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Donatella Di Pietrantonio, ”Lo Strega per me è un gioco con cui affermare il valore del mio romanzo”

''Bella mia'' racconta il senso di dispersione di una città colpita non solo nelle sue mura, ma anche negli intrecci di relazioni tra i suoi abitanti: la perdita personale sullo sfondo di una grande tragedia collettiva...

L’autrice ci parla di ”Bella mia”, il romanzo con cui è candidata al Premio Strega 2014

MILANO – ”Bella mia” racconta il senso di dispersione di una città colpita non solo nelle sue mura, ma anche negli intrecci di relazioni tra i suoi abitanti: la perdita personale sullo sfondo di una grande tragedia collettiva, il terremoto de L’Aquila. Donatella Di Pietrantonio, candidata al Premio Strega 2014 con questo romanzo, ci presenta il libro con queste parole. La protagonista, e voce narrante di questa storia, si trova a fare i conti con una maternità non scelta quando la sorella gemella Olivia rimane vittima del sisma, nella lunga notte del 6 aprile 2009, lasciando il figlio Marco semiorfano. Il padre, musicista di fama, vive a Roma e non sa come occuparsene, perciò tocca a lei e alla madre anziana, trasferite nei quartieri anodini e provvisori degli sfollati, prendersi cura del ragazzo, mentre cercano di dare forma a un lutto schiacciante. Quello che ne risulta è un romanzo sulla perdita, ma ancora di più sulla ricostruzione, la ricostruzione della città squassata e quella più faticosa degli affetti intimi e della fiducia nella vita.

Quali sono i suoi pensieri ed emozioni nel vedere il proprio nome figurare nella dozzina dei candidati al Premio Strega?
Sono molto contenta che “Bella mia” sia stata scelta da un Comitato così prestigioso a concorrere al Premio Strega in un anno in cui il numero delle opere richiedenti è stato particolarmente alto. In particolare sono onorata che la mia candidatura sia stata sostenuta da due persone della levatura di Antonio Debenedetti e Maria Ida Gaeta.

Quali sono le aspettative con cui concorre per il prestigioso riconoscimento?
Con lo spirito del gioco partecipo per affermare il valore del mio romanzo.

Com’è nata l’idea di questo suo secondo libro, “Bella mia”?
Volevo raccontare l’esperienza della perdita e come si sopravvive modificando, più o meno consapevolmente, la trama delle relazioni, degli affetti. Ognuno dei tre personaggi centrali declina ed elabora a suo modo un lutto devastante, che riguarda un’unica donna scomparsa, madre di uno, figlia di un’altra, gemella della voce narrante. La coabitazione forzata dei protagonisti genera una struttura familiare inconsueta, dove ciascuno è intento, anche senza volerlo, alla ricostruzione lenta e lacerata di sé, sotto lo sguardo degli altri due. E uno di loro, amputato della presenza materna, deve anche affrontare la fatica di crescere, guadare la fase adolescenziale.

In una dozzina in cui è preponderante la presenza di autori uomini, la sua voce e la sua storia sono molto femminili. E’ un segno che temi che hanno da sempre una fortissima rilevanza per le donne, come il tema della maternità, stanno finalmente diventando “universali”?
Lo sono sempre stati, forse adesso c’è solo una maggiore sensibilità e attenzione. In particolare il tema della maternità non può che essere universale, poiché tutti sono, siamo, figli di una madre. In “Bella mia” ho dato voce a una donna che aveva scelto di non procreare, per un suo vissuto di inadeguatezza, e si trova invece chiamata da circostanze avverse a quel ruolo a cui aveva rinunciato. In questo stato di necessità la protagonista riesce a sviluppare nei confronti del nipote orfano una capacità di contenimento che può senz’altro definirsi materna.

Perché la scelta di affrontare letterariamente quella grande tragedia collettiva che è stata il terremoto de L’Aquila? Quali aspetti di questo dramma ci può far conoscere un romanzo?
La mia intenzione era di collocare in primo piano un dolore individuale e famigliare e sullo sfondo la tragedia di una comunità che perde il suo “luogo”, il suo radicamento al territorio, l’identità collettiva insomma. Ho cercato di raccontare il senso di spaesamento e dispersione di una città che si frantuma non solo nelle sue murature, ma nell’intreccio complesso delle relazioni umane tra chi la abita.

7 maggio 2014

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