Chi dice che bisogna sempre muoversi per viaggiare? Ci sono libri che ci fanno muovere nel tempo, basta aprire un romanzo storico e siamo catapultati letteralmente nel medioevo o nella prima guerra mondiale, oppure quei libri che ci trasportano totalmente in mondi incantati tra spade infuocate, fate o, perché no, draghi.
Che si tratti di cavalcare accanto a un condottiero del Cinquecento o di attraversare un regno popolato da draghi e profezie, i romanzi storici e fantasy hanno un potere unico: farti viaggiare nel tempo e nella fantasia, senza bisogno di un biglietto aereo né di incantesimi. In questo articolo ti portiamo in luoghi perduti e immaginari, tra guerre e sortilegi, regine dimenticate e creature leggendarie. Sei pronto a partire?
6 libri che ti faranno viaggiare con la mente e non solo al mare
Appassionato di draghi o di intrighi di corte o di antiche maledizioni, di battaglie storiche o di leggende inventate, ogni libro è una porta aperta su un altrove. Leggere romanzi storici e fantasy è come varcare una soglia segreta: ti permette di scoprire il passato con occhi nuovi e di esplorare l’impossibile con cuore curioso. E allora non resta che scegliere la tua prossima destinazione: sarà l’Antico Egitto, un regno elfico o una Londra vittoriana infestata da spiriti? In ogni caso, buon viaggio. E ricorda: nel mondo dei libri, il tempo non è mai una gabbia. È un incantesimo.
Il tempo degli eroi di Frank Schätzing
Tra guerre civili, cospirazioni baronali e segreti sopravvissuti al fuoco, Il tempo degli eroi è un’avventura storica mozzafiato che intreccia azione, mistero e crescita personale sullo sfondo di una delle epoche più controverse del Medioevo europeo.
Siamo nel 1263. Mentre l’Inghilterra brucia nella morsa della guerra civile tra la monarchia assoluta di Enrico III e i baroni ribelli, una nave si avvicina alla costa sotto la copertura dell’oscurità. A bordo c’è Jacop, un giovane mercante il cui passato è segnato da un’ombra inquietante: la figura di una donna bionda e di un gigantesco rapace che anni prima hanno segnato la sua vita con il sangue e la cenere.
Jacop non è un eroe qualunque. È un ragazzo cresciuto nella fame e nella strada, trasformato in mercante grazie a Jaspar, un sacerdote affascinato dalla scienza e dalle potenzialità del sapere. Ma il suo passato brucia ancora come la fattoria della sua infanzia, e l’apparizione di quella stessa figura enigmatica, una guerriera con un’aura quasi mitica, lo costringe a mettersi di nuovo in viaggio, stavolta non per fuggire, ma per cercare la verità.
Dietro la figura della donna misteriosa si cela una rete di intrighi che minaccia di cambiare per sempre l’assetto del regno. Baroni ribelli, mercenari scozzesi, battaglie campali e antiche conoscenze segrete si intrecciano in un racconto che combina il respiro epico del romanzo cavalleresco con il ritmo serrato del thriller storico.
Il Medioevo raccontato in queste pagine non è affatto un’epoca buia: è pieno di luce, movimento, intelligenza, passione. Ed è proprio su questa tensione, tra progresso e superstizione, tra lealtà e tradimento, che si muove la vicenda di Jacop, in una narrazione intensa, avventurosa e profondamente umana.
Con una scrittura fluida e visiva, il romanzo ci trasporta tra porti in fiamme e boschi insidiosi, tra castelli assediati e santuari segreti, accompagnandoci in un viaggio alla ricerca delle origini, del senso di giustizia e del legame profondo tra conoscenza e potere.
Jacop non cerca solo vendetta. Cerca sé stesso, il senso del proprio passato, e, come ogni eroe tragico, una forma di verità che possa finalmente spiegare il caos che lo circonda. E quella verità ha il volto di una donna guerriera, custode di un segreto che potrebbe ribaltare il destino di un’intera epoca.
La moglie del fascista di Roberta De Santis
Roberta De Santis firma un romanzo potente, viscerale, capace di raccontare l’adesione ingenua e progressiva al fascismo attraverso lo sguardo lucido e drammatico di una giovane donna. Ambientato nella Marsica del 1927, tra macerie fisiche e morali, il libro ci porta dentro una delle stagioni più oscure della storia italiana, facendocela vivere in prima persona, senza sconti né retorica.
