Dopo Dahmer e Lyle e Erik Menendez, la serie Monster tornerà con una terza stagione ancora più attesa. Mentre cresce la curiosità su quale storia (o mostro) verrà raccontata, è il momento perfetto per prepararsi con quattro libri tra saggio e narrativa che esplorano il lato più oscuro della mente umana.
Dai grandi serial killer americani al lato misterioso della Groenlandia, passando per detective precari nei quartieri romani e segreti sepolti tra le montagne italiane, queste letture sono perfette per chi ama i cold case, i thriller psicologici e il true crime narrativo. E chissà, magari tra le pagine troverete il prossimo “mostro” da serie tv.
4 libri da leggere se sei appassionato di giallo e crime
Crimini irrisolti, detective imperfetti, indizi che portano a verità inaccettabili: i quattro libri che ti abbiamo proposto offrono sguardi diversi, realistici, visionari, politici, su ciò che si cela dietro la parola male.
In attesa che Monster 3 torni a scioccarci con una nuova stagione ispirata a fatti reali, queste letture ci ricordano che la realtà può essere più disturbante della finzione, e che la letteratura, come la serialità, può trasformare il crimine in uno specchio spietato della società. Da leggere con la luce accesa.
Predatori di di Stefano Nazzi è uno di questi: una cronaca serrata, inquietante, avvincente, che ci accompagna nei decenni più oscuri della storia criminale americana, quando il male non aveva ancora un nome ma si aggirava silenzioso nei vicoli, nei parcheggi, nei salotti borghesi degli Stati Uniti.
L’autore, già noto per il podcast Indagini e per la sua capacità di rendere il true crime rigoroso e narrativo allo stesso tempo, ci porta negli anni ’60-’90, in quella che l’FBI ha definito “l’epidemia dei serial killer”.
È in questo periodo che figure come Ted Bundy, John Wayne Gacy, Edmund Kemper, Aileen Wuornos e Dennis Rader hanno segnato l’immaginario collettivo con crimini tanto efferati quanto inspiegabili.
Nazzi non si limita a raccontare i fatti, ma scava nella psicologia e nella costruzione mediatica di questi mostri “insospettabili”, come Bundy stesso disse: “Siamo ovunque. Siamo i vostri figli, i vostri mariti.” Accanto a questi ritratti, l’autore racconta anche la nascita del profiling: l’intuizione rivoluzionaria di due agenti dell’FBI, Robert Ressler e John Douglas, affiancati dalla psicologa Ann Burgess, che negli anni ’70 iniziarono a studiare i serial killer da dentro le prigioni, inaugurando quella che oggi è una vera scienza forense.
Fu Ressler a coniare il termine “serial killer”, Douglas a creare le prime tipologie comportamentali. Un’indagine su chi uccide, ma anche su chi insegue, su chi cerca di capire l’impensabile.
Attraverso queste pagine, Stefano Nazzi non spettacolarizza il crimine: lo decostruisce, lo racconta, lo analizza con rispetto per le vittime e rigore storico. Ma lo fa anche con uno stile narrativo così avvincente che sembra di leggere Mindhunter in versione italiana, con una lucidità che non lascia spazio a facili morbosità.
Il libro colpisce per la sua capacità di tenere insieme orrore e metodo, cronaca e riflessione. Non c’è compiacimento nel sangue: c’è l’urgenza di comprendere. Perché quei decenni sono stati un laboratorio dell’orrore ma anche l’inizio della moderna criminologia comportamentale.
Un testo perfetto per chi ama il true crime, ma anche per chi vuole capire meglio l’America e i suoi fantasmi. Ideale per i lettori di “Mindhunter”, “True Detective” e gli appassionati di criminologia, profiling e storia americana del crimine.
“Un segreto di ghiaccio” di Mo Malø
Un thriller glaciale e psicologico che svela il lato oscuro della Groenlandia, tra rituali inuit, suicidi misteriosi e fantasmi interiori. Il gelo della Groenlandia non è mai solo un paesaggio.
È una condizione dell’anima, un orizzonte bianco che confonde i contorni della realtà, dove ogni passo può essere un inganno, ogni silenzio una minaccia. Ed è proprio in questo scenario estremo che ritorna Qaanaaq Adriensen, l’ispettore più solitario e tormentato del noir internazionale contemporaneo.
Dopo un soggiorno forzato in Danimarca, Qaanaaq torna a Nuuk, capitale della Groenlandia, con un bagaglio emotivo che pesa quanto il ghiaccio sotto ai piedi. Ma ad attenderlo non c’è pace, bensì un caso che puzza di mito e sangue: il suicidio di una giovane donna con un tatuaggio inquietante, legato a un antico rituale sciamanico inuit. Poco dopo, un pacco anonimo contenente qualcosa di spaventoso riapre ferite mai sanate e inaugura una scia di morti sospette.
Mo Malø, pseudonimo dietro cui si cela un autore francese di grande successo, ci regala ancora una volta un thriller dove l’indagine poliziesca diventa discesa negli abissi dell’identità, della memoria, della colpa. Ogni pagina di Qaanaaq è percorsa da un brivido che non è solo termico: è esistenziale.
Cosa succede quando il male non è fuori, ma dentro di noi? Quando i mostri non si nascondono nei boschi, ma nei ricordi? Con una scrittura essenziale, affilata come un coltello sulla neve, Malø costruisce un’atmosfera avvolgente, fatta di gelo, superstizione e segreti taciuti.
