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Epic Fail in Love vol. 1 – Le sfighe d’amore raccontare dallo scrittore Matteo Corona

Tentato in prima battuta di ricamare attorno le smelenserie degli innamorati in genere, mi sono poi ricordato delle mie vicissitudini. Un passato costellato di sfighe amorose grondanti ironia dolce amara...

Ogni riferimento a fatti, luoghi o persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

Tentato in prima battuta di ricamare attorno le smelenserie degli innamorati in genere, mi sono poi ricordato delle mie vicissitudini. Un passato costellato di sfighe amorose grondanti ironia dolce amara, perfetta per un omaggio alla giornata “all in love”.

Iniziamo.

Le sfighe arrivano presto.

Avevo quattordici anni. A Erto si era da poco trasferita una nuova famiglia: padre, madre e due figlie. Neanche a dirlo, le sorelle scatenarono gli ormoni e le fantasie di noi maschietti imbottiti di ormoni al tritolo. Le ertane coetanee erano carine, si, ma le si conosceva dai tempi dell’asilo. Vuoi mettere il fascino irresistibile di quelle misteriose ragazze venute da fuori?
In quel periodo andavo di brutto con la mountain bike. Arrivavo a stento ai pedali, leggins corti iper aderenti color fantasia effetto pastiglia di LSD, t-shirt due misure più grande per fare il nodo e mostrare l’ombelico e, per non farmi mancare  nulla, guanti senza dita con palmare antiscivolo.
Un gran figo, lo so.
La mia specialità di rider su due ruote era scendere scalinate a gradoni. Erto ne è straordinariamente ricca.
Durante un’uscita in bike, incontrai la sorella giovane. Mi piaceva più dell’altra. Chiacchierava con una compaesana proprio in fondo a una rampa di dieci scalini alti quaranta centimetri.  
Un pensiero balenò fulmineo: “La mia occasione”.
Non mi avevano visto.
“Ora scendo le scale come un boss e mi presento”. Pensai.
Non soddisfatto, alzai la la mano e urlai: ”Ehi bellezze! Guardate qua”. Le ragazze si girarono e io mi lanciai sui primi gradoni in sella al mio bolide.
Agitato com’ero non mi accorsi dell’assetto poco arretrato del sedere. La bici si piantò disarcionandomi in avanti. Ruzzolai in fondo alla rampa mentre la mountain bike continuava a picchiarmi addosso. La due ruote  si schiantò contro un muro dietro di noi. Le tipe la schivarono per miracolo. Mi fermai spiaccicato ai loro piedi. Sbucciature su viso, gambe e braccia.
Forse è così che ho dato un senso reale all’azione metaforica del “rialzarsi”. La forza di tirarmi su la trovai nella consapevolezza che stare lungo per terra era più ridicolo di quanto già non lo fossi. E prima mi eclissavo meglio era. Mi alzai. Il dolore della vergogna superava quello delle ferite. Recuperai la bici a testa bassa. Risate soffocate in sottofondo. Sentivo gli sguardi felini delle ragazze pungermi come spilli. Non osai guadarle. Trascinandomi zoppicando via da li, dissi: ”Di solito mi riesce meglio”.

Quell’episodio doveva essere un avvertimento, un monito. Perché le cose, pur in forma diversa, per molti anni ancora a venire sarebbero andate alla stessa maniera.
Invece non l’ho mai preso a insegnamento.

A Venezia, durante gli studi all’Accademia di Belle Arti, arriva l’amore vero, il primo corrisposto, travolgente.
Biancaluna è colei che mi tolse il sonno quegli anni.
Biancaluna aveva il cuore più grande e generoso che abbia mai conosciuto, e non è stata una scoperta piacevole.
Successe per caso, chiacchierando in autobus con un amico conosciuto in palestra.
“Sai – mi confessò una volta – in questo periodo mi vedo con tre ragazze allo stesso tempo!”
“Ah, però!”
“Si, si! É impegnativo ma da soddisfazione.”
“Cavoli ci credo. Io non ce la faccio quasi neanche con una.”
“Aspetta che te le elenco. Sai, tengo un registro di tutte le mie donne”.
Il ragazzo cavò dallo zaino un block notes e, sfogliandolo, iniziò a elencare i dati delle tre ragazze con cui usciva.
“Allora:
Manuela Zizzania, 39 anni, profumiera, mora, 60 kg per 168 cm, numero di telefono 333xxxxxxx. Fisico da modella.
Ilaria Nitroglicerina, 19 anni, cassiera, castana con meches ciclamino, 54 kg, 153 cm, numero di telefono 346xxxxxxx, dolce ma un po’ troppo timida.
Biancaluna, 26 anni, studentessa e barista, 53 kg, 160 cm, finta bionda, numero di telefono 347xxxxxxx, ricrescita e poche curve ma sfacciata e senza pudore”.
Il nome, raro come ho scritto, non lasciava dubbi. Non c’erano molte Biancheluna in circolazione a Venezia. Ma se anche ce ne fossero stati, di dubbi, il numero di telefono corrispondeva. E anche tutto il resto.
Sbiancai di colpo, ammutolendo. L’”amico” (ora le virgolette sono d’obbligo) non si accorse che in me qualcosa non andava. Incosciente del mio dramma aveva iniziato un altro elenco: quello  degli incontri passionali con la mia Biancaluna, descritti con dovizia di particolari e tali da far impallidire un acrobata del circo. La memoria non mi consente di andare oltre, ricordo però che quasi soffocai nel tentativo di frenare un pianto da soap opera. Tentativo che non riuscì.