Avezzano è ancora ferita dal terribile terremoto del 1915 quando la giovane Francesca cresce tra il lavoro nei campi, le attese deluse e i discorsi di chi promette ordine e rinascita. Il fascismo, in quella terra sfinita, non arriva con il manganello, ma con la promessa di riscatto. E Francesca, che desidera una vita diversa dalla miseria contadina, che sogna un futuro più grande della sua condizione, si lascia sedurre.
A guidarla è Elisabetta, una professoressa carismatica che unisce insegnamento e indottrinamento. I suoi discorsi, i gesti dei giovani in camicia nera, la marzialità delle adunate: tutto contribuisce a costruire in Francesca un’illusione di potere, appartenenza e possibilità. Anche contro il volere del nonno, monarchico, tradizionalista, custode di valori che sembrano polvere del passato.
La parabola di Francesca è rapida, come quella di tanti che videro nel regime un’ascensore sociale e simbolico. Scalando i ranghi del fascio femminile, attira lo sguardo del generale Guido Di Matteo, nuovo podestà, uomo affascinante, autoritario e ambizioso. Il loro matrimonio le sembra la consacrazione definitiva, il coronamento di un destino scritto nella forza e nell’obbedienza.
Ma l’amore, se così si può chiamare, non basta a coprire le crepe. Quando le prime violenze sui dissidenti, tra cui anche persone vicine, amiche, compagne di strada, iniziano a dilagare, Francesca comincia a vedere il volto reale del potere. Le torture, le rappresaglie, le intimidazioni: tutto ciò che il fascismo aveva tenuto nascosto sotto l’oleografia della Patria, ora esplode nella sua brutalità quotidiana.
Quello di Roberta De Santis è un romanzo storico necessario, che si distingue per almeno tre motivi. Innanzitutto, per la scelta di una protagonista femminile in un contesto solitamente raccontato al maschile: Francesca non è solo testimone, è agente, è corpo e coscienza politica, è figura tragica che incarna il desiderio di riscatto e il prezzo della cecità ideologica.
In secondo luogo, il libro si radica profondamente nel territorio: la Marsica non è un fondale, ma una terra viva e ferita, che plasma e deforma i suoi abitanti. La voce dell’autrice, avezzanese, rende il contesto realistico, credibile, autentico.
Infine, lo stile. De Santis scrive con passione e precisione, alternando introspezione e cronaca, vicende personali e fatti storici, offrendo un affresco vivido e disturbante della costruzione del consenso durante il ventennio.
Francesca non è un’eroina, ma una figura complessa, umana, che rappresenta centinaia di uomini e donne che aderirono senza farsi domande, che videro il futuro brillare sotto una bandiera sbagliata. La sua storia non assolve, ma insegna a guardare i meccanismi sottili della propaganda, il modo in cui un potere totalitario può infiltrarsi nella speranza, nella fragilità, nella fame di riconoscimento.
Il meraviglioso ufficio postale di Toten di Horikawa Asako
Nel cuore di una montagna avvolta da nebbie e silenzi, esiste un luogo in cui la posta arriva anche ai morti, in cui il saldo karmico si può controllare con un libretto postale, e dove ogni oggetto smarrito può nascondere una storia dimenticata o una promessa non mantenuta. È qui che approda Abe Azusa, protagonista indimenticabile e sognante di questo romanzo dalle atmosfere incantate.
Azusa è una ragazza comune: cerca lavoro, manda curriculum, si arrabatta tra i dubbi della vita adulta. Ma possiede un talento bizzarro, quasi infantile: sa ritrovare le cose perdute. È così che viene assunta da un bizzarro ufficio postale in cima a una montagna. Un edificio che, secondo le voci, sarebbe infestato. In realtà, come Azusa scoprirà ben presto, non è un luogo di questo mondo.
Ad accoglierla, una squadra surreale e irresistibile: il burbero signor Aoki, che compila i saldi karmici dei clienti con aria burocratica; il vecchio signor Toten, impeccabile nel consegnare la posta ai defunti; lo strano Onizuka, muscoloso e silenzioso, uscito da un incrocio tra manga e mitologia.
