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Gianrico e Francesco Carofiglio, ”Scrivere insieme è stata l’occasione per incontrarsi davvero”

I sapori, gli odori, è noto, trascinano con sé ricordi anche remoti, riportando a galla un passato altrimenti destinato a scomparire...

I due scrittori ci presentano ”La casa nel bosco”, il memoir scritto a quattro mani in cui raccontano la loro storia attraverso i luoghi, gli odori e soprattutto i sapori e le ricette che l’hanno accompagnata

MILANO – I sapori, gli odori, è noto, trascinano con sé ricordi anche remoti, riportando a galla un passato altrimenti destinato a scomparire. Sul potere evocativo di certe sensazioni, del resto, Marcel Proust ha costruito il suo grandioso monumento letterario: un morso di madeleine intinto nel tè resuscita nel protagonista Marcel il ricordo della sua infanzia, ed è proprio da qui che parte l’intera ”Recherche”.  Niente di strano allora se due autori italiani molto amati, Francesco e Gianrico Carofiglio, firmano insieme un romanzo-memoir in cui oggetti, luoghi, odori e soprattutto sapori diventano il filo conduttore di vecchi racconti del passato. “La casa nel bosco” (Rizzoli) è la loro storia, la storia di due fratelli che non si frequentano molto, forse nemmeno si sopportano molto. Vite diverse, caratteri diversi e anche qualche lontano rancore, lasciati covare sotto la cenere per troppo tempo. Adesso però gli tocca stare insieme, almeno per qualche ora: devono dare un’ultima occhiata alla casa di villeggiatura della loro infanzia – la casa nel bosco, appunto – prima di consegnare le chiavi al nuovo proprietario. Sembra solo un adempimento banale e invece diventa l’occasione per un viaggio nella memoria, per una riconciliazione. Il libro si presenta così come un ricettario, non solo in senso metaforico ma anche letterale, dell’infanzia, dell’adolescenza e di un’età adulta ancora capace di riservare sorprese.

Com’è nata l’idea di questo libro scritto a due?
GIANRICO: È nata quasi per caso, come capita spesso. Una conversazione con l’editore, l’idea che un memoir a due fosse più interessante di uno a voce solitaria, la scommessa di riuscire a fondere due voci così diverse.

È stato difficile scrivere insieme o vi siete trovati d’accordo su tutto?
FRANCESCO: Non è stato difficile. E non ci siamo trovati d’accordo su tutto, come è fisiologico, direi.
GIANRICO: Non ci siamo trovati d’accordo quasi su niente. Sulle prime, almeno. Proprio la necessità di trovare un punto di incontro non facile è stata il motore di questa scrittura.
FRANCESCO: In fondo è stata davvero un’occasione per incontrarci e per raccontarci cose che forse avevamo dimenticato. 

Perché avete deciso di scrivere un memoir in cui il ricordo passa proprio attraverso i sapori?

GIANRICO: L’olfatto e il gusto sono i sensi della memoria. È per questo che li abbiamo scelti come traccia di questo itinerario nel ricordo.
FRANCESCO: I sapori, gli odori hanno trascinato con sé luoghi, personaggi, piccole storie che, diversamente, sarebbero rimasti depositati altrove.

Qual è, tra le ricette che compaiono nel vostro libro, quella del vostro piatto preferito?

FRANCESCO: Il mio piatto preferito compare nel romanzo, ma non nei sette pezzi facili che si trovano in appendice. È la pizza di patate fatta da nostra madre, alta tre dita, soffice e bruciacchiata sui bordi.
GIANRICO: Il mio sono gli spaghetti all’assassina.

Ci potete dare una ricetta in anteprima?
FRANCESCO: In poche righe quella più facile, Spaghetti alla San Giuannid.
Rosolate in padella uno spicchio d’aglio, aggiungete pomodorini a grappolo e una manciata di olive nere snocciolate, poi 3 o 4 filetti di acciuga ben scolati e del peperoncino a pezzetti. Sale, quanto basta, un pizzico di zucchero. Fate bollire gli spaghetti e scolateli, molto al dente. Fate saltare tutto in padella (olio extravergine di oliva!) aggiungendo un po’ di pan grattato. Servite con una foglia di basilico. Fatto.

7 aprile 2014

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