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Giampaolo Pansa, ”Leggete molto, leggete libri al di sopra delle vostre possibilità”

''I libri sono stati fondamentali nella mia vita. Ho iniziato a leggere prestissimo, ho sempre letto molto, e questa è stata la mia fortuna''. Sono parole di Giampaolo Pansa, 78 anni compiuti da poco e una carriera lunga una vita nel campo del giornalismo. Pansa ci parla del suo ultimo libro, ''Sangue, sesso, soldi''
Il giornalista ci parla del suo ultimo libro, “Sangue, sesso, soldi”, in cui ripercorre la storia del nostro Paese dal dopoguerra a oggi vista attraverso la prospettiva della sua personale esperienza  
MILANO – “I libri sono stati fondamentali nella mia vita. Ho iniziato a leggere prestissimo, ho sempre letto molto, e questa è stata la mia fortuna”. Sono parole di Giampaolo Pansa, 78 anni compiuti da poco e una carriera lunga una vita nel campo del giornalismo. Pansa ci parla del suo ultimo libro, “Sangue, sesso, soldi”, un verso successo editoriale in classifica da diverse settimane. Qui l’autore racconta la storia della nostra Repubblica ripercorrendo i ricordi della sua vita privata, facendo emergere un’interpretazione delle vicende spesso in controcorrente con la storiografia ufficiale.
Perché ha scelto di raccontare la storia del nostro Paese attraverso la lente della sua storia personale?
Sono un vecchio signore, faccio il giornalista dalla fine degli anni Sessanta e continuo a farlo oggi da pensionato, collaborando a Libero e scrivendo libri. Mi sembrava l’unica chiave che potesse interessare ai lettori, non solo della mia generazione, che sono tanti, ma anche ai giovani. Ho pensato che fare un racconto partendo da me stesso, basato sulla figura privata “del Pansa” – anziché fare una sorta di Biniami – mi avrebbe permesso di mettere in scena personaggi che nei libri non compaiono mai, di rendere protagonista “l’uomo della strada”. Credo che proprio da questo derivi il successo imprevisto e strabiliante del libro: impronta personale, ricordi personali, storie di personaggi. Un detto giornalistico americano recita: “Nessun problema senza una storia , nessuna storia senza un personaggio”. Mi sono attenuto a questa massima.
Lei ha vissuto da piccolo i tempi della guerra e del dopoguerra, in cui l’Italia ha dovuto affrontare il difficile cammino della ricostruzione e della costruzione della Repubblica. Eppure si vedevano segnali di speranza. Ne vede qualcuno anche oggi, in questa situazione di crisi nera che sembra non finire mai?
Io ho fiducia, non sono mai stato pessimista: guardando attorno a me vedo tante crisi terribili, ma anche la possibilità di uscirne. 
Proprio scrivendo questo libro mi sono reso conto delle infinità di crisi che abbiamo superato, a partire dalla guerra e dalla guerra civile. Il primo bombardamento che ho sentito sopra la mia tesata è stato nel maggio del 1944, non avevo ancora 9 anni. Gli americani venivano a bombardare i ponti sul Po, e la nostra casa stava in linea d’aria a 100 m dal fiume. 
Possono spaventarmi le crisi di oggi? Forse un po’ di più del passato, perché sono vecchio, e la vecchiaia indebolisce il coraggio e la forza di resistenza. Ma vedo segnali di speranza, ci sono.
Bisogna che gli italiani smettano di odiarsi e di combattere. Bisogna che anche i media smettano di propagare soltanto sfiducia, sbigottimento, allarme, cattiverie dirette o indirette. Io leggo 11 quotidiani al giorno: una volta mi impegnavano tutta la mattinata, adesso in un paio d’ore mi sbrigo. Sono tutti uguali, raccontano soltanto le cose che non vanno. Ho sempre in mente un articolo di Aldo Moro pubblicato su il Giorno poco prima che venisse rapito: era stato intitolato “Il bene non fa notizia”. Io questo, da giornalista, lo capisco, ma il bene c’è. C’è però una verità che noi italiani dobbiamo tenere in conto: abbiamo vissuto per molti anni come un Paese ricco senza averne davvero le risorse, adesso siamo un Paese povero e, ahimè, resteremo poveri ancora per molti anni. Forse tra una decina d’anni si vedrà un’Italia meno sfasciata di oggi.