L’autrice costruisce un romanzo che sembra una pellicola di Hayao Miyazaki, con venature malinconiche e passaggi che ricordano La città incantata o Il mio vicino Totoro. Ma sotto l’incanto visivo si cela un percorso di formazione e riscoperta profonda.
Azusa, tra lettere sospese e realtà sovrapposte, impara che la morte non è un confine netto, ma un’altra forma di viaggio, fatta di memorie, rimpianti, parole mai dette. È in questo spazio surreale, tra l’incanto e il disincanto, che la giovane protagonista si trasforma: da ragazza incerta e disillusa a messaggera di soglie, custode delle vite altrui.
In un equilibrio perfetto tra umorismo lieve e profondità filosofica, il romanzo ci conduce in una riflessione intima: Cosa lasciamo dietro di noi? Chi recapita i nostri sogni non realizzati? Quale saldo lascia l’anima al termine del proprio cammino?
L’ufficio postale di Toten diventa così una metafora potente: delle connessioni che resistono alla morte, dei legami che continuano a vibrare, dei messaggi che trovano sempre una strada, anche oltre la vita.
Storia naturale dei draghi: Le memorie di Lady Trend di Marie Brennan
Ci sono romanzi fantasy che ci portano in terre incantate, altri che ci regalano creature leggendarie. E poi ci sono libri come Storia naturale dei draghi, che mescolano con grazia la curiosità scientifica alla potenza dell’immaginazione, regalandoci non solo un mondo nuovo, ma anche una protagonista indimenticabile: Lady Isabella Trent.
Ambientato in un’epoca ispirata all’età vittoriana, tra tè delle cinque e rigidi corsetti, spedizioni coloniali e salotti pieni di condiscendenza maschile, il romanzo è la cronaca “retrospettiva” scritta in prima persona da Lady Trent, la più celebre studiosa di draghi del suo tempo. Ma prima della fama, delle scoperte e dei trattati accademici, c’era una bambina appassionata di ossa e ali, che sognava animali leggendari in un mondo che non le permetteva neppure di nominarli.
È in questo contrasto tra desiderio e limite che si accende la fiamma del racconto. Isabella, anti-convenzionale, ostinata, a tratti impaziente, sceglie la strada più impervia: quella che la conduce verso le montagne selvagge, le spedizioni scientifiche, e i draghi.
Il tono diaristico è uno degli elementi più originali del romanzo. Non siamo di fronte a un’epica classica, ma a un racconto ironico e riflessivo, profondamente umano, che guarda all’avventura con l’occhio di chi sa che la vera battaglia non è contro le bestie, ma contro i pregiudizi.
Isabella non si limita a raccontare i draghi come creature favolose: li disseziona, li studia, li osserva con rigore zoologico, trasformando il fantasy in una scienza alternativa e affascinante. Ma mentre scopriamo insieme a lei nuove specie, catene montuose e verità nascoste, seguiamo anche la sua evoluzione personale: la ragazza innamorata dei libri che diventa donna, moglie, ricercatrice.
Marie Brennan costruisce un universo narrativo che richiama la prosa elegante e asciutta del XIX secolo, con echi da Jane Austen, Charlotte Brontë e Charles Darwin, ma anche da Jules Verne, e lo infonde di una nuova vita grazie all’invenzione dei draghi come oggetti di studio scientifico, non solo di meraviglia o terrore.
Il tono è insieme sofisticato e accessibile, con una voce narrante ironica, saggia, un po’ snob, sempre lucidissima, che riflette sulle gaffe giovanili, le emozioni non dette, gli errori e i successi con la maturità di chi ha finalmente fatto pace con se stessa.
Storia naturale dei draghi è molto più di un romanzo fantasy. È un inno alla conoscenza, alla libertà, alla passione. È il diario segreto che avremmo voluto leggere da bambine, quando ci dicevano che le esploratrici non esistevano, che le dragonesse non erano contemplabili. È una storia di formazione travestita da bestiario, in cui i veri mostri sono gli ostacoli sociali e le catene invisibili, e i veri voli sono quelli del pensiero libero.
Un libro perfetto per chi ama i mondi immaginari ma anche la concretezza delle sfide interiori, per chi crede che le ragazze intelligenti cambieranno il mondo, una scoperta alla volta. E per chi sa che la libertà ha sempre il battito d’ali di un drago.
