Che libro leggo questa estate? 13 consigli di lettura adatti ad ogni stato d’animo

30 Giugno 2025

Scopri i migliori libri da leggere con i nostri 13 consigli di lettura per rendere speciale la tua estate.

Che libro leggo questa estate? 13 consigli di lettura adatti ad ogni stato d'animo

L’estate è fatta di valigie leggere, sogni pesanti e pagine da sfogliare sotto l’ombrellone, nel silenzio di una casa di campagna o tra le lenzuola scomposte di una notte insonne. Ma con così tanti libri che promettono meraviglie, la vera domanda è una sola: che libro leggo quest’estate?

Non importa se sei alla ricerca di un grande amore da vivere in riva al mare, di un mistero che ti tenga sveglio fino all’alba o di un viaggio immaginario attraverso epoche e continenti, noi abbiamo selezionato i titoli giusti per ogni tipo di lettore estivo, dal più grande e più esigente, al più piccolo. Perché la storia giusta può rendere indimenticabile anche il più banale dei pomeriggi torridi.

13 libri da leggere questa estate, uno perfetto per ogni mood

Puoi immergerti in un’avventura fantasy, scegliere di perderti nei pensieri malinconici di un memoir o di ridere con una commedia brillante, ricorda: non esiste estate perfetta senza un grande libro. E forse non c’è niente di meglio che scoprire, tra il sale sulla pelle e il profumo della carta stampata. Ogni estate può essere la tua stagione preferita, basta avere il romanzo giusto tra le mani e dimenticherai anche il caldo.

Vorrei farla finita ma sempre mangiando Toppokki di Baek Seheee

Vorrei farla finita, ma anche vivere, secondo memoir di Baek Sehee, è uno di quei libri. Un diario intimo e spietatamente onesto che prosegue la narrazione iniziata con Vorrei farla finita, ma anche mangiare toppokki, già diventato una voce imprescindibile per chi si confronta con la depressione e l’ansia.

Con una scrittura diretta, priva di ogni pietismo, Baek racconta la sua quotidianità scandita dagli incontri settimanali con lo psichiatra, i momenti di stallo, le ricadute, le notti insonni in cui la vita sembra collassare su sé stessa. La sua non è una depressione spettacolare, urlata. È la depressione silenziosa e strisciante che si insinua nei pensieri più banali, nell’autocritica continua, nei giorni che sembrano tutti uguali.

È la stanchezza che pesa anche quando tutto intorno sembra “normale”. Lavorare nell’editoria, un sogno per tanti, si trasforma ben presto in una trappola: competitività, perfezionismo, insicurezza costante. Il corpo diventa nemico, specchio distorto di un’autostima fragile. Il cibo e l’alcol, strumenti per anestetizzare un dolore che non ha nome, ma che sa come farsi sentire.

Finché qualcosa accade. Un incidente stradale. La vita che poteva finire. Ma non finisce. Quella che in un altro romanzo sarebbe la svolta risolutiva, qui è solo l’inizio. L’inizio di un nuovo dialogo con sé stessa, fatto di piccoli passi e continue cadute. Baek non finge che sia facile. Ma testimonia che è possibile. Che si può smettere, lentamente, con fatica, di odiare sé stessi. E che a volte si resta vivi per caso, e da quel caso nasce la possibilità di una nuova scelta.

Il cuore del libro pulsa nel confronto continuo con il terapeuta, che non offre ricette né facili soluzioni, ma parole che aiutano a scardinare convinzioni tossiche. Frasi come “non sei sbagliata, stai solo soffrendo” diventano ancore, non slogan. In quelle pagine, Baek Sehee riesce a dare corpo a un dolore spesso invisibile, e a costruire una narrazione che consola non perché addolcisce, ma perché risuona vera.

Questo memoir è un atto di resistenza gentile. Non insegna a “guarire” la depressione, perché la guarigione non è mai lineare, ma mostra che si può imparare a conviverci, ad accettarla come parte della propria storia senza esserne definiti per sempre. È un libro che si rivolge a chi ha conosciuto il buio, ma anche a chi vuole imparare a riconoscerlo negli altri. Perché comprendere davvero cosa sia la depressione è il primo passo per distruggere lo stigma che ancora la circonda.

Vorrei farla finita, ma anche vivere non è un manuale, né un’invettiva. È la cronaca di una sopravvivenza. Un memoir che parla con la voce fragile e potente di chi ha sfiorato il fondo e ha deciso, con infinita pazienza, di risalire. Un libro che andrebbe letto in silenzio, sottolineato, e regalato a chi ci sta vicino. Perché in quella voce spezzata e lucida si nasconde un messaggio urgente: non siete soli. Anche il dolore più silenzioso merita di essere ascoltato.

Semantic Error vol 1  di J Soori

Nella programmazione informatica, un semantic error è un errore logico: il codice è formalmente corretto, ma il significato è sbagliato. È perfetto, allora, che questo titolo sia stato scelto da J. Soori per raccontare la collisione tra due mondi apparentemente incompatibili: quello ordinato, freddo e logico di Choo Sangwoo e quello caotico, emotivo e magnetico di Jang Jaeyoung.

