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Giancarlo De Cataldo, ”Il genere noir italiano se osasse di più non avrebbe rivali al mondo”

La vera forza dei ''noiristi'' italiani è di non provare alcuna invidia, livore o risentimento verso gli altri colleghi. Che non sono colleghi, ma amici (preferisco peraltro la parola ''compagni'') coi quali percorrere insieme le tormentate strade della creatività''. Parola di Giancarlo De Cataldo...

Il giudice scrittore insieme a Maurizio De Giovanni, Diego De Silva e Carlo Lucarelli ha scritto “Giochi criminali”, una raccolta in cui vengono narrate le vicende di quattro personaggi proposti dai quattro autori italiani

MILANO – “La vera forza dei “noiristi” italiani è di non provare alcuna invidia, livore o risentimento verso gli altri colleghi. Che non sono colleghi, ma amici (preferisco peraltro la parola “compagni”) coi quali percorrere insieme le tormentate strade della creatività”. Parola di Giancarlo De Cataldo, protagonista insieme ad altri colleghi come Maurizio De Giovanni, Diego De Silva e Carlo Lucarelli di “Giochi criminali”, una raccolta in cui vengono narrate le vicende di quattro personaggi proposti dai quattro autori italiani.
Giancarlo De Cataldo, non nuovo alla realizzazione di romanzi corali come già avvenuto lo scorso anno con “Cocaina”, analizza a che posto si colloca il noir italiano rispetto alle altre realtà straniere.

Non è la prima volta che lei è alle prese con un “romanzo corale”. Anche questa volta l’idea è partita da lei?
Questa volta no, confesso. E’ stata una proposta editoriale di Einaudi, alla quale ho aderito con vero piacere: un po’ per l’idea in sé (era da tempo che volevo cimentarmi col tema del gioco), e molto per l’allegra brigata dei “complici”.

Secondo lei perché queste antologie sono così frequenti in un genere come il noir, mentre per altri meno?
Un motivo è che indubbiamente l’appartenenza a un genere comune agevola una certa tematicità della materia, e dunque le antologie non sono mai solo compilation, ma, appunto, sorta di “romanzi corali”. E poi, diciamolo, la vera forza dei “noiristi” italiani è di non provare alcuna invidia, livore o risentimento verso gli altri colleghi. Che non sono colleghi, ma amici (preferisco peraltro la parola “compagni”) coi quali percorrere insieme le tormentate strade della creatività.

C’è una caratteristica che vorrebbe rubare ad alcuni dei suoi colleghi?
Non c’è invidia, l’ho già detto, c’è rispetto della personalità e delle diversità di ciascuno. Ci completiamo, guai se ci omologassimo!

Come si colloca il noir italiano in un’ipotetica classifica rispetto alle altre nazioni? Mi riferisco ad America, Svezia….
Se avessimo le stesse chance di mercato che hanno loro… e intendo dire: se vi fosse un sostegno nelle traduzioni, se si rilanciasse un marchio letterario italiano… se ci fosse più coraggio nel liberarsi dagli stereotipi… se, se, se… la nostra produzione è di livello altissimo, sicuramente non seconda rispetto agli scandinavi (si ha l’impressione che abbiano raschiato il fondo del barile: alcuni grandi del passato, come Larsson e Mankell, alcuni grandi del presente, come Dahl e Indridasson, e poi molta, molta paccottiglia)
e agli americani (stanchi, dopo Don Winslow non è successo niente di interessante, meglio Chandel riscritto da John Banville!!!) e forse, in questo momento, in grado di costituirsi come “scuola” vera e propria. Ma con i se non si fa la storia, quindi, andiamo avanti e stiamo a vedere.

Infine, un breve riferimento a Masterpiece. Come la definisce questa esperienza?
Esaltante sul piano personale, utile a chi si è cimentato con un vero giudizio, non filtrato da logiche di appartenenza, camarille varie, ecc, rivelatrice della grettezza di fondo della società culturale italiana.

22 marzo 2014

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