Tralasciando l’amara scoperta e le sue conseguenze, torno a come questo amore nacque.

Biancaluna, per pagare gli studi serviva ai tavoli di un bar a Venezia. La prima volta che la vidi fu proprio nel locale in cui lavorava. Fu un gran colpo di fulmine. Solo per me, sia chiaro.
Oltre a lei, nel locale lavorava anche un anziano signore, Tino, veneziano, il proprietario.

Mi svegliavo un’ora prima per fare colazione in quel bar. Largo anticipo che mi consentiva di stare almeno un’ora a guardare le mia bella lavorare fingendo di leggere il mio libro-scusa. La scusa era, casomai lo avesse chiesto, che dovevo studiarlo ogni ritaglio di tempo per un esame assai tosto. A causa della pausa pranzo, rigorosamente e religiosamente nello stesso posto, cascasse il mondo, che prolungavo oltre ogni limite per strappare chiacchiere, sguardi o sorrisi al mio angelo in terra, arrivavo sempre in ritardo alla prima lezione del pomeriggio. E la cena (ovviamente) il più delle volte la facevo mangiando un panino. Inutile sottolineare dove lo mangiavo o soffermarmi sullo stato pietoso del mio fegato a forza di nutrirlo solo con panini, brioche e caffè.
Le sere in cui lei non lavorava al bar, non mi presentavo neanche io.
“Strano”, risposi rosso come un pomodoro a Tino quando me lo fece notare a voce alta per far sentire anche a Biancaluna.  A furia di andare e venire in quel locale ero diventato più scontato del bancone. Tino e Biancaluna avevano mangiato la foglia e capito che quel libro-scusa era solo una scusa e gli sguardi languidi che lanciavo alla ragazza oltre le pagine non erano prove di recitazione per intenerire il professore all’esame. Le occhiate che si scambiavano quando facevo il mio ingresso erano degne del gatto e la volpe.

Andai avanti così per qualche tempo. Poi decisi che le chiacchiere non bastavano più.
Dovevo far capire a Biancaluna che tenevo a lei in modo speciale.
Sfruttai una ricorrenza qualsiasi. La fortuna fu dalla mia. La più vicina era proprio San Valentino, che cadeva di li a un settimana. Altrimenti sarebbe stato qualcos’altro: il carnevale, la Pasqua, il Natale, il suo compleanno, il mio compleanno o qualsiasi altro avvenimento. L’importante era passare all’azione.

Sapevo che Biancaluna andava al lavoro presto, circa le sei del mattino, per sbrigare svariate mansioni prima dell’apertura delle sette. Una di queste faccende era sbucciare uova sode per farcire tramezzini. Operazione che, come tutti gli esseri umani, odiava profondamente. Me lo confessò durante un veloce scambio di battute e la notizia fu determinante.
Le uova sarebbero state complici della mia strategia di conquista amorosa.
La notte del 13 febbraio decorai un uovo sodo con gli acrilici. Svuotarlo lo avrebbe reso troppo fragile. Sarebbe stato quindi un regalo usa e getta. Andava bene lo stesso. Gli dipinsi una faccia sorridente,  una mano che reggeva una rosa e un fumetto con la scritta “Buon San Valentino”. Il retro lo firmai dipingendo la silhouette di una corona.
Il piano prevedeva il mettere questo uovo nel mucchio di uova che Biancaluna doveva sbucciare quotidianamente, per regalarle un momento di allegria durante quell’impegno noioso.