Non solo un titolo simbolico, ma la chiave di lettura per entrare in un romance intelligente, sensuale e dal taglio inaspettatamente filosofico. Nato come webnovel e diventato un successo planetario grazie al webtoon illustrato da Angy e al K-drama omonimo, Semantic Error approda finalmente in Italia in forma romanzata. E non delude: la scrittura di J. Soori è precisa, tagliente, capace di alternare umorismo, introspezione e una tensione romantica calibrata con sapienza.

Choo Sangwoo è il classico genio della facoltà di informatica: brillante, iper-razionale, incapace di leggere le emozioni altrui e totalmente dedito a una routine ordinata come il codice che scrive. Per lui, tutto ciò che non rientra nel calcolo è una minaccia. Ed è proprio per senso di giustizia, o, più precisamente, per coerenza logica, che denuncia i suoi compagni di corso assenteisti, mandando all’aria le speranze di laurea di Jang Jaeyoung, carismatico studente d’arte all’ultimo anno, destinato a una carriera internazionale.

L’incontro-scontro tra i due è immediato, irriverente, carico di tensione e ironia. Jaeyoung è tutto ciò che Sangwoo detesta: impulsivo, popolare, spavaldo. Ma è anche impossibile da ignorare. Quando inizia una vendetta sottile fatta di provocazioni quotidiane, intrusioni nella vita ordinata di Sangwoo e commenti che sembrano sciocchi ma sono micidiali, la corazza del protagonista comincia lentamente a incrinarsi.

Il cuore del romanzo è proprio lì: nel passaggio quasi impercettibile dall’ostilità all’intimità. J. Soori costruisce un classico enemies-to-lovers, ma lo fa con una sensibilità rara. Le provocazioni di Jaeyoung non sono mai gratuite: mirano a scardinare la visione rigida del mondo che Sangwoo si è costruito per difendersi. E quando il muro cede, ciò che emerge è un ragazzo vulnerabile, brillante, e totalmente impreparato a ciò che prova.

Non c’è sentimentalismo facile, né una sessualizzazione fine a sé stessa: il desiderio, qui, è una conseguenza della connessione, e l’attrazione diventa linguaggio comune tra due persone che sembravano parlare idiomi opposti. Semantic Error è un romance queer, certo. Ma è anche una storia di crescita, di scoperta, di rottura degli schemi imposti, non solo sociali, ma anche interiori.

Sangwoo, che inizialmente interpreta ogni deviazione come un errore di sistema, comincia a capire che è proprio nell’imprevisto che si annida la possibilità di un’esistenza più piena. Jaeyoung, d’altro canto, non è soltanto un affascinante provocatore, ma un artista con una visione profonda del mondo, che riesce a far luce nelle pieghe più oscure dell’animo di Sangwoo.

L’edizione italiana è impreziosita dalle splendide illustrazioni di Angy, disegnatrice del webtoon originale, che riescono a dare corpo e sguardo ai due protagonisti senza mai soffocare la narrazione. Al contrario, la arricchiscono, completando l’immaginario che tanti lettori avevano già cominciato ad amare sullo schermo e online.

Semantic Error è più di un romanzo d’amore. È la dimostrazione che anche l’animo più rigido e razionale può essere travolto dall’imprevisto, e che l’amore, come un errore semantico, può essere ciò che rompe il codice, ma anche ciò che lo rende finalmente umano. Un’opera consigliata non solo ai fan del BL coreano, ma a chiunque voglia una storia ben scritta, moderna, ironica e profonda. Perché in fondo, l’errore più bello è quello che ci cambia per sempre.

My Beautiful man vol 1  di Nagira Yuu

L’adorazione che diventa amore: un boys’ love disturbante, viscerale, impossibile da dimenticare Cosa accade quando l’amore non nasce tra pari, ma dall’asimmetria? Quando non è un incontro, ma una venerazione? My Beautiful Man non racconta una semplice storia d’amore tra adolescenti, ma qualcosa di più profondo, disturbante e carnale: il bisogno disperato di essere visti e la fragilità di chi ama in silenzio, da un angolo buio del mondo. Pubblicato in Italia da Mondadori, con le evocative illustrazioni di Kasai Rikako, questo primo volume della light novel di Nagira Yuu esplora i limiti dell’affetto, il desiderio come dipendenza e il primo amore come ossessione.

Hira è l’ombra perfetta: timido, balbuziente, invisibile per scelta. Vive ai margini della scuola, osservando il mondo attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica. Nessuno si accorge di lui, e va bene così. Ma tutto cambia quando nella sua classe arriva Kiyoi: bellissimo, arrogante, popolare. Un dio pagano in uniforme scolastica.

