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Francesco Paolo Tanzj, ”La ripresa del nostro Paese dipende da un buon servizio scolastico”

Insoddisfazione dei docenti, la progressiva burocratizzazione del sistema, i difficili rapporti scuola-famiglia, il bisogno da parte dei giovani di risposte vere, le sempre crescenti difficoltà dei genitori. Sono questi i principali problemi che riguardano la scuola secondo Francesco Paolo Tanzj...

Lo scrittore romano parla del suo ultimo libro “Un paradiso triste” e presenta i problemi che caratterizzano il servizio scolastico italiano

 MILANO – Insoddisfazione dei docenti, la progressiva burocratizzazione del sistema, i difficili rapporti scuola-famiglia, il bisogno da parte dei giovani di risposte vere, le sempre crescenti difficoltà dei genitori. Sono questi i temi più scottanti che riguardano la scuola secondo lo scrittore Francesco Paolo Tanzj. L’autore di “Un paradiso triste”, giunto alla terza edizione, parla della sua opera e spiega quali sono le problematiche principali che interessano il sistema educativo italiano.

 

Da cosa nasce l’idea di questo suo libro “Un paradiso triste”?
Anni fa avevo iniziato a scrivere, per una rivista mensile, una serie di racconti intitolati “Gli appunti del professore” ma ben presto mi sono lasciato coinvolgere dall’argomento fino a trasformarlo in un romanzo vero e proprio, incentrato sui tre protagonisti, uno studente problematico, un professore “impegnato” e una madre ansiosa, che incrociano le loro vicende umane ed esistenziali in un crescendo di situazioni, metafora della vita di ognuno di noi, che d’improvviso li travolgono e li trasformano.
Io stesso mi sono pian piano immedesimato in ognuno di essi, assumendone quasi inconsapevolmente i tratti psicologici e il linguaggio fino ad essere tre persone in una.
“Madame Bovary c’est moi”, diceva Flaubert, affermazione questa che condivido perfettamente. Lo scrittore – come l’attore – deve diventare i suoi personaggi, quasi dimenticando la sua stessa personalità. La sua opera allora diviene altro da se, trasformandosi in un oggetto misterioso che il lettore può far suo, modificandolo interiormente nella sua soggettiva interpretazione.
Molti mi hanno chiesto se ci fosse qualcosa di autobiografico, essendo anch’io un professore di liceo. Non è così. Ma un po’ lo è anche. I miei ricordi di studente, le mie ansie di genitore, il mio ruolo di insegnante. O è solo la mia immaginazione di scrittore? Ai lettori l’ardua sentenza!
Mi è piaciuto scriverlo. E quando ne rileggo qualche parte, provo sempre nuove sensazioni.

Quali sono le novità in questa terza edizione?
L’editore “Tracce” di Pescara, considerato il buon successo del romanzo, soprattutto negli ambienti scolastici di varie città d’Italia, ha deciso di ristamparlo con l’aggiunta di una prefazione di Giuseppe Panella e di un’appendice tecnico-scientifica sulle condizioni della scuola italiana del sociologo Alessandro Scassellati Sforzolini, impietosa e quanto mai attuale disamina del nostro bistrattato sistema educativo nazionale.
Si tratta dunque di un testo bi-fronte e bi-uso: da una parte il romanzo, rimasto inalterato, per tutti quei lettori che vogliano lasciarsi trasportare da vicende e sentimenti, dall’altra le riflessioni critiche sulla scuola italiana, con i suoi interrogativi e le sue proposte di cambiamento, dedicato a gli operatori del settore e alle loro domande sempre inevase.
Questa edizione, così ampliata e ristrutturata, andrà dunque incontro alle esigenze di un pubblico più ampio e diversificato.

Il libro parla della situazione della scuola italiana. Quali sono le problematiche che emergono?
Il mio romanzo, nonostante sia solo (e volontariamente) una fiction incentrata sul disagio esistenziale dei suoi personaggi, non può fare a meno di offrire uno spaccato spesso impietoso del mondo della scuola, con le sue crisi e le sue passioni, tra le ore di lezione in classe e le intricate vicende umane e famigliari che tradiscono le incongruenze dei rapporti intergenerazionali mai del tutto appianate dalle labili strutture di un apparato logoro e ormai fuori dal tempo.
L’insoddisfazione dei docenti stanchi di dover fare i “missionari”, il loro lavoro sommerso e mai abbastanza riconosciuto, la progressiva burocratizzazione del sistema, i difficili rapporti scuola-famiglia, il bisogno da parte dei giovani di risposte vere, le sempre crescenti difficoltà dei genitori, la voglia di fare di più e la constatazione delle crescenti difficoltà a ben operare, l’ipocrisia e l’ottusità della classe politica, la lentezza e la contraddittorietà delle riforme attese da decenni e mai compiutamente attuate, il presente insicuro e il futuro negato.
Il sogno che non diventa mai realtà.

Cosa si può fare per migliorare l’istituzione scolastica italiana?
Come conclude Scassellati Sforzolini nella sua ben amara ma lucida appendice “Dobbiamo essere consapevoli che siamo ad un punto di non ritorno: se il nostro Paese vuole avere un futuro deve dedicare più attenzione e più risorse alla scuola pubblica per rinnovarla ed adeguarla alle sfide sempre più complesse del tempo presente, rilanciandone la missione prevista dalla Costituzione quale fattore fondamentale di formazione alla cittadinanza democratica, di emancipazione e di promozione sociale al fine di rimuovere quegli ‘ostacoli di ordine economico e sociale’ che impediscono il ‘pieno sviluppo della persona umana’.”
Che dire di più?
Qualche anno addietro il grande sociologo Ivan Illich parlava di “descolarizzare la società”; oggi, paradossalmente, la scuola ha l’arduo compito – checché ne dica la demagogica propaganda delle “tre i” (inglese, informatica, impresa) – di salvare i giovani da un passivo adeguamento ad una società arida, nichilista e tecnodipendente (e che proprio in questi ultimi anni sta mostrando il proprio fallimento) attraverso un consapevole recupero di un nuovo umanesimo, senza il quale sarà molto difficile poter pensare ad un mondo migliore.
Questo è il compito dell’educatore, che deve operare con scienza, spirito di sacrificio e creatività, in condizioni oggettivamente difficili e con assai poche gratifiche, sia morali che economiche.
Sono fermamente convinto che quella dell’educazione sia la prima e più importante esigenza di una società modernamente responsabile, perché è attraverso questa che si costruiscono le fondamenta stesse del vivere civile.
E’ necessario allora che lo stato riconosca alla classe docente i giusti meriti e una più giusta retribuzione – almeno in linea con quella della media europea – offrendo di conseguenza un servizio sempre migliore ai veri destinatari della scuola: i futuri cittadini di domani.
Il nostro sistema funziona male perché spesso – per motivi clientelari storicamente attestati – a troppi alti stipendi non corrispondono adeguate capacità e competenze, mentre troppi onesti lavoratori sono costretti a mal digerire alienanti confronti negativi.
E primi tra tutti quei tantissimi insegnanti che continuano idealisticamente e malgrado tutto a fare i “missionari del sapere”, per costruire i cittadini del domani.

27 giugno 2013

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