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Francesca Barra, ”Quando si lascia la propria terra, è possibile realizzarsi senza mai perdere le proprie radici”

Una storia in cui il passato ha il sapore delle cose preziose il cui valore non sfiorisce mai, con protagonista una terra inesplorata e affascinante, ricca di tradizione, bellezza e mistero, spesso vittima di cliché e stereotipi tipici delle realtà meridionali. Parliamo di “Verrà il vento e ti parlerà di me”...

MILANO – Una storia in cui il passato ha il sapore delle cose preziose il cui valore non sfiorisce mai, con protagonista una terra inesplorata e affascinante, ricca di tradizione, bellezza e mistero, spesso vittima di cliché e stereotipi tipici delle realtà meridionali. Parliamo di “Verrà il vento e ti parlerà di me”, il primo romanzo della giornalista e scrittrice Francesca Barra. “Come una macchina fotografica che, invece di un’immagine, raccontasse un passato, una storia”, la conduttrice televisiva e radiofonica originaria di Policoro, in provincia di Matera, racconta una storia profonda che parla di una terra, di cui l’autrice è originaria, ricca di fascino. Una storia in cui la cucina è aggregazione, è insegnamento, è vita. Il racconto di due donne e della magia di trovare il proprio posto nel mondo. Mamma di due figli e lontano dalla sua Basilicata, Francesca Barra ci illustra in questa intervista quanto siano importanti le proprie radici per affermarsi anche lontano dalla propria terra.
 
Come nasce l’idea di questo romanzo?
E’ nato da più spunti: uno personale, l’atro professionale. L’estate scorsa, mentre mi trovato a casa dei miei genitori in Basilicata. Mentre riposavano tutti dopo pranzo, mi sono seduta in salone ed ho guardato la mia casa come se la stessi vedendo attraverso le immagini di un film. Chiudendo gli occhi, l’ho rivista come quando ero piccola, rivivendo alcuni episodi della mia infanzia. Improvvisamente, ho sentito la mancanza di tutto questo, in un momento professionale molto importante. A livello personale, avevo bisogno di mettere un po’ di ordine, ritrovandolo attraverso il disordine positivo e allegro della mia casa. Ho quindi deciso di aprire il computer e scrivere le prime frasi che riguardano l’odore della frittata che arrivava dal basso fino alla camera da letto. E’ stato quello il momento in cui io avevo bisogno di ritornare all’interno di quelle tradizioni.
Il secondo motivo è dipeso dal fatto che nessuno aveva mai raccontato la storia del popolo lucano, se non tratteggiando il cliché del classico meridionale. Il popolo lucano, invece, è abbastanza giovane, che ha vissuto dagli anni ’50 un cambio di registro, che meritava di essere raccontato. Non è un caso se Matera è stata proclamata di recente Capitale della Cultura.
 
Nel libro si parla di famiglia, cucina, tradizioni. Quanto c’è di autobiografico all’interno di questo romanzo?
Non parlo di me, ma naturalmente ci sono anche io in questo libro. Come Caterina, arrivata a Roma  sono stata un pesce fuor d’acqua, trattata come una “terroncella”. Invece di uscire, preferivo invitare gente a casa. E’ stato molto difficile capare, farmi capire e mostrare qualche lato un po’ chiuso di me. Alla fine, chi viene da fuori cerca di riprodurre il proprio micromondo. La sfida è stata quella di trovare il proprio posto nel mondo, aprendosi all’altro senza mai perdere le proprie radici.
 
Uno dei temi del libro è l’abbandono della propria terra per studiare ed affermarsi. Quali sono le difficoltà che si incontrano nell’abbandonare la propria città per fare nuove esperienze, portandosi dietro il proprio bagaglio affettivo e rimanendo fedeli alle proprie radici?
La familiarità. Chi va via, si rimette in gioco, non ha la garanzia del vicino di casa. Devi sempre rimetterti in discussione, andando incontro a pregiudizi e diffidenze. Le proprie radici vanno sempre mantenute: se inganni, snaturandoti, prima o poi vieni scoperto. Io sono rimasta sempre me stessa, ricreandomi anche fuori dalla mia città certi punti di riferimento: una prerogativa abbastanza meridionale.
 
Protagonista del libro, oltre i personaggi, è la terra dove si svolge la storia: la Basilicata. Quale rapporto hai con la tua terra d’origine?
Un rapporto bellissimo. Lì c’è sempre la mia famiglia, ci ritorno spesso. Non ho mai perso il contatto con la mia terra. Sono una lucana nel mondo: non ho “tagliato il cordone”.

Nel libro trovano spazio ricette tipiche della tradizione lucana. Cosa rappresenta per te la cucina e che ruolo ha all’interno delle tradizioni di un territorio?
La cucina è una cosa serissima. Il cibo è cultura, familiarità, conoscenza, unisce i popoli. E’ speranza, futuro, passato. Gli incontri migliori si fanno a tavola, durante i quali spesso si sanciscono alleanze.  L’emancipazione della donna è anche data dal fatto che oggi sia in grado di fare mille cose, senza mai perdere le proprie abitudini e passioni. Per me il cibo è tutto questo: è l’essenza della vita. Le ricette italiane esportate in tutto il mondo non solo quelle più elaborate, ma le ricette “povere”, quelle legate alla tradizione, i cosiddetti “piatti della nonna”.
 
12 maggio 2015

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