Per Hira, vederlo equivale ad adorarlo. Non c’è spazio per la reciprocità: l’amore che prova è totale, silenzioso, servile. Fin dalle prime pagine, la dinamica tra i due protagonisti si configura come un rapporto di potere sbilanciato, più vicino al culto che al sentimento. Hira desidera restare ai piedi del suo “re”, pronto a seguirlo, fotografarlo, servirlo.

Un amore che ha il sapore dell’umiliazione, ma anche della devozione più assoluta. Nagira Yuu ci porta dentro questo labirinto emotivo senza edulcorare nulla, lasciandoci disorientati, coinvolti, spesso a disagio, eppure incapaci di distogliere lo sguardo. Se il genere boys’ love ci ha abituati a coppie ben bilanciate o dinamiche prevedibili, My Beautiful Man distrugge ogni schema: qui il romance non è tenero né protettivo, ma viscerale e ambiguo.

Eppure è proprio questa l’innovazione più potente del romanzo. La narrazione in prima persona ci chiude nella testa di Hira, che interpreta ogni gesto di Kiyoi come un segno divino, una concessione, un dono. Ma poco a poco, tra fughe e silenzi, il lettore intravede anche le crepe di Kiyoi, il suo bisogno di essere adorato, il suo modo di aggrapparsi a Hira pur senza dichiararlo.

Il rapporto evolve in modo inatteso: dall’ossessione si passa alla tenerezza, dalla dipendenza al desiderio reciproco. Ma non si tratta mai di una storia lineare. È un legame fatto di dinamiche complesse, di piccoli abusi psicologici e guizzi di dolcezza, di silenzi che gridano e parole che mancano.

E in questa zona grigia si sviluppa una delle rappresentazioni più autentiche e spiazzanti del primo amore queer. Nagira Yuu scrive con una precisione chirurgica. Le scene sono brevi, intense, ricche di sottotesti. Non c’è mai una morale esplicita, e il lettore si trova costretto a porsi domande scomode: fino a che punto è sano amare? Dove finisce l’idealizzazione e dove comincia la violenza emotiva? Possiamo giudicare Hira per il modo in cui si annulla? Possiamo assolvere Kiyoi, che alterna freddezza e bisogno? E proprio in questa ambiguità si trova la forza del romanzo. Non vuole rassicurare.

Non vuole piacere a tutti. Vuole raccontare l’amore come qualcosa che brucia, consuma, cambia. My Beautiful Man è una storia d’amore queer che parla la lingua del desiderio più spietato e della solitudine più profonda. È un romanzo che mette a disagio, ma che al tempo stesso emoziona per la sua sincerità brutale.

Nagira Yuu ci regala una narrazione sfumata e disarmante, perfetta per chi cerca nel boys’ love qualcosa di diverso: non il sogno a lieto fine, ma il ritratto crudo e poetico di due anime che si inseguono nel buio per imparare ad amarsi. Un’opera imperdibile per chi ama i BL psicologici, per chi ha vissuto l’amore come bisogno, per chi sa che a volte l’affetto più profondo nasce proprio dall’abisso.

Tutto sempre ovunque come siamo diventati post-moderni di Stuart Jeffries

C’è stato un momento, più o meno verso la fine degli anni Settanta, in cui l’Occidente ha smesso di fare le domande difficili. Le piazze si sono svuotate, il pensiero critico ha perso centralità, e il desiderio di benessere personale ha preso il sopravvento sul bisogno collettivo di giustizia sociale.

Jeffries racconta questa transizione epocale attraverso dieci capitoli tematici, ciascuno strutturato come un trittico: un’opera d’arte, un evento storico-sociale, un’idea filosofica. Il risultato? Un viaggio arguto e illuminante nella cultura contemporanea. Si passa da Star Wars al punk, da Derrida a Lady Diana, da Reagan a Madonna, da Warhol a Margaret Thatcher, in un mosaico narrativo che incastra icone pop, crisi geopolitiche e testi teorici con una naturalezza disarmante.

È come se Jeffries ci portasse per mano dentro un grande museo di idee, dove tutto è connesso: neoliberismo, estetica dell’intrattenimento, consumismo identitario e dissoluzione dei grandi racconti. Con la stessa verve che aveva reso Grand Hotel Abisso un cult per chi ama la filosofia critica. Jeffries riesce a rendere accessibili pensatori come Foucault, Lyotard, Jameson e Žižek, senza rinunciare alla complessità.

Ma qui c’è di più: Tutto, sempre, ovunque è anche una riflessione nostalgica e sarcastica sulla trasformazione dell’esperienza umana. Il titolo stesso è una dichiarazione di poetica: viviamo in un’epoca in cui tutto deve essere immediato, accessibile, fluido. Ma a quale prezzo? Questo saggio non è solo un racconto del passato, ma una mappa per orientarsi nel presente.

Ci mostra come le sinistre abbiano perso la narrazione, come il capitalismo si sia reinventato in chiave moralista e seducente, e come la cultura pop sia diventata lo spazio dove si rielaborano, e si anestetizzano, i grandi traumi sociali.