Terminata la pittura, non stavo più nella pelle. Mi assalì un’ansia febbrile, volevo veder completata l’impresa. Ero certo che, con questa mossa, avrei fatto colpo e conquistato la mia adorata Biancaluna.
Aspettare il giorno divenne una pena. Riflettei sull’orario migliore per uscire di casa. In quel periodo abitavo a Padova, da un amico. Raggiungevo Venezia con mezz’ora di treno e  il bar di Tino con altri venti minuti di camminata dalla stazione Santa Lucia.
Tino arrivava prima di tutti, alle cinque. A lui dovevo spiegare il mio piano e chiedere se poteva mettere nel mucchio di uova anonime quello decorato. Ma poteva anche succedere, pensai con angoscia, che Biancaluna arrivasse prima del solito e che la mia sorpresa sfumasse. Questo non doveva accadere. Così, per non rischiare, decisi che dovevo arrivare prima di tutti, prima anche di Tino.
Fu impossibile dormire. Prima di partire, mi accertai decine e decine di volte che la scatola con il regalo fosse nello zaino, che la scatola contenesse il regalo e che fosse imballato con sicurezza. Appena terminavo l’ispezione, la mente mi sussurrava:”sicuro di aver controllato bene?”. La mia paranoia era alle stelle, così riaprivo lo zaino e ricominciavo d’accapo.
Solo l’angoscia di far tardi mi liberò dall’impasse. Uscii alle le tre del mattino. Beccai un treno che da Padova partiva per Venezia alle tre e un quarto. Arrivai davanti al bar alle quattro in punto. Aspettai Tino per più di un’ora. Nella stagione fredda Venezia sa farti tremare raschiandoti le ossa coi vapori gelati della sua umidità al 98%.
Quell’ora di tortura ghiacciata servì per prepararmi psicologicamente allo sguardo di Tino che, nel vedermi, sarebbe stato di sicuro sorpreso, accigliato e velato di leggera inquietudine. Perciò  dovevo chiarire veloce la faccenda. Poteva anche succedere che rifiutasse di aiutarmi. In quel caso sarebbe stata la fine.
Sapere che la responsabilità di convincerlo era tutta e solo mia, mi faceva tremare più del freddo.
“Sorridi Teo, altrimenti rischi che Tino chiami la polizia”.
Lo sguardo fu proprio quello previsto. Cercai di non pensarci e gli spiegai le mie intenzioni. Tino si rasserenò e accettò divertito.
“É fatta!” Pensai.
Consegnai l’uovo con mille raccomandazioni e me ne andai.
Mi sentivo sollevato e, al tempo stesso, come investito da una schiacciasassi.

Le ore successive le passai vivendo una sorta di allucinazione. I suoni ridotti a deboli sussurri e ogni oggetto, persona o ambiente trasfigurato in un vortice di forme e colori. Aspettavo con crescente impazienza la pausa pranzo per incontrare Biancaluna e vedere la sua reazione. Costruivo con la mente sogni semplici e inauditi, da un bacio sulle labbra a una dichiarazione inaspettata anche da parte sua. Guardavo l’orologio ogni dieci ore e non riuscivo a spiegarmi perché fossero passati solo due minuti.

Infine l’una del pomeriggio scoccò e, tremante col groppo in gola, mi recai al bar.

“Per colpa tua ho dovuto sbucciare uova anche il giovedì, che di solito non le devo sbucciare. Sei proprio uno stronzo!”.
Mi accolse così l’adorata Biancaluna.
Il cuore si fermò. Divenni un blocco di marmo. A questa eventualità non avevo riflettuto. Per colpa mia Biancaluna aveva dovuto sbucciare le uova anche il giovedì, giorno che di solito non doveva!
“Sono un miserabile, ecco cosa sono! Altro che bel regalo. Merito solo calci in culo”. Mi giudicai fra me e me.
“Scusa io pensavo…” balbettai.
“Dai stupido, che ti so prendendo in giro! Il regalo è bellissimo grazie, nessuno aveva fatto una cosa tanto dolce per me.”
Mi sciolsi in un baleno e il cuore ricominciò a palpitare più forte di prima.
Centro! Avevo fatto centro. L’ex boss della mountain bike stavolta aveva avuto la meglio sulla sua rampa più difficile. Mi sentivo un grande.
“Bingo”, pensai.
La gioia di Biancaluna mi diede coraggio.
“Figurati, l’ho fatto col cuore. Sono contento ti sia piaciuto. Che ne dici se, dopo il lavoro, andiamo a fare un giro a Venezia assieme?”.
Biancaluna mi guardò e sorrise.
“Purtroppo non posso. Dopo il lavoro devo vedere il mio fidanzato”.

Altro giro altra sfiga? Materiale ce ne sarebbe fino al volume 50, purtroppo.
Meglio fermarsi: finito lo spazio e rischio di annoiare.
Rievocarle senza ritegno però, mi ha strappato più di una risata.

Buone schermaglie amorose a tutti!

Matteo Corona

14 febbraio 2013

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