Tra le pieghe della grande letteratura italiana si nascondono relazioni che sfuggono alle etichette, legami intensi e oscuri che ancora oggi fanno tremare i polsi ai biografi. Uno dei più discussi è senz’altro quello tra Giacomo Leopardi e Antonio Ranieri, un sodalizio durato oltre un decennio, fatto di lettere, viaggi, convivenze, silenzi, dediche e, come sempre accade quando l’affetto supera le convenzioni, di sospetti e pettegolezzi.
Cosa c’era davvero tra il poeta più tormentato dell’Ottocento e il suo inseparabile amico napoletano, scrittore fallito, dongiovanni dichiarato e uomo dalla fama ambigua? Semplice amicizia virile, come si amava dire nei salotti dell’epoca? O un sentimento più profondo, tenuto nascosto per non infrangere le ipocrisie di una società borghese e moralista?
Oggi, a distanza di due secoli, rileggere le lettere tra Giacomo e Antonio significa entrare in un territorio dove il confine tra amore e amicizia è sottile come la carta che le conteneva.
Giacomo Leopardi e Antonio Ranieri: amicizia, amore o complicità immortale?
Forse non sapremo mai tutta la verità sul legame tra Leopardi e Ranieri, e forse è giusto così. Alcuni sentimenti resistono alle etichette e sopravvivono proprio grazie al mistero. Ma una cosa è certa: senza Ranieri, Leopardi non sarebbe stato lo stesso, né come uomo, né come poeta.
Che il loro rapporto fosse di amore, d’amicizia o di dipendenza affettiva, resta comunque una delle più complesse relazioni della letteratura italiana. E forse anche una delle più moderne: in bilico tra pubblico e privato, tra arte e passione, tra morte e salvezza.
Come scrisse Leopardi:
“La vita è il sogno di un’ombra.”
Ma certe ombre non svaniscono mai.
Leopardi e Ranieri si conobbero nel 1830. Giacomo era già malato, stanco e disilluso; Antonio, invece, era giovane, affascinante, un libertino colto che amava conversare e frequentare intellettuali. Da quel momento, non si sarebbero più lasciati: vissero insieme per quindici anni, tra Firenze, Roma e Napoli, in un’epoca in cui due uomini adulti che convivono non potevano non destare mormorii.
Ranieri si occupò di lui come un compagno fedele: gli trovò casa, lo accompagnò nei viaggi, si occupava della sua salute, curava la sua corrispondenza. Quando si trasferirono a Napoli, vissero nella celebre Villa delle Ginestre, dove Leopardi compose alcuni dei suoi ultimi canti, tra cui La Ginestra, proprio durante l’eruzione del Vesuvio.
Le lettere, soprattutto quelle scritte da Leopardi, sono cariche di tenerezza, ironia, riferimenti velati. In una delle più famose, Leopardi lo definisce «la sola persona con cui io viva». E in un’altra scrive: “Voi siete tutta la mia famiglia, tutta la mia società, tutta la mia speranza.”
Giacomo Leopardi morì il 14 giugno 1837, a Napoli. Ma le circostanze della sua morte restano tutt’oggi oggetto di sospetti. Ranieri sostenne che morì d’improvviso, in piedi, mentre conversava con lui, a causa di un edema polmonare. Ma nessun medico fu mai chiamato. Nessuna autopsia venne eseguita. E soprattutto: il corpo non fu mai ritrovato.
Secondo la versione di Ranieri, Giacomo venne seppellito frettolosamente in una fossa comune a causa dell’epidemia di colera che colpiva Napoli in quel periodo. Ma i sospetti non mancano: perché un intellettuale così illustre fu lasciato senza una tomba? Perché nessuno assistette al suo funerale? Perché Ranieri stesso cambiò versione dei fatti più volte?
Alcuni studiosi, tra cui Sebastiano Timpanaro e Pietro Citati, ipotizzano che Ranieri volesse sottrarre la figura di Leopardi al pubblico, forse per proteggere la sua memoria, o forse per nascondere elementi della loro relazione che sarebbero apparsi scandalosi.
Dopo la morte del poeta, Ranieri si eresse a suo unico biografo, difensore e depositario. Scrisse Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi, un testo in parte agiografico, in parte reticente. Nessuna lettera compromettente fu pubblicata. Molte furono probabilmente distrutte.
Fu lui a impedire la pubblicazione di alcune prose più intime del poeta e, secondo alcuni critici, edulcorò anche i testi per adattarli a un pubblico moralista e poco tollerante verso qualsiasi devianza. Curioso per un uomo che si era fatto una fama di seduttore incallito, amante delle lettere ma anche del rischio, del teatro e delle pose romantiche.
Cosa c’era tra Giacomo e Antonio? Non ci sono prove inequivocabili di una relazione amorosa. Ma nemmeno abbastanza prove per escluderla. In un’epoca in cui l’omosessualità era un crimine e la mascolinità doveva corrispondere a modelli feroci e rigidi, la loro complicità appare scandalosamente libera.
Giacomo non si sposò mai, non ebbe relazioni note con donne, e il suo sguardo sul corpo e sul desiderio è sempre stato tormentato, idealizzato, riflessivo. Ranieri fu la sua costante. Il suo diario. La sua carne vicina.