Con il suo tono narrativo incalzante, Stuart Jeffries ci ricorda che la post-modernità non è un’epoca da studiare a posteriori: è il mare in cui nuotiamo ogni giorno, spesso senza accorgercene. Le sue pagine, colte ma mai pedanti, ci insegnano a leggere il presente con maggiore consapevolezza.

Tutto, sempre, ovunque è un saggio travolgente, colto e necessario. Una lente per osservare da vicino la trasformazione culturale che ha segnato gli ultimi quarant’anni e che ancora oggi influenza il modo in cui pensiamo, consumiamo e sogniamo. Stuart Jeffries scrive con l’ironia tagliente di chi sa che la filosofia può essere pop senza perdere rigore. E ci offre una riflessione che è, al tempo stesso, una lezione di storia culturale e una critica affettuosa (ma impietosa) del nostro tempo.

Dove vai così di fretta? di Lama Michel Rinpoche

La gentilezza come atto rivoluzionario: un libro che ci insegna a vivere meglio, partendo da dentro, in un mondo che corre, che urla, che ci sovraccarica di stimoli e ansie. Dove vai così di fretta? di Lama Michel Rinpoche arriva come un sussurro potente, una carezza gentile che ci invita a rallentare, a guardarci dentro, a ricominciare.

Senza pretese esoteriche né forzature dottrinali, questo libro si rivolge a chiunque, buddista o meno, senta il bisogno di recuperare un senso autentico dell’esistenza. Quello che colpisce fin dalle prime pagine è la voce dell’autore: non il tono cattedratico del maestro spirituale, ma quello umano, semplice e disarmante di chi ha scelto di vivere nella consapevolezza, ma sa benissimo cosa significhi cadere e ricominciare.

Lama Michel parla al lettore con una tenerezza schietta, quasi familiare. Le sue riflessioni non iniziano dalle vette del pensiero filosofico, ma dalla nostra vita quotidiana: le relazioni tossiche, il peso del giudizio, l’ansia da prestazione, il senso di solitudine. Con la calma di chi ha fatto del silenzio interiore una guida, l’autore ci porta in un viaggio fatto di aneddoti personali, osservazioni luminose e insegnamenti buddhisti spiegati con chiarezza.

Non c’è nulla di oscuro o elitario: ogni concetto viene restituito in modo accessibile, con una leggerezza che non rinuncia alla profondità. Una delle intuizioni chiave del libro è che la felicità non è un dono piovuto dall’alto, ma una competenza, un’attitudine che può essere coltivata.

Lama Michel parla di “allenamento mentale” come di un percorso di trasformazione: imparare a non reagire impulsivamente, a osservare le emozioni, a scegliere la gentilezza invece dell’ira, la fiducia invece del sospetto. In questo senso, il libro si inserisce con forza nella tradizione del buddhismo tibetano, ma lo fa con uno stile del tutto nuovo: non ci sono precetti rigidi, ma inviti a esplorare, a mettere in discussione, a osservare se stessi con onestà e senza colpa.

Ma Dove vai così di fretta? Non si ferma alla dimensione individuale. Lama Michel ci ricorda che la vera spiritualità non si chiude in una pratica solitaria, ma si riflette nei piccoli gesti del vivere insieme. Cambiare noi stessi, allenare la nostra mente alla compassione e alla gratitudine, significa anche cambiare il modo in cui stiamo al mondo: nel lavoro, nella famiglia, nella società.

Il messaggio è potente, ma mai aggressivo: possiamo essere parte della soluzione. Possiamo smettere di alimentare l’indifferenza, la rabbia, la frustrazione che intossica le nostre giornate. Possiamo cominciare oggi, da un piccolo gesto.

Dove vai così di fretta?  è molto più di un libro di spiritualità: è un compagno gentile per chi sta cercando un modo più umano di vivere. Lama Michel Rinpoche ci insegna che la trasformazione non avviene nel clamore, ma nella quieta scelta quotidiana di essere presenti, compassionevoli, autentici. È una lettura che consola, ma soprattutto che apre: uno di quei testi che non si dimenticano facilmente, perché ci restituiscono una visione possibile, e rivoluzionaria, della felicità.

Dentro il libro di Alberta Zancudi

In un tempo in cui i libri si sfogliano tanto su carta quanto su schermo, Alberta Zancudi ci invita a guardare con occhi nuovi il cuore stesso della cultura scritta: il libro. Non un oggetto scontato, ma una creatura complessa e affascinante, con una doppia anima, materiale e simbolica, che Dentro il libro analizza e celebra con rigore e passione. Strutturato come una guida essenziale ma mai arida, il saggio accompagna il lettore attraverso le diverse componenti dell’oggetto libro: il corpo fisico (copertina, carta, impaginazione), il lavoro editoriale invisibile che lo rende possibile (editing, correzione, progettazione), e il contenuto che gli dà senso.

È un’esplorazione a più livelli, che parte dalle mani e arriva alla mente, che non separa mai forma e significato, autore e lettore.

