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”Fridaus. Storia di una donna egiziana”, Memorie di una donna senza amore

Non ho mai sentito i lamenti delle prefiche sarde, ossia le celebri figure nere che, disposte attorno al pallido viso di un cadavere, ne piangono la dipartita e ne raccontano le doti, affinché le loro voci...

Non ho mai sentito i lamenti delle prefiche sarde, ossia le celebri figure nere che, disposte attorno al pallido viso di un cadavere, ne piangono la dipartita e ne raccontano le doti, affinché le loro voci, raccolte sulla calda terra e affidate al vento del ricordo, diventino storia e memoria.

 

Sono nata quando questa tradizione era scomparsa, sepolta sotto veli di vedove tessuti da mani nodose. Ma quel vento, il vento delle parole del passato, è giunto fino a me: lo riconosco come se ne fossi parte, quale granello di sabbia trasportato dalle coste della mia Isola fino a lidi lontani.

 

Quando iniziai a leggere il romanzo di Nawal Al Sa’dawi, “Firdaus. Storia di una donna egiziana”, edito nel 1984, mi accorsi immediatamente che le parole della scrittrice egiziana erano parte delle stesse folate brucianti che mi trasportavano.

Il romanzo, infatti, commemora una donna che decide di raccontarsi, il giorno prima della sua impiccagione, in quanto rea di omicidio, ad una psichiatra coraggiosa, che si è sempre battuta per i diritti femminili nei paesi arabi, fino a conoscere la prigionia, la minaccia e, infine, l’esilio.

 

Firdaus ripercorre, seduta per terra in una cella del carcere di Qanatir, nella città de Il Cairo, le tappe della sua vita, segnate dalla mancanza di amore e dal tentativo, sempre svilito, di avere dignità di persona, oltre e nonostante la violenza sempre subita, in tutte le sue forme.

 

Al termine della narrazione della sua storia, la protagonista, prostituta per scelta, affinché lei sola potesse darsi un valore, assume i macabri contorni dell’assassina. Ha ucciso, Firdaus, conficcando il coltello nelle carni di un uomo, una volta, e molte altre ancora, fendendo la lama della verità, più spietata di un boia.

Un romanzo duro, gravido di condanne e sentenze, che lascia il lettore con la sensazione di due occhi puntati addosso, in attesa di risposta.

 

Tutto ciò che posso ricordare sono due cerchi di un bianco intenso, che circondavano due dischi di un nero intenso. Dovevo soltanto guardarli, perché il bianco diventasse più bianco e il nero più nero, quasi che la luce del sole si riversasse su di essi, da una sorgente magica che non era né terra né cielo, perché la terra era nera come la pece e il cielo buio come la notte, senza sole e senza luna”.

 

Emma Fenu

 

14 giugno 2015
 
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