Sei qui: Home » Libri » Diego Leoni, “La montagna va protetta ma sa anche proteggersi da sola”

Diego Leoni, “La montagna va protetta ma sa anche proteggersi da sola”

Per la sezione “migliore opera non narrativa” il Premio ITAS del Libro di Montagna è stato assegnato a Diego Leoni per “La guerra verticale"

TRENTO – Per la sezione “migliore opera non narrativa” il Premio ITAS del Libro di Montagna è stato assegnato a Diego Leoni per “La guerra verticale. Uomini, animali e macchine sul fronte di montagna. 1915-1918 (Einaudi). Un volume, come ha detto la giuria (presieduta da Enrico Brizzi), destinato a divenire un classico della storiografia bellica e non solo. Il riconoscimento, consegnato ieri sera nelle mani di Diego Leoni, in realtà ha premiato “un’intera generazione di storici trentini”, come ha detto dal palco l’autore. Si tratta di un volume “che apre scorci nuovi su un conflitto così devastante e su quel luogo, la montagna, le montagne, così devastato – recita il testo con cui la giuria ha spiegato l’assegnazione del premio – e forse soprattutto sugli essere umani, ancor più devastati dalla guerra, dalle condizioni di vita, e di morte: là dove, fino a pochi anni prima dello scoppio, si riteneva impossibile combattere”.

Ha vinto il Premio ITAS. Cosa prova?

Sono felice di aver vito il premio per molti motivi. Prima di tutto perché è un premio autorevole. In secondo luogo è un premio in denaro e il denaro che riceverò non andrà a finire nelle mie tasche – io vivo bene con quel poco che ho – ma contribuirà a finanziare progetti di ricerca, perché quest’opera si inserisce all’interno di un’esperienza collettiva, un’esperienza grazie alla quale ho potuto ottenere un così bel risultato.

È stata definita un’opera polifonica.

Sì, perché ho tentato di rimettere in campo tutti i protagonisti della guerra, che ha avuto un numero impressionante di protagonisti, dai combattenti ai civili. È stata una guerra totale che ha coinvolto tutti. Una guerra che per autoalimentarsi ha dovuto mettere in campo una quantità spaventosa di saperi scientifici e tecnologici. Una guerra davvero complessa, che così non era mai stata raccontata.

Com’è entrato nella mente delle persone che erano sul fronte?

Sono stato costretto a leggere centinaia di testi memorialistici, autobiografici, diaristici ed epistolari, testi che mi hanno portato dentro la soggettività di chi ha combattuto questa guerra sui campi di battaglia.

Cosa contraddistingue una guerra verticale?

Il terreno di montagna conforma la guerra, costringe i combattenti, dagli stati maggiori all’ultimo soldato semplice, a fare delle cose che in pianura non farebbe. La montagna è un terreno aspro, è un terreno nemico di chi combatte gli eserciti e gli eserciti giocoforza sono diventati eserciti di operai.

Se ne parla poco, ma la guerra modifica i luoghi. In che modo?

La guerra ha modificato radicalmente il territorio alpino: per ragioni di sopravvivenza ha spianato le montagne, ha scavato le montagne, ha costruito tantissimo, come gran parte delle strade che facciamo noi oggi salendo in montagna. D’altra parte, gli eserciti erano eserciti di massa che avevano bisogno di essere continuamente riforniti da tergo e per far ciò tutti i mezzi, dai camion ai muli, avevano bisogno di strade per arrivare in alta quota.

La strada, diceva prima, era per i combattenti un territorio nemico, ma qual è la sua idea di montagna? Quale rapporto ha con le alte vette?

Ho un’idea molto realistica della montagna: la montagna va protetta ma sa anche proteggersi, sa anche difendersi. Non permette che uomini non preparati e non attrezzati la frequentino, la percorrano, la sfidino, perché vince sicuramente lei.

© Riproduzione Riservata