Zancudi non si limita a offrire una visione tecnica o specialistica: ogni concetto, dalla narratologia alla semiotica, viene reso accessibile grazie a esempi concreti, analogie vivide, e una scrittura limpida che riesce a parlare a studenti, appassionati, aspiranti scrittori e lettori consapevoli.

Uno dei meriti maggiori di questo volume è quello di restituire al libro la sua piena tridimensionalità: non solo prodotto culturale, ma oggetto, sistema di significati, atto comunicativo e ponte tra autore ed editore, tra editore e lettore.

Zancudi ci ricorda che leggere non è mai un’azione passiva: è un gesto interpretativo, una costruzione di senso. E ci mostra come, nella catena di produzione editoriale, ogni passaggio sia un atto di mediazione che influenza profondamente ciò che un libro “dice” e “diventa”.

Senza mai scivolare nella pedanteria accademica, Dentro il libro riesce in un compito raro: offrire strumenti pratici per leggere in modo più consapevole, e insieme far riflettere su cosa significhi davvero scrivere, pubblicare, diffondere un testo oggi. È anche, se vogliamo, una guida etica al lavoro culturale, che valorizza l’invisibile, il redattore, il correttore, il grafico, il revisore, e ne sottolinea il ruolo nel plasmare la qualità di un’opera. Per questo motivo il libro si rivela prezioso tanto per chi vuole affacciarsi al mondo editoriale quanto per chi legge per mestiere o per passione, perché offre una mappa per orientarsi nel territorio, sempre più affollato e ibrido, della letteratura contemporanea.

Dentro il libro è una lettura illuminante e necessaria per chi ama i libri non solo come contenuto, ma come forma, lavoro, oggetto e relazione. Alberta Zancudi firma un’opera che è insieme manuale, saggio divulgativo e atto d’amore: un testo da leggere, sottolineare, consigliare, e soprattutto da tenere accanto ogni volta che si apre, o si scrive, un libro. Perché comprendere come funziona un libro ci aiuta anche a comprenderci meglio come lettori, autori, cittadini della parola scritta.

Bodies  di Christine Anne Foley

Charlotte attraversa la vita come una funambola, in bilico tra attrazione e annientamento. Ogni corpo che incontra, amato o odiato, sconosciuto o amico, diventa un campo di battaglia in cui misurare la distanza da sé, o forse cercarsi disperatamente.

Bodies non è solo il racconto di una giovane donna e dei suoi uomini: è il ritratto crudele e tenero di una fame emotiva senza tregua, un romanzo che parla di desiderio come dipendenza e di amore come ferita mai rimarginata.

L’autrice costruisce una protagonista magnetica, sfuggente, contraddittoria. Charlotte non è mai del tutto vittima né carnefice, mai del tutto sincera con sé stessa, e forse nemmeno con chi legge. Narratrice inaffidabile, ci accompagna dentro una spirale di relazioni che sono insieme passaggi di formazione e cicatrici, momenti di estasi e crampi di solitudine.

Più la sua galleria di partner cresce, più si fa evidente un dolore profondo, rimosso, che si nasconde dietro ogni abbandono, dietro ogni incontro consumato come una preghiera o una punizione. Il romanzo sorprende per la sua scrittura tagliente e sensuale, che si fa carne, pelle, respiro.

Il corpo femminile non è mai oggetto da guardare, ma spazio da abitare e interrogare. In Charlotte convivono ribellione e resa, vergogna e potere, controllo e abbandono. L’autrice riesce a raccontare la sessualità non come atto da consumare, ma come linguaggio: un modo per chiedere amore, per rifiutarlo, per esistere.

Dietro ogni storia con un uomo, si cela una domanda più profonda: chi è Charlotte quando non si specchia negli occhi (o nei corpi) degli altri? Cosa resta quando finisce la notte, quando il sesso si spegne e torna il silenzio? Il libro scava senza pietà nelle zone d’ombra della crescita emotiva e sessuale, mostrando quanto sia difficile, e urgente, imparare ad amarsi senza chiedere conferma al mondo esterno. Bodies è un romanzo potente, disturbante, necessario. Una confessione feroce e intima, che restituisce dignità e profondità a quei sentimenti spesso relegati al disordine, alla vergogna, al non detto. Un libro che parla a chi ha amato troppo, a chi ha cercato negli altri la propria salvezza, a chi ha provato a colmare con il desiderio un vuoto antico. Un libro che non giudica, ma accompagna. E ci lascia, alla fine, con una domanda: quanto di ciò che chiamiamo amore è davvero desiderio dell’altro, e quanto, invece, è solo un urlo rivolto a sé stessi?

Monster Psycho Killer  di Harold Schechter

C’è un punto di rottura, nella storia americana del crimine, che separa il prima dal dopo. Quel punto ha un nome: Ed Gein. E ha anche un volto, sottile e spento, come quello di un uomo qualunque. Ma dietro quell’apparente normalità si celava l’incubo più profondo.

