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Gianni Farinetti, ”I libri tengono compagnia, sono un peso leggero da portare con sé”

Un killer spietato si aggira per le Langhe piemontesi. Il maresciallo Beppe Buonanno e Sebastiano Guarienti cercheranno di risolvere il caso. Esce oggi nelle librerie 'Rebus di mezza estate', il nuovo romanzo di Gianni Farinetti...
Lo scrittore piemontese torna un libreria con “Rebus di mezza estate”, una commedia nerissima che unisce le tinte fosche del noir a una vena ironica e dissacrante

TORINO – Un killer spietato si aggira per le Langhe piemontesi. Il maresciallo Beppe Buonanno e Sebastiano Guarienti cercheranno di risolvere il caso. Esce oggi nelle librerie "Rebus di mezza estate", il nuovo romanzo di Gianni Farinetti. Per l’occasione lo scrittore piemontese interverrà domani alle 21 al Circolo dei Lettori di Torino per discutere della sua ultima fatica insieme ai giornalisti Stefania Bertola e Bruno Gambarotta. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui parlando di scrittura, libri e carenza di pubblico.

Ci racconti qualcosa del suo nuovo libro. Continuano i crimini e i misteri nel torinese, ma il tono con cui vengono raccontate le vicende ha una certa vena ironica. Qual è l’idea dietro a questa storia?
Dietro a questo romanzo c’è il desiderio di raccontare una commedia nera, ma in un tono molto british. Quello che ho cercato di fare è stato trasporre il noir classico, con il killer, le grandi metropoli sullo sfondo, in una situazione diversa, di vacanza estiva. Quella che il lettore si trova davanti è una commedia nerissima, insomma, ma di villeggiatura. Mi sono anche permesso delle variazioni sul tema. Ad esempio, visto che gli assassini ormai tracimano dalle pagine della narrativa, ho voluto che il mio killer fosse sì un personaggio cattivissimo, che fa tutta una serie di vittime,  ma raccontato con un tono un po’ divertito. Non dico si tratti proprio di una presa in giro, piuttosto ho cercato di spogliarlo di tutti quegli stereotipi classici da libro nero urbano. È un modo per riderci anche un po’ su. Non per non prendersi sul serio o fare il verso ad altri, quanto per rompere i cliché. E questa mi sembra sempre un’operazione sana.

Quello che colpisce del suo romanzo è prima di tutto l’ambientazione. Il lettore di gialli, come ha detto prima, è abituato alla grande metropoli, ma qui si trova trasportato nel micro-cosmo delle Langhe torinesi.
Ho già ambientato qui altri miei romanzi e i motivi di questa scelta sono stati molteplici. Prima di tutto le Langhe sono la mia terra, un luogo che quindi conosco bene. È una campagna che amo molto, e che al contempo offre un’ampia serie di spunti. È stata descritta da grandissimi autori, ma il fatto che si continui ancora oggi a scriverne è dovuto al suo carattere misterioso, inafferrabile. È una terra sempre piena di stimoli e di idee.

Parliamo invece dei "buoni" della storia. Il maresciallo Giuseppe (Beppe) Buonanno e Sebastiano Guarienti sono un po’ lo Sherlock Holmes e il John Watson della provincia piemontese?

Questo è il mio romanzo numero nove, anzi meglio l’otto e mezzo, ma l’arrivo della polizia è una novità. Mi sono sempre tenuto abbastanza lontano dalle forze dell’ordine, questa volta invece arriva un maresciallo dei carabinieri, molto simpatico, questo maresciallo Buonanno. È un personaggio importante perché è lui che deve condurre l’inchiesta. Ma di nuovo si tratta più di un anti-ispettore, l’antitesi di quello che si trova nei romanzi classici. Un signor simpatico, dicevo, bonario, se vogliamo molto più vicino a Maigret che non a certi ispettori moderni. I miei romanzi sono anche una saga quindi vediamo tornare alcuni personaggi, come ad esempio Sebastiano Guarienti, un mio personaggio feticcio. Insieme lui e il maresciallo conducono le indagini e cercano di capire le motivazioni dietro al misfatto.  

C’è stato un momento preciso in cui ha deciso di dedicarsi alla narrativa oppure si tratta piuttosto di un percorso naturale, dalla sceneggiatura con cui ha iniziato fino ai romanzi?

Io mi sono occupato sempre di sceneggiatura, di cinema, soprattutto di pubblicità. A un certo punto tutti questi sentieri si sono convogliati nella narrativa. Ho pubblicato il mio primo romanzo una ventina di anni fa e da lì poi è nato tutto il resto. Anche come scrittore di romanzi tengo sempre d’occhio la sceneggiatura, la componente visiva della narrazione perché mi sembra interessante. E poi mi viene bene, se così vogliamo dire. Nella mia scrittura ci sono tutta questa serie di altri mestieri che giocano una componente fondamentale.

Invece i dati sulla lettura in Italia sono molto sconfortanti. Come scrittore si pone il problema del pubblico, di come raggiungerlo?
Arrivare alle persone è difficile e il nostro è un paese in cui si legge davvero molto poco. Ma in Italia c’è anche un’altra faccia della medaglia da considerare, uno zoccolo duro composto da lettori interessati e accaniti. Il problema per un autore, naturalmente, è quello di farsi leggere, però direi che quando si scrive non bisogna pensare al pubblico e neanche all’editore. Il pensiero in origine deve essere per la materia del romanzo. Il resto viene dopo. Perché se si strizza troppo l’occhio alla popolarità la scrittura ne risente, nascono i cosiddetti "libri furbi". La narrativa deve essere prima di tutto sincera e onesta nei confronti di chi legge.

Se dovesse promuovere la lettura con una battuta, con una frase…
I  libri tengono molta compagnia. E, ammesso che esistano ancora gli ombrelloni o che questa estate si possa andare al mare, sono un peso leggero da portare con sé.

Roberta Turillazzi

29 maggio 2013

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