capito che cosa sia stato il passato storico del Paese. La stesura di questo libro è quindi un regalo che ho voluto fare alle nuove generazioni.

Che figura di uomo emerge? Rispetto a tanti altri libri che sono usciti sul giudice Falcone, questo è stato scritto da parte di un familiare e da parte di una giornalista che non l’ha conosciuto, che non è cresciuta in Sicilia, che non ha vissuto quegli anni. Per cui c’è un doppio sguardo sia su quello che è stato Falcone come uomo, sia su quello che è stato Falcone come bambino che arrivò al mondo con il pugno chiuso nel quartiere Kalsa o che giocò a calcio con quelli che poi sarebbero diventati i boss più sanguinari, come Spadaro, o che sarebbero diventati dei pilastri nella lotta alla mafia, come Paolo Borsellino. Quindi diciamo che c’è tutta la sua storia da quando era ragazzo ad adolescente studioso che amava il canottaggio, che amava viaggiare e che si laureò con il massimo dei voti. E poi c’è l’altra fase della sua vita, quella del giudice, che è corredata nel libro da moltissimi documenti, estratti di interviste televisive, radiofoniche e su carta stampata.

Com’è stato l’incontro con Maria Falcone? L’incontro con la sorella è stato molto emozionante. Basti pensare sono cresciuta pensando che Giovanni Falcone, insieme a Paolo Borsellino e ad altri pochi uomini, fosse davvero una delle più alte figure con cui confrontarsi oggi. Ogni volta che Maria mi raccontava qualcosa mi lasciava a bocca aperta. Mi ha fatto vedere i libri di suo fratello, la sua biblioteca personale dove c’erano molti volumi in lingua francese, di musica, sugli animali. Poter respirare, vedere, toccare gli oggetti che aveva toccato il giudice Falcone per me è stata davvero un’esperienza indimenticabile.

Nel titolo lo definisce un eroe solo, un uomo solo. Quanto ha pesato nella sua vita il fatto di essere lasciato forse un po’ troppo da solo a combattere contro la mafia? Ma lui non è stato lasciato solo soltanto a combattere la mafia, lui è stato lasciato solo anche a combattere le critiche che non si sono mai placate. La stampa non ha mai abbassato le difese nei confronti del giudice Falcone e quindi lui si è dovuto difendere anche da quelli che considerava essere amici, come nel caso di Leoluca Orlando. Dalla mafia forse non ha mai avuto veramente il tempo di difendersi ma sicuramente l’ha combattuta, il suo modo di difendersi era combatterla per tutelare la società civile.

In quanto giornalista che si occupa di tematiche e problematiche legate alla mafia, pensa che questo oggi sia un tema caldo di cui si parla abbastanza? Quanta consapevolezza c’è negli italiani? Sicuramente la consapevolezza è maggiore, è una consapevolezza sana: è molto bello vedere, soprattutto grazie all’intervento di scrittori, libri, film, tante persone che si sono avvicinate a tematiche. Diciamo che prima erano forse problematiche più da “addetti ai lavori”, oggi c’è la consapevolezza che la mafia non è solo quella che preme un grilletto e che uccide, la mafia è in mezzo a qualsiasi nostro interesse e quindi è qualcosa che riguarda ognuno di noi. Questa è stata la grandissima presa di coscienza. C’è una responsabilità del singolo che è molto forte, prima erano cose dei siciliani, cose dei calabresi, cose dei napoletani, oggi sono cose di tutti.

Che idea si è fatta di quanto è conosciuta la figura di Falcone al di fuori dei confini dell’Italia? A questo proposito ho fatto tempo fa una ricerca molto interessante negli archivi del New York Times. Dagli articoli che ho analizzato è emerso che il giudice Falcone è molto conosciuto; Louis Freeh gli ha dedicato nella scuola dell’FBI a Quantico, vicino a Washington, un mezzo busto nell’aiuola dove i ragazzi si riposano e passano il proprio tempo libero. Quando hanno chiesto a Louis Freeh come mai l’avesse dedicato a Giovanni Falcone, oltre che a Kennedy, ha spiegato che Giovanni Falcone è la più alta dimostrazione di che cosa significhi lo Stato. È paradossale pensare che invece in Italia all’epoca il suo lavoro fosse considerato una spettacolarizzazione della lotta alla mafia o, peggio, che chiunque come lui parlasse di mafia offendesse il proprio Paese. Credo che tutto ciò che ha lasciato Giovanni Falcone dimostri davvero quanto la sua fama stesse facendo il giro del mondo e quanto ingrati spesso siamo noi italiani.

Cosa le ha lasciato la scrittura di questo libro? Prima di scrivere questo libro mi sono fatta un esame di coscienza, ho cercato di trovare un senso a quello che sarebbe stato il mio lavoro e soprattutto mi sono chiesta he cosa io potessi dare a una storia come quella di Falcone, se fosse davvero necessario scriverla. Ho pensato di doverlo fare anche per mio figlio e per chi come lui è giovane e non ha avuto la possibilità di conoscere un uomo come lui. Ho pensato che i ragazzi hanno bisogno oggi più che mai, con tutte le delusioni che abbiamo subito dalla politica e dalle istituzioni, di credere che lo Stato li protegga, che le leggi siano fatte per loro, che in fondo siano loro che possono cambiare il mondo. Per questo sia noi adulti che la società civile dobbiamo appoggiare uomini come Giovanni Falcone, non dobbiamo isolarli, non dobbiamo lasciarli soli. Ho capito che se scritto per questo fine allora il libro avrebbe avuto un grande senso e quando l’ho chiuso e l’ho avuto fra le mani ho pensato che se anche una sola vita può migliorare leggendolo, allora è stato giusto scriverlo.

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