Harold Schechter, maestro del true crime, firma una biografia che va oltre la cronaca nera: ricostruisce con precisione chirurgica, e con una penna da romanziere, la discesa nell’orrore di uno dei criminali più influenti (e disturbanti) del Novecento.

È il 1957 quando, nella quieta e isolata cittadina di Plainfield, nel Wisconsin, la scomparsa di una donna porta la polizia a perquisire la fattoria di un contadino solitario. Quello che trovano all’interno è inimmaginabile: teschi usati come ciotole, maschere fatte di pelle umana, mobili imbottiti con carne strappata dai corpi delle vittime, vestiti cuciti a partire da cadaveri di donne.

È il teatro della follia, ma anche il laboratorio artigianale in cui Gein tenta di riportare in vita la madre, in una forma distorta e rituale che affonda le radici in traumi infantili, isolamento estremo e una religiosità soffocante. Il merito più grande di Schechter è quello di non cedere mai allo splatter, pur raccontando una delle storie più raccapriccianti di sempre.

Non indulge nei dettagli morbosi: li elenca con freddezza, lasciando che sia il lettore a sentire l’orrore montare, pagina dopo pagina. Al tempo stesso, riesce a costruire attorno alla figura di Gein un quadro psicologico e sociale che ha la densità di un saggio e la tensione di un thriller.

Il libro non è soltanto il ritratto di un mostro, ma anche quello di un’America che scopre, improvvisamente, l’abisso nascosto sotto la superficie rassicurante delle sue piccole città. Ed è per questo che la storia di Ed Gein ha generato una frattura nell’immaginario collettivo, diventando il modello vivente di personaggi come Norman Bates, Leatherface e Buffalo Bill.

Ed Gein non è Hannibal Lecter. Non ha il carisma del genio del male. È un uomo grigio, stralunato, cresciuto all’ombra di una madre dominatrice, incapace di relazionarsi al mondo, schiacciato da sensi di colpa e desideri proibiti. Proprio per questo spaventa di più. Perché non è il criminale da film: è un vicino di casa. Un volto qualsiasi in una folla. E Schechter ce lo racconta così, senza pietà, senza romanticizzarlo, lasciando che il lettore si trovi faccia a faccia con un male profondamente umano e quindi ancora più terribile.

Il macellaio di Plainfield è un viaggio nell’incubo, ma anche un’indagine storica e sociologica di alto livello. È il libro perfetto per chi ama il true crime, ma cerca qualcosa di più della semplice ricostruzione del delitto. Schechter ci offre il ritratto definitivo di Ed Gein, un personaggio che ha segnato per sempre il modo in cui raccontiamo la paura. Perché l’orrore, a volte, non nasce nei film, ma in una casa abbandonata nel cuore dell’America.

Viaggio in giro per la mia stanza e tutti i racconti  di Xavier de Maistre

Cosa accade se un viaggiatore viene privato dei suoi orizzonti? Se non può salpare verso mari esotici, scalare montagne o perdersi tra i vicoli di città lontane? Secondo Xavier de Maistre, la risposta è semplice: si viaggia lo stesso. Ma lo si fa dentro casa. Dentro se stessi.

Pubblicato per la prima volta nel 1794, Viaggio in giro per la mia stanza è un piccolo capolavoro di ironia, leggerezza e profondità. Nato dall’esperienza dell’autore, costretto agli arresti domiciliari a Torino dopo un duello, questo libro ribalta il concetto di viaggio tipico del Settecento: al posto delle tappe sontuose del Grand Tour, ci sono il letto, il caminetto, la scrivania; al posto dei resoconti epici, riflessioni esistenziali travestite da esercizi di umorismo e osservazione.

In quarantadue “capitoli-tappe”, de Maistre ci accompagna in un percorso tanto fisico quanto mentale, tra oggetti di uso quotidiano e pensieri che si aprono come porte verso l’altrove.

La sua camera diventa mappa del mondo, specchio del tempo, luogo della memoria e dell’immaginazione. E in questo, il libro risuona ancora oggi con sorprendente attualità, in un’epoca in cui tutti abbiamo sperimentato il limite dello spazio domestico e la possibilità di evadere solo con la mente.

Non a caso, Viaggio in giro per la mia stanza è stato amato da autori come Tolstoj, Puškin ed Eco, che ne hanno colto la sottile intelligenza, la capacità di trasformare l’ordinario in straordinario. Con un tono che oscilla tra la satira alla Sterne e la malinconia filosofica di un diario personale, de Maistre anticipa il flâneur moderno e il viaggiatore immobile della contemporaneità.

Questa edizione italiana si distingue per la sua ricchezza: include anche Spedizione notturna attorno alla mia stanza e, per la prima volta, una selezione di racconti e poesie mai pubblicati prima in Italia. Il tutto è incorniciato da una brillante prefazione di Vincenzo Latronico, che guida il lettore in questo piccolo labirinto domestico fatto di sogni, ricordi e acute osservazioni.

