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Donato Carrisi, ”I veri protagonisti del mio libro sono personaggi invisibili”

''La cosa più esaltante, nello scrivere questo libri, è stata quella di raccontare una storia con personaggi che non si vedono, che lasciano delle tracce ma sono evanescenti''. Con queste parole Donato Carrisi commenta la prossima uscita del suo nuovo thriller, ''L'ipotesi del male''...

L’autore ci presenta in anteprima il suo nuovo thriller, “L’ipotesi del male”, che uscirà in libreria il 29 aprile

MILANO – “La cosa più esaltante, nello scrivere questo libri, è stata quella di raccontare una storia con personaggi che non si vedono, che lasciano delle tracce ma sono evanescenti”. Con queste parole Donato Carrisi commenta la prossima uscita del suo nuovo thriller, “L’ipotesi del male”. Questo romanzo racconta di persone che spariscono nel buio: nessuno sa perché, nessuno sa che fine fanno, e quasi tutti presto se ne dimenticano. Alcune di queste persone però d’improvviso fanno ritorno, e non per riprendere la propria vita, non per riallacciare contatti perduti, ma per uccidere. Su di loro indaga Mila Vasquez: suo compito è dare la caccia a quelli che tutti hanno dimenticato, gli scomparsi.

Com’è venuta l’idea de “L’ipotesi del male”?
Questo libro è nato molti anni fa, quando ho conosciuto un poliziotto di Roma che si occupa di indagare su casi di persone scomparse e che mi ha ispirato il personaggio di Mila Vasquez. Da allora avevo in mente di scrivere un romanzo su questo argomento, ma avevo solo una parte della storia: riuscivo a raccontare soltanto il punto di vista di chi aveva perso o ritrovato qualcuno, ma non riuscivo a immedesimarmi nei panni dello scomparso, a capire la pulsione che portasse qualcuno a sparire. Quando finalmente ho potuto incontrare e ascoltare alcune persone che avevano deciso a un certo punto della loro vita di scomparire, ho capito che nelle loro storie c’era un potenziale. Queste persone sembrano quelle di prima, ma in realtà il buio le ha cambiate. È singolare come tutti loro raccontino con facilità il primo giorno della scomparsa, o il giorno in cui hanno deciso di tornare. Raccontano la prima notte, il buio, la paura o al contrario l’eccitazione, mai nessuno racconta la seconda. È come se fosse la loro storia fosse un copione, un viaggio che compiono in loro stessi.

In un nostro precedente incontro lei ha spiegato che l’autore di un thriller obbedisce a un ritmo, a una musica segreta. Può dirci qualcosa della musica segreta che anima questo libro?
Questo libro ha due velocità, una prima e una seconda parte, dettate questa volta, più che dalla trama, dai personaggi. Credo che la cosa più esaltante per me, nello scrivere, sia stata quella di raccontare una storia con personaggi che non si vedono, che lasciano delle tracce ma sono evanescenti. I veri protagonisti di questo libro sono invisibili.


Quello che Mila fa per compiere il suo lavoro è cercare di costruire un’“ipotesi del male”, per citare il titolo, cioè cercare di dare al male un senso, una spiegazione razionale. Il male secondo lei ha sempre una logica o questa è semplicemente un’ipotesi narrativa più convincente?

No, il male non sempre ha una logica e non è possibile imbrigliarlo, riesce sempre ad uscire dagli schemi in cui cerchiamo di costringerlo. Il personaggio di Mila deve cercare una logica al male, ma più che altro per dare una giustificazione a se stessa. Lei stessa infatti è attratta dal buio, lo esplora con un certo gusto e non comprende il perché. Anche per questo vorrebbe imbrigliare quel buio e dargli una spiegazione.


In un thriller il personaggio del cattivo funzione solo se la sua psicologia non è totalmente malvagia. Vale la stessa cosa anche per il buono, anche il buono deve avere un lato oscuro per affascinare il lettore? Perché la storia funzioni occorre che il male e il bene abbiano un punto di incontro?

A me piace praticare uno scambio di ruoli. Non amo i personaggi definiti, i buoni da una parte e i cattivi dall’atra a fronteggiarsi, mi piace che ci sia una contaminazione reciproca. Voglio che a tratti i cattivi ci sembrino giustificati e i buoni tentati di passare dall’altra parte. Attraverso questo meccanismo mi è più facile raccontare i personaggi, perché così mi risultano più credibili.

E questo si riscontra anche in Mila…
Sicuramente. Mila è forse il più contraddittorio dei miei personaggi, quello che si porta appresso i maggiori conflitti e difficoltà. Ha un bagaglio notevole che trascina con sé. L’ho privata dell’empatia, ma d’altronde Mila compensa in altro modo questa sua lacuna. Riempie il proprio vuoto di conflitti.

C’è un’iniziativa che vive sul suo sito, “Sparisci nel nulla”, con cui si invitano i lettori a inviare una loro fotografia accompagnata da una frase in cui spiegano il motivo per cui vorrebbero sparire. Com’è nata questa idea e perché?
Si tratta soprattutto di una sorta di gioco, un’iniziativa divertente che voleva però richiamare l’attenzione sul senso del romanzo, e che è anche un po’ una provocazione. Non è facile sparire. Alla fine del romanzo, nella “Nota dell’autore”, io stesso racconto la mia “sparizione”. Anche io infatti per un certo periodo, per scrivere questo libro, sono scomparso. Anche se naturalmente avevo avvertito preventivamente le persone che mi stavano accanto che per qualche mese avrei rinunciato al cellulare e alla mail, per concentrarmi sulla scrittura e sulle ricerche correlate. Mi sono sbarazzato del guinzaglio della tecnologia, e non è stato affatto semplice. In un primo momento, quando ho spezzato questo legaccio, mi sono reso conto che è molto difficile interrompere il contatto diretto con gli altri. Con il tempo però ci si rende conto che può essere utile. C’è un altro episodio cui faccio riferimento nella Nota, che risale a prima di scrivere “Il suggeritore”. Avevo in testa questa storia, e dovevo decidere se abbandonare momentaneamente la carriera di sceneggiatore, che allora stava andando a gonfie vele, per affrontare l’ignoto e mettermi a scrivere questo romanzo. Un giorno, era un martedì mattina di febbraio, sono andato alla stazione Termini e ho preso un treno a caso. Sono arrivato a Foggia, ho spento il telefonino e mi sono seduto su una panchina della stazione, godendomi il sole invernale. Mi sono sentito liberato. Tutti almeno una volta nella vita abbiamo pensato di sparire. Io l’ho fatto in questa maniera molto blanda. Ma ripensando a quel momento, penso a chi se ne va perché deve prendere grosse decisioni, a chi non è più appagato nella vita, a chi non regge più il peso della propria esistenza – a volte infatti si sceglie il buio perché sembra che il buio ci possa liberare. Questo romanzo è dedicato anche a tutti loro.

25 aprile 2013

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