Le sorelle invidiose e altre storie morbose di Landis Blair
L’orrore in rima e l’infanzia come incubo: benvenuti nel mondo di Landis Blair. Avete mai riso davanti a una bambina che si strappa un braccio per invidia? Vi siete mai chiesti che cosa succede se un parco giochi si trasforma in una trappola mortale? Se la risposta è no, preparatevi: Le sorelle invidiose non è un libro che cerca il vostro consenso. È un libro che vi trascina sottoterra, vi fa ridere mentre sussultate, vi accarezza con una mano scheletrica e vi chiede: “Ti piace giocare al buio?”
Opera prima del fumettista statunitense Landis Blair, già celebrato per le sue collaborazioni con David Carlson e per le illustrazioni de L’Assassinio considerato come una delle belle arti, questo volume si impone come un piccolo classico istantaneo per chi ama il macabro ben scritto e ben disegnato.
Landis Blair è stato più volte accostato a Edward Gorey, e non a caso. Il suo tratto ricorda quello degli illustratori vittoriani, con linee fitte, chiaroscuri profondi, ombre che sembrano pulsare, ma ciò che davvero colpisce è l’intelligenza con cui trasforma le disgrazie in poesia. Le sue vignette in rima, tutte autoconclusive ma collegate da un sottile filo nero di ironia, ci raccontano una quotidianità familiare che si contorce in incubi degni di una ninna nanna sadica.
C’è una grazia perversa nei versi di Blair, un ritmo che fa pensare a Shel Silverstein o Roald Dahl nella loro versione più spietata, se avessero deciso di raccontare storie di cannibalismo materno e mutilazioni infantili con tono da filastrocca.
Il fascino di Le sorelle invidiose sta proprio qui: prende scorci ordinari della vita di tutti i giorni, un soggiorno, una carrozza della metropolitana, un tavolo da pranzo, un parco giochi, e li deforma con la lente dell’orrore surreale. Blair lavora sul contrasto tra l’innocenza apparente e la violenza improvvisa, regalando ai suoi lettori un effetto disturbante ma delizioso. Come se Quentin Blake avesse deciso di illustrare i sogni repressi di Tim Burton, o se Charles Addams avesse avuto un figlio segreto cresciuto a latte e incubi.
Le protagoniste delle storie sono spesso bambine monelle, sorelle crudeli, madri mostruose, bambini vendicativi. Nessuno è innocente, nessuno si salva. Ma è proprio in questo totale rifiuto della morale che il libro rivela la sua natura più profonda: un manifesto del grottesco contemporaneo.
Blair non si limita a fare il fumettista: è anche poeta, regista visivo, giocoliere linguistico. I suoi testi in rima sono ritmati, brillanti, mai banali. Ogni tavola è concepita come un piccolo quadro d’arte macabra, con una regia visiva attenta e teatrale. Il lettore è guidato lungo ogni storia come in una galleria delle cere, con sorpresa, disgusto e fascinazione in egual misura.
In un panorama editoriale che spesso separa la “letteratura disegnata” dalla “poesia illustrata”, Le sorelle invidiose è un oggetto ibrido, impossibile da incasellare, perfetto per chi cerca esperienze di lettura fuori dall’ordinario, ai confini del buon gusto.
È difficile non affezionarsi alla spietatezza di Blair. Le sue storie non consolano, non insegnano niente, non salvano nessuno. Ma ci parlano di quella parte dell’infanzia che viene spesso censurata: il rancore, la rabbia, la crudeltà senza filtri. In un mondo ossessionato dal politically correct, Le sorelle invidiose è un’ode all’irriverenza: disturbante, geniale, liberatoria.
Un libro per chi ama Roald Dahl quando diventa cattivo, per chi adora i racconti gotici da leggere al lume di candela, per chi sa che il confine tra fiaba e incubo è solo questione di rima.
Le sorelle invidiose è un volume da collezione, un piccolo tesoro nero, capace di unire la leggerezza della poesia all’angoscia dell’horror, l’ironia della satira al piacere perverso dell’illustrazione gotica. Landis Blair si conferma uno degli autori più originali e coraggiosi della scena contemporanea, pronto a prendere per mano i lettori… e trascinarli in un soggiorno pieno di trappole mortali. Un consiglio: non leggetelo a voce alta. Potreste attirare qualche sorella invidiosa.
