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Francesco Balletta, ”Leggere è la forma di intrattenimento più economica che ci sia”

A Francesco Balletta piace giocare con le soglie, le zone di passaggio. Per questo nel suo primo romanzo, ''Morto a 3/4'', ha deciso di condurre i lettori al confine di tutti i confini...

L’autore e sceneggiatore tv ci parla del suo primo romanzo, il giallo ”Morto a 3/4”, pubblicato da De Agostini, che presenterà questa sera alla libreria OPEN di Milano

MILANO – A Francesco Balletta piace giocare con le soglie, le zone di passaggio. Per questo nel suo primo romanzo, ”Morto a 3/4”, ha deciso di condurre i lettori al confine di tutti i confini, quello tra vita e morte. Sceneggiatore per Rai e Mediaset – è autore di fiction come “Distretto di polizia”, “La Terza Verità”, “RIS”, “Incantesimo”, “Don Matteo”, “Un passo dal cielo” –, con questo giallo ha intrapreso anche l’avventura della narrativa. Il protagonista è il maresciallo Domenico Campana, che mentre pranza nel suo ufficio davanti al fascicolo dell’ultimo suo caso, un omicidio commesso a Pietra Cotta, si soffoca con un ossicino di pollo. Poco male: lui non ne può più di delitti, magistrati e compagnia bella, e accetta la morte di buon grado. Alla dogana per trapassati, dove incontra anche la vittima dell’assassinio, apprende però di essere morto solo a 3/4: per ottenere un lasciapassare per l’aldilà, deve portare a termine l’ultima indagine. Deve allora ripartire da zero, con nuovi apparecchi e nuovi metodi di indagine, imbarcandosi in un’avventura che risvegli in lui la voglia di vivere.  L’autore presenterà il libro questa sera alle 18.30 alla libreria OPEN di Milano.

Com’è venuta l’idea del libro?
Per il mio primo romanzo volevo muovermi in un campo che conoscevo bene, per questo ho deciso di scrivere un giallo, il genere che frequento di più da sceneggiatore. D’altro lato però desideravo scrivere qualcosa di un po’ diverso dai miei soliti lavori. Da subito ho pensato di mettere l’investigatore, il maresciallo, a diretto contatto con la vittima, e perché questo fosse possibile occorreva che il personaggio fosse morto. Ragionavo su tutte le frasi che diciamo per riferirci a una persona “che è viva ma un po’ morta” – come “ha un piede nella fossa”, “è più di là che di qua” – e mi è venuto da chiedermi: chissà si direbbe se, viceversa, fosse una persona morta a essere ancora un po’ viva? È nata così l’idea del “Morto a 3/4”.

Scrivendo questo poliziesco così particolare, dal gusto ironico, che diventa anche una riflessione sulla vita, ha voluto operare un rinnovamento del genere?
Il mio intento non era così ambizioso, non sono partito con la presunzione di rinnovare il genere. Nel mare di romanzi gialli di alto livello già pubblicati e di personaggi che hanno grandissimo successo sia nei libri sia in televisione, volevo scrivere un romanzo che fosse più “mio”. E visto che mi piace giocare con le soglie, le zone di passaggio, i piani narrativi, mi sono indirizzato per questa strada. Volevo raccontare qualcosa che mi piacesse, portare i lettori in posti che anche io avevo voglia di visitare mettendomi a scrivere.

Che rapporto ha con il suo personaggio? Si riconosce in lui?
Purtroppo sì! I pregi sono tutti suoi, ma i difetti sono i miei. Anche io sono un po’ goloso, solitario, maldestro. E poi abbiamo gli stessi gusti: anche io amo i fumetti e i cartoni animati, come il maresciallo Campana.
Lui però ha un fiuto investigativo che a me manca, ovviamente.

Lei scrive anche per la tv, è autore di tanti sceneggiati Rai e Mediaset. Cos’ha in comune l’attività di scrittura per un libro con quella per la televisione, e cosa le ha dato invece di differente?
Ci sono sicuramente punti di contatto, che sono quelli inerenti le fondamenta del mestiere: la conoscenza del genere e delle strutture narrative. Io ho la fortuna di insegnare questi rudimenti nel Master di scrittura e produzione per la fiction all’Università Cattolica di Milano, per cui ho molta familiarità con questi aspetti, che restano identici nella scrittura narrativa e nella sceneggiature.
Cambiano invece la forma e la responsabilità dell’autore. La sceneggiatura è uno strumento che deve passare nelle mani di altri professionisti, il regista, gli attori, il produttore. Tutti insieme si collabora a realizzare il prodotto finito. Il romanzo invece passa direttamente dalle mani dell’autore a quelle del lettore, “dal produttore al consumatore”. È come la differenza che c’è tra una staffetta, in cui ognuno porta il testimone per un tratto della gara, e  una corsa in solitaria.

Visto che in Italia si legge così poco, mentre si guarda tanta televisione, cosa direbbe per invogliare chi guarda i suoi sceneggiati tv a provare anche l’esperienza della lettura?
Non vorrei che ci fosse un atteggiamento paternalistico o di presunzione nei confronti di chi non legge, per quanto io sia un lettore forte. Vorrei invece che si dicesse a queste persone che possono tranquillamente fare tutto quello che fanno normalmente e in più leggere. Non bisogna sacrificare niente per i libri: leggere costa meno di una pizza, è la forma di intrattenimento più economica, e si può fare in qualunque momento libero della giornata – in tram, a letto prima di prendere sonno, ogni volta che si hanno dieci minuti. I libri chiedono poco e danno molto: possono emozionare, spaventare, commuovere. Consiglierei semplicemente di entrare in libreria e di lasciarsi trasportare dal proprio gusto.
C’è una frase molto carina che ho letto su un blog riguardo al mio romanzo: “il rimedio perfetto dopo una giornata di inferno”. Ecco, secondo me molti romanzi hanno queste qualità. E siccome di giornate di inferno ne abbiamo tutti tante, soprattutto in questo periodo, consiglio proprio il rimedio della lettura, che per di più ha il pregio di non avere controindicazioni.

25 marzo 2014

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