Una notte a Nuuk di Niviaq Korneliussen

Questo due luglio uscirà in libreria l’esordio della famosa scrittrice groelandese  Niviaq Korneliussen, ma di cosa parla il libro? Cinque voci. Cinque confessioni, ferite, urla silenziose lanciate nel buio artico della Groenlandia contemporanea.

Una notte a Nuuk è un romanzo corale e stratificato, sfrontato e lirico, che esplora l’identità di genere, l’orientamento sessuale, il trauma e l’appartenenza con una radicalità che toglie il fiato.

Niviaq Korneliussen, con un linguaggio asciutto e vibrante, ci porta tra i locali, le stanze, le chat, i sogni e gli incubi di Fia, Sara, Ivik, Inuk e Arnaq: giovani queer che cercano di esistere e resistere in una società schiacciata tra il lascito coloniale danese e il conservatorismo interno.

Nuuk non è solo la capitale della Groenlandia: è un labirinto di solitudini, un microcosmo claustrofobico in cui ogni gesto è osservato e giudicato, e ogni tentativo di libertà suona come un atto di ribellione. Fia scopre l’amore in una donna proprio quando tutto sembrava già scritto nel copione sociale; Sara, legata a Ivik, affronta il peso del desiderio e dell’identità corporea come ferite aperte.

Ivik, a sua volta, non sa più se riesce a vivere nella pelle che abita. Inuk, tormentato da un segreto impossibile da dire, fugge verso una libertà che è solo un altro esilio. Arnaq è la cicatrice che cammina: abusa e si fa abusare, ama e ferisce, incarna tutta la rabbia di una giovinezza che non ha mai ricevuto amore senza condizioni.

Korneliussen usa stili narrativi differenti per ogni personaggio, confessioni, messaggi, flussi di coscienza, costruendo un’esperienza intima e devastante. Il romanzo è volutamente instabile: come chi lo abita, anche la sua forma è liquida, pulsante, contraddittoria. Non offre vie di fuga facili, non promette consolazioni.

Eppure, tra il dolore e la rabbia, emerge una potente chiamata alla vita. Una notte a Nuuk è anche un romanzo di formazione queer, dove la scoperta del proprio corpo e del proprio nome è già un atto di resistenza politica. Nella Groenlandia postcoloniale, dove il silenzio ha spesso il volto dell’omertà, Korneliussen dà voce a chi non l’ha mai avuta. La sua scrittura è feroce e poetica, animata da una disperazione lucida che scava sotto la pelle del lettore. A tratti brutale, a tratti tenerissimo, Una notte a Nuuk è un romanzo necessario, che frantuma stereotipi e spalanca nuove prospettive. Con questa opera prima, Korneliussen si impone come una delle voci più originali e coraggiose della letteratura nordica contemporanea. Il suo sguardo queer, incandescente e politico, riesce a rendere universale una storia radicata in una geografia spesso dimenticata.

L’autrice è nata a Nuuk nel 1990 ed è la prima scrittrice apertamente queer della Groenlandia ad aver ottenuto successo internazionale. Il romanzo è stato pubblicato contemporaneamente in danese e groenlandese. Nel 2021 Niviaq Korneliussen ha vinto il Nordic Council Literature Prize, il più prestigioso riconoscimento letterario dei paesi nordici.

Outline di Michèle Fischels

C’è un punto esatto in cui si smette di essere ragazzi, ma ancora non si è adulti. Un punto in cui si vive con la testa piena di sogni e il cuore pieno di paura.

Michèle Fischels ha saputo raccontarlo con una grazia rara nel suo romanzo grafico d’esordio, sorprendente per maturità e intensità. La storia segue un gruppo di amici alle soglie della fine del liceo: gli ultimi giorni prima del salto nel vuoto, quando le domande si fanno più forti dei progetti.

Non si tratta (solo) di scegliere un’università o un lavoro, ma di interrogarsi su chi si è, cosa si vuole diventare, e soprattutto: resteremo uniti? Saremo ancora noi, da domani in poi? La forza del libro è tutta nel non detto. I silenzi tra le vignette, gli sguardi rubati, le passeggiate sotto cieli che sembrano troppo vasti per contenere tutto quello che sentiamo.

Fischels usa il disegno come una voce interiore: linee pulite, espressive, leggere ma mai superficiali, capaci di raccontare il sottile disagio del crescere, l’ambiguità delle emozioni, l’amore e l’amicizia che si fondono e si confondono. Ogni tavola è una piccola epifania.

Ciò che colpisce è la capacità di catturare un sentire generazionale, ma anche fisico: quel nodo allo stomaco che ti prende quando capisci che tutto sta per cambiare, e non sai se sei pronto.

Il corpo lo sa prima della mente, suggerisce il libro, e ogni lettore che ha vissuto quel momento, la fine della scuola, le ultime sere con gli amici, l’estate sospesa tra due vite, non potrà non rivedersi in quelle pagine. Questo non è solo un racconto sul diventare adulti, ma sul tempo che scivola via mentre cerchiamo di afferrarlo.