A proposito di media, quando lei nel libro racconta dei suoi esordi nel campo del giornalismo si diffonde in una critica di quello che era allora l’informazione, deferente verso il potere, a partire dal Corriere di Missiroli. Secondo lei il giornalismo oggi soffra ancora di questo vizio?
Ho scritto tre libri sul giornalismo: “Comprati e venduti”, uscito nel 1977 per Bompiani, “Carte false”, pubblicato da Rizzoli nel 1986, e “Carta stracciata, sempre Rizzoli, di due anni fa. I giornali e i giornalisti sono molto diversi tra loro, ma se hanno un vizio comune è la faziosità eccessiva: è questo il grande problema della carta stampata in Italia. 
I lettori calano, cala la pubblicità, i bilanci vanno in rosso, c’è il rischio che testate importanti chiudano. Ma se io che sono un giornalista patentato non mi fido più dei giornali, figuriamoci il lettore comune! Questa sfiducia nasce proprio dal sospetto, o meglio, dalla certezza, che tutti parteggino per qualche fazione politica: sei per Berlusconi o non sei per Berlusconi, sei per il PD o non sei per il PD, sei per Renzi o non sei per Renzi. Qualcuno comprerebbe mai un pacchetto di pasta scaduta? Ecco, la faziosità fa scadere la serietà di un quotidiano. 
Lei racconta in “Sangue, sesso, soldi” che  l’Espresso era un punto di riferimento per voi giovani della fine degli anni Cinquanta. Vede un analogo nei giorni nostri?
No, proprio per le ragioni che ho detto. L’Espresso stesso è molto cambiato: io ho lavorato per il Gruppo Editoriale L’Espresso per 31 anni, una parte importante della mia vita, ma sono andato via perché non mi piaceva l’eccessiva faziosità. Non ci sono testate che adesso abbiano nella vita dei giovani lo stesso peso che avevano allora testate come l’Espresso, Il Mondo o il Panorama di Sechi.
Anche i giovani di oggi però non sono più quelli dei miei tempi: allora non avevamo internet –per fortuna secondo me –, non avevamo i social network e non c’era l’abbondanza di carta stampa di oggi. 
Nel libro racconta anche del suo “libraio di fiducia”, suo “mentore” in fatto di letture. Cosa consiglierebbe a sua volta di leggere ai ragazzi di oggi? 
Quel signore si chiamava Romeo Giovannacci ed è morto ormai da molto tempo. A quell’epoca non aveva una libreria vera e propria – la ebbero in seguito i suoi figli – ma una bancarella di libri nuovi sotto i Portici Corti di Casale Monferrato. Il consiglio che mi diede lui allora lo darei ai ragazzi di oggi: leggete libri al di sopra delle vostre possibilità. Se leggete un libro solo per divertirvi, non serve a nulla. Dovete leggere qualcosa che richieda uno sforzo di comprensione, e non sto parlando dello stile, che deve essere il più semplice e lineare possibile, ma dell’argomento. Leggete con una matita in mano, per segnare con un punto di domanda i paragrafi e i passaggi più difficili. Quando riprenderete in mano questi libri da adulti, vi renderete conto che quei punti di domanda non avranno più senso, perché le vostre esperienze e le vostre stesse letture vi avranno fatto crescere.
I libri sono stati fondamentali nella mia vita. Io non sono cresciuto in una famiglia di letterati: mi ha allevato mia nonna, che era analfabeta e parlava solo dialetto, mio padre dopo la quarta elementare ha iniziato a lavorare come operaio del telegrafo, mia madre dopo la quinta elementare è diventata apprendista sarta. Eppure non mi hanno mai fatto mancare i libri e io ho iniziato a leggere prestissimo: è stata la mia gran fortuna. Mi hanno addirittura fatto saltare la quinta elementare, perché ero considerato uno studente superdotato. E questo lo dovevo al fatto che leggevo molto.
17 ottobre 2013
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