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Elisabetta Bucciarelli: la scrittura allarga il mondo, sposta i confini e crea nuovi campi di senso

Elisabetta Bucciarelli, milanese, scrive saggi, testi teatrali e romanzi (tra i quali una serie di cui รจ protagonista lโ€™ispettrice Maria Dolores Vergani); lavora anche per la televisione e il cinema...

Elisabetta Bucciarelli, milanese, scrive saggi, testi teatrali e romanzi (tra i quali una serie di cui è protagonista l’ispettrice Maria Dolores Vergani); lavora anche per la  televisione e il cinema.

 

Elisabetta, la scrittura è sicuramente al centro dei suoi interessi; le ha dedicato anche alcuni saggi, come Scrivo dunque sono. Trovare le parole giuste per vivere e raccontarsi (Ponte alle Grazie, 2014) e, ancora prima, Io sono quello che scrivo. La scrittura come atto terapeutico (Calderini, 1998). In sintesi, che cos’è per lei la scrittura?

Per cominciare grazie per l’attenzione nei confronti dei miei lavori. La scrittura è un modo per allargare il mondo, spostare i confini e creare nuovi campi di senso. Per me è impegno, necessità e, a volte, ossessione. Mi permette la condivisione delle esperienze, la riflessione e la composizione dell’esistenza. Cerco ascolto e, al tempo stesso, provo a dare una forma al desiderio attraverso le storie.

 

                                                                                                                                       

Si considera soprattutto una scrittrice, oppure un’autrice teatrale, una saggista, una docente di scrittura? C’è, in altri termini, una gerarchia tra i suoi interessi, o in qualche modo nelle cose che scrive esprime sempre le diverse facce di una medesima passione?

Indago la parola cercando di assegnare un nome alle esperienze, alle emozioni e ai sentimenti. Ogni narrazione ha la sua composizione migliore, ci sono storie che vanno lette in silenzio, altre richiedono un palcoscenico, altre ancora vanno condivise solo attraverso l’ascolto. Poi esiste la necessità di riflettere sulle parole, non solo su quelle che possediamo ma soprattutto sui linguaggi estranei, che riguardano mondi differenti dai nostri. Per questo, ogni tanto, conduco gruppi di scrittura, dove avviene la magia del “baratto”. Le mie parole in cambio di quelle degli altri.

 

 

Gialli, noir, polizieschi sono tra i libri più letti in un paese che legge poco. È più facile pubblicare, se si scrivono romanzi riconducibili a uno dei generi che ho appena elencato?

Ogni volta che un libro corrisponde a un genere preciso scatta un riconoscimento immediato e facile. Ma sugli scaffali ci sono, ormai da anni, un numero considerevole di ibridi. Non credo sia più facile scrivere e pubblicare un buon romanzo noir, penso piuttosto che sia più semplice trovare punti di riferimento certi per i lettori etichettando i libri.

 

 

Quanto c’è di tecnica e quanto d’ispirazione, per lei, nella scrittura narrativa? Quanto conta la storia e quanto l’interiorità dei personaggi?

La vera partita si gioca nella voce di chi racconta. Possiamo scrivere la stessa storia ma con stile, ritmo, colori e soprattutto punti di vista differenti, così otterremo risultati molto distanti tra di loro, per intensità ed efficacia. Più che l’ispirazione per me conta la necessità. Devo avere un motivo forte per scrivere, una rabbia, l’impossibilità, un desiderio, una paura. La tecnica aiuta a prendere le distanze giuste, a collocare nello spazio e nel tempo ciò di cui vogliamo parlare.

Quando scrivo non posso fare a meno di domandarmi chi siano i miei personaggi, li devo conoscere bene, quindi credo che il loro mondo profondo si debba aprire a me per poter arrivare al lettore. Per questo fare esperienza di sé, vivere, seminare, costruire, usare le mani, avere cura di noi e degli altri, sono i requisiti fondamentali per chi voglia raccontare.

 

Una domanda che faccio sempre agli autori riguarda il loro modo di scrivere. Ci sono i metodici, che si dedicano alla scrittura in orari precisi, che seguono un ritmo armonioso; ci sono i discontinui e frammentari, che obbediscono all’estro del momento, o, più spesso forse, alla difficoltà di ricavare momenti liberi fra un impegno e l’altro (di lavoro, familiare). E lei in quale di questi schematici ritratti si riconosce?

Cerco di scrivere tutti i giorni, come se fosse un allenamento fisico. Non sempre salvo ciò che scrivo, ma so che la ricerca di un ritmo è fondamentale perché si sente anche nell’utilizzo delle parole sulla pagina. Sono tendenzialmente discontinua, eppure ogni cosa che faccio per quanto insignificante sia, risponde al progetto che sto seguendo anche se in apparenza potrebbe non sembrare.

La vita familiare mi costringe a razionalizzare il tempo e gli spazi dedicati alla scrittura, ho un forte senso del dovere che mi muove all’interno delle scelte compiute, ci sono momenti in cui fatico a stare in questa compressione, altri invece in cui le gabbie diventano dei veri e propri punti di forza e al loro interno mi muovo con agilità e leggerezza.

 

 

Cosa legge Elisabetta Bucciarelli? Ci sono opere o autori che considera determinanti nella sua formazione?

Gli autori che mi hanno fatto amare la lettura sono i francesi, Simone de Beauvoir, Sartre e gli esistenzialisti. Molti poeti, Montale e Leopardi, anche contemporanei. Il teatro ha provocato le emozioni più fisiche, Shakespeare, Beckett, Genet, Muller, Pinter. Sono assemblata da tanti pezzi. Cerco parole ovunque, anche in settori che sembrerebbero aridi. Mi piace lo scarto della parola, quando dice più del dovuto o si presta a farsi utilizzare in modo inappropriato. Alterno romanzi a saggi, autori ossessivi e ordinatori come Perec a funamboli della parola, visionari, come Dick. In questo momento ho voglia di rileggere Carrère mentre approfondisco il concetto di analogia di una psicoanalista di nome Alessandra Ginzburg.

 

A cosa sta lavorando adesso?

Più lavori insieme. Un romanzo lungo e uno breve. Un audiodramma e un nuovo saggio. Presto uscirà un racconto con la mia ispettrice Maria Dolores Vergani, all’interno di un’antologia di Guanda.

 

 

Grazie per il suo tempo e le tue risposte.

Grazie a lei e buona lettura.

 

Rosalia Messina

27 settembre 2014

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