Un racconto sulla malinconia della fine, sull’illusione che si possa fermare un istante per sempre, sulla verità che crescere significa anche separarsi. Michèle Fischels dimostra una padronanza del ritmo narrativo e dell’introspezione che raramente si trova in un’opera prima.

La sua voce è già unica, nitida, capace di parlare a chiunque abbia mai avuto paura del futuro, ma anche voglia di afferrarlo. Il suo tratto, delicato e consapevole, incornicia una storia che non ha bisogno di grandi eventi per lasciare un segno profondo. L’evento, in fondo, siamo noi.

Il libro è già stato tradotto in diverse lingue europee, confermando l’impatto internazionale dell’opera. Molti critici lo hanno paragonato alle prime opere di Bastien Vivès per la sensibilità nel raccontare l’adolescenza. È stato selezionato tra le migliori graphic novel dell’anno in Francia e Germania.

Unicornia. Onde incantate di Ana Punset

A Unicornia è arrivata l’estate, e con lei una nuova, scintillante avventura piena di magia, amicizia e piccole sfide personali. In questo nuovo capitolo della serie, la protagonista Claudia ci guida tra onde colorate e unicorni amici, ma anche tra dubbi e paure che ogni bambina può riconoscere come proprie.

Claudia è brava a nuotare, si sente pronta per una giornata perfetta alla Piscina Arcobaleno… fino a quando scopre che tutti i suoi amici si stanno tuffando sott’acqua. Tutti tranne lei. Claudia, infatti, non sa fare le immersioni, e ha troppa vergogna per confessarlo anche alle sue migliori amiche.

Da qui parte una storia dolce, incoraggiante, piena di glitter e di emozioni vere, in cui ogni piccola lettrice potrà ritrovare una parte di sé. Attraverso tuffi mancati, incoraggiamenti inaspettati e un pizzico di magia unicorna, Unicornia racconta con delicatezza quanto sia difficile ammettere una paura… e quanto possa essere bello imparare qualcosa di nuovo quando ci si sente accolti e ascoltati.

Il messaggio è chiaro e potente: non serve essere perfetti, ma basta credere in sé stessi (e avere accanto chi ci vuole bene). Lo stile è semplice, allegro e inclusivo, perfetto per i primi lettori e per chi sta imparando a superare le piccole grandi prove della crescita. Le illustrazioni vivaci e le ambientazioni da sogno aggiungono un tocco fiabesco a una narrazione che parla con sincerità delle emozioni infantili.

Consigliato a: bambine e bambini dai 6 anni in su, amanti di unicorni, piscine, amicizie vere e storie che fanno sorridere… e crescere. Il mondo di Unicornia è pensato per affrontare con leggerezza ma consapevolezza i piccoli ostacoli emotivi dell’infanzia.

Ogni volume della serie si concentra su un tema diverso: dalla paura del giudizio al valore della collaborazione. La Piscina Arcobaleno è ispirata a quelle reali, ma con un pizzico di polvere di stelle!

Unicornia. Ul pigiama party indimenticabile di Ana Punset

Cosa c’è di più emozionante di un pigiama party pieno di magia, risate e nuovi inizi? Claudia sta per scoprirlo… o forse no! In questo nuovo episodio ambientato nel mondo scintillante di Unicornia, la nostra protagonista riceve una notizia speciale: il cuginetto Lucas si trasferirà nel loro regno incantato.

E quale miglior modo per accoglierlo se non con una festa indimenticabile? Con l’aiuto delle inseparabili amiche Sara e Paola, Claudia organizza un pigiama party perfetto: decorazioni, giochi, snack e tanta voglia di condividere momenti speciali. Ma c’è una regola importante: nessuno deve uscire di casa da solo durante la festa.

Una promessa fatta ai genitori, semplice in apparenza, ma difficile da mantenere quando l’entusiasmo cresce… e qualcosa sfugge di mano. Questo episodio parla ai piccoli lettori con dolcezza e realismo, affrontando un tema molto importante: il rispetto delle regole, la responsabilità e il valore della fiducia.

Senza mai risultare moralistico, il racconto mostra cosa succede quando si prendono decisioni sbagliate, ma anche come rimediare con coraggio e sincerità. Tra risate, piccoli imprevisti e legami familiari che si rafforzano, Unicornia riesce ancora una volta a offrire una storia coinvolgente e luminosa, dove la magia più potente è quella dell’empatia e della crescita personale.

Ideale per i  bambini e le bambine dai 6 anni in su, perfetto da leggere prima di un vero pigiama party, per insegnare con delicatezza che anche quando qualcosa va storto, si può sempre imparare… e migliorare.

L’arrivo di Lucas apre la strada a nuove dinamiche familiari, mostrando quanto sia bello accogliere un parente con calore e creatività. La casa di Claudia si trasforma in un microcosmo di emozioni, tra risate, sorprese e responsabilità condivise. Unicornia continua a offrire storie ricche di valore educativo, perfette per affrontare in chiave fantastica le sfide quotidiane dell’infanzia.

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