Slewfoot. Una favola di stregoneria di Brom
“Se è una strega che vogliono. Allora una strega è ciò che avranno.”
C’è una furia antica che ribolle sotto la terra, tra le radici degli alberi e le ossa dei dimenticati. Una furia che non ha volto, o forse ne ha molti: Padre, per chi gli chiede protezione. Diavolo, per chi lo teme. Slewfoot, per chi ne parla sottovoce, in bilico tra maledizione e leggenda.
Con Slewfoot. Una favola di stregoneria, l’artista e scrittore Brom ci consegna un’opera potentissima, visionaria e brutale, che mescola horror e folklore, fantasy oscuro e critica sociale. Un romanzo illustrato che è anche un grimorio narrativo, in cui i mostri non si nascondono solo nei boschi, ma nelle leggi degli uomini e nei dogmi della fede.
La storia è ambientata nel Connecticut del 1666, durante uno dei periodi più bui della storia americana: quello della colonizzazione puritana, della repressione religiosa e della paranoia nei confronti del diverso. Protagonista è Abitha, giovane donna inglese rimasta vedova in un villaggio che non l’ha mai accettata del tutto. È intelligente, indomita, ribelle per necessità: troppo colta per stare zitta, troppo libera per piegarsi.
Quando il marito muore in circostanze ambigue, la comunità inizia a stringerle il cappio intorno al collo: è sola, senza potere, senza protezione. Ma nella foresta c’è una creatura che si muove nell’ombra. Un essere dimenticato, antico quanto il mondo, che si risveglia dal sonno millenario. Abitha lo incontra, e da quel momento nulla sarà più come prima.
Il cuore del romanzo è lui: Slewfoot, creatura mutaforma e ambigua, tanto bestiale quanto filosofica. È difficile dire se sia un demone o un dio in decadenza, uno spirito della natura o un abominio. Di certo è diverso, troppo “altro” per essere compreso da una comunità fondata sull’intolleranza.
Brom lo tratteggia con maestria: è mostruoso ma non malvagio, violento ma capace di pietà. È l’emblema del potere primordiale e pagano, che si scontra frontalmente con il moralismo cristiano dei coloni. Il suo rapporto con Abitha evolve come una danza tra sopravvivenza, affinità e ribellione: lui è la sua ultima speranza. Lei è la sua occasione per ricordare chi era.
Slewfoot non è solo un horror ben costruito, ma un romanzo di formazione gotica. Abitha cresce, cambia, si spezza e si ricompone. Da vedova indifesa a strega che brucia l’ordine stabilito, compie un percorso che è un inno alla vendetta e all’autodeterminazione.
Nel mondo narrato da Brom, essere donna è già un atto sovversivo, essere libera equivale a una condanna a morte. La stregoneria, qui, non è solo magia: è linguaggio del dissenso, è simbolo di tutto ciò che viene punito perché non obbedisce.
Il romanzo sfida i confini tra bene e male, fede e follia, creando una tensione morale continua: chi è il vero mostro? Il diavolo nei boschi o gli uomini che bruciano chi non si sottomette?
Brom, celebre per le sue illustrazioni dark-fantasy, arricchisce Slewfoot con una serie di dipinti a tutta pagina, inquietanti e maestosi, che amplificano la potenza immaginifica della storia. Le sue tavole non sono semplici accompagnamenti: sono portali visivi che traducono in icone l’anima del romanzo. Figure contorte, boschi inquieti, occhi che brillano nell’ombra. Ogni immagine è una reliquia di un mondo dimenticato, un pantheon profanato.
Slewfoot non è un romanzo rassicurante. È crudo, selvatico, sanguigno. Ma è anche profondamente umano. Parla di dolore e rinascita, di ciò che accade quando il mondo ti schiaccia e l’unica risposta possibile è la trasformazione. È una favola nera per adulti, una riflessione sulla libertà individuale, sull’ipocrisia religiosa e sulla potenza della natura indomita.
Se amate i romanzi illustrati che sembrano usciti da un incubo, se cercate storie che uniscano storia, mitologia e ribellione femminile, Slewfoot è una lettura da non perdere. Un viaggio nel cuore della foresta, dove il diavolo forse è solo un dio antico che aspetta di essere risvegliato, e la strega è la voce di tutte le donne messe a tacere.
Un libro che si legge con il cuore in gola, tra un incantesimo e un ruggito.