Il vero protagonista è il contrasto costante tra la modernità della polizia e l’ancestrale spiritualità inuit, tra le città che si affacciano sull’Artico e le ombre interiori che nessun faro può illuminare.
Qaanaaq non è un eroe: è un uomo in bilico. E in questo nuovo capitolo, forse il più cupo e psicologico della serie, l’indagine lo porterà a confrontarsi con le verità che ha sempre evitato, con l’oscurità che non puoi arrestare con un distintivo.
Perfetto per chi ama i thriller nordici, ma cerca qualcosa di più profondo e disturbante. Un noir dell’estremo Nord che fonde crime, antropologia e introspezione.
“La fortuna del principiante” di Valerio Marra
Un noir di borgata tra ironia, disillusione e mistero. Il Natale più insolito è quello vissuto da chi non ha nulla da festeggiare. Guido Audaci è tutto fuorché un detective da romanzo patinato.
Non indossa impermeabili di marca né guida auto sportive. Non vive tra i grattacieli di Manhattan ma in un appartamento stretto tra palazzoni e supermercati, nel quartiere romano di Don Bosco, dove le luci di Natale fanno da contraltare alle bollette scadute e alle piccole sopravvivenze quotidiane.
È da qui che parte il nuovo romanzo di Valerio Marra, che ci consegna un giallo sociale, agrodolce e profondamente umano, con un protagonista che si fa amare proprio per le sue debolezze.
Guido è un investigatore stanco, padre separato, figlio di un uomo malato, sopravvive grazie alla pensione del genitore e ai casi che nessun altro vuole. Ma è anche un uomo che ascolta, che osserva, che prova ancora, nonostante tutto, a fare la cosa giusta.
Durante le festività natalizie, tra panettoni scontati e sogni da gratta e vinci, si imbatte in un caso di omicidio apparentemente casuale: un orologio da taschino, un cappotto rubato, un sarto scomparso, un boss chiamato Conte Nero.
Tra lavanderie, centri commerciali sgangherati e corse in motorino, prende forma un’indagine che è anche un ritratto affettuoso e spietato della periferia romana, con i suoi personaggi strampalati e veri: anziani soli, immigrati invisibili, padri falliti, figli ribelli.
Con una scrittura che sa essere divertente, malinconica e sorprendentemente poetica, Marra costruisce una storia che intrattiene e commuove, dove la tensione narrativa si intreccia a riflessioni sul senso della famiglia, della colpa e del riscatto.
Non è il Natale delle pubblicità, ma quello che pulsa tra le case popolari: fatto di cicatrici e di improvvisi gesti di speranza. Perfetto per chi ama i noir italiani con cuore e cervello, con atmosfere da “Romanzo criminale” che incontrano l’umanità sgangherata di un film di Virzì. Un giallo “di quartiere” che si legge con un sorriso amaro e il desiderio, alla fine, di dare una pacca sulla spalla a Guido Audaci.
“Morte di un Dio” di Emanuela Valentini
Ci sono romanzi che iniziano in silenzio, e poi urlano. Morte di un Dio è uno di questi. Marco Archetti, con la precisione di un chirurgo dell’animo umano, costruisce un thriller psicologico profondo e disturbante, capace di tenere insieme mito, violenza, isolamento e maternità negata, fino a un finale che non si dimentica.
Al centro della storia c’è Miriam, una ragazza cresciuta nell’eremo dei monti reatini, accudita da un padre e uno zio, Libero e Primo, figure ambigue e contraddittorie.
L’amore che la circonda ha il profumo del tabacco, della resina e del dopobarba, ma anche il peso del controllo, del silenzio forzato, della paura. Miriam conosce la montagna, ma non conosce il mondo. E nessuno conosce veramente lei.
In parallelo seguiamo Eleonora, un’antropologa che si ossessiona con la scomparsa di una ragazza, Chiara Ricci, sparita nei boschi del Cicolano.
E poi Lola, giovane paziente psichiatrica, che parla di “divinità che muoiono sulla montagna” e di bambine da salvare. Le sue parole vengono ignorate, derubricate a delirio.
Ma forse è l’unica a vedere davvero la verità. Tre donne, tre storie frammentate, tre voci che si rincorrono verso un unico centro oscuro: una montagna che custodisce il corpo di un dio e il segreto di un orrore indicibile.
Archetti scrive un romanzo che ricorda i migliori film di Ari Aster e Alex Garland, per come fonde la psicologia con l’elemento arcaico e misterico della natura.
Ma c’è anche qualcosa di più profondamente italiano: una riflessione sulle ferite dell’infanzia, sull’ambivalenza degli affetti, sulla trasmissione del male.
La montagna non è solo sfondo, ma personaggio attivo: una divinità selvaggia, che assiste muta e onnisciente al dramma umano. Il romanzo ci spinge a chiederci: “Che cosa è veramente un dio? E chi lo ha ucciso?” Morte di un Dio è consigliato a chi ama i thriller psicologici complessi, le storie di donne fuori dal coro, e la letteratura che osa attraversare il confine tra verità e follia.
Una storia che scava nei traumi collettivi, nei silenzi dell’infanzia e nelle menzogne di chi dice di amare.