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David Grossman, ”Con la mia scrittura, voglio spiegare le ali e trovare la vita vera”

''Trasformando la realtà in una storia riesco a vederla da punti di vista diversi e a comprenderla'': è questo, per David Grossman, il senso del suo cammino di scrittura. L'autore ha incontrato il pubblico di Bookcity al Teatro Elfo Puccini di Milano: in questa occasione ha parlato del suo ultimo libro, ''Caduto fuori dal tempo'', e della necessità, di fronte alla tragedia, di trovare le parole per esprimerla...

L’autore, ospite a Bookcity Milano, ha parlato al Teatro Elfo Puccini del suo ultimo libro, di cui Elio de Capitani e Cristina Crippa hanno letto alcuni brani

MILANO – “Trasformando la realtà in una storia riesco a vederla da punti di vista diversi e a comprenderla”: è questo, per David Grossman,  il senso del suo cammino di scrittura. L’autore ha incontrato il pubblico di Bookcity sabato sera al Teatro Elfo Puccini di Milano: in questa occasione ha parlato del suo ultimo libro, “Caduto fuori dal tempo”, e della necessità, di fronte alla tragedia, di trovare le parole per esprimerla. Per tornare a muoversi e a vivere. Nel corso della serata Elio De Capitani e Cristina Crippa hanno letto alcuni passi del testo.

L’IMPULSO ALLA POESIA – È un libro che ha una forma particolare, che solo secondo una concezione moderna e duttile del romanzo si può definire tale. Ma ha l’apparenza della poesia, del dramma, dell’opera teatrale. “Non sono sicuro di aver scelto questa forma: mi sono seduto con l’intenzione di scrivere un’opera in prosa e mi sono ritrovato a scrivere poesia. Ho avuto l’impulso di mischiare diversi generi e ho capito che il libro avrebbe potuto essere un mix. Del resto, quella che racconto è una storia fuori dall’ordine naturale della vita, fuori dall’ordine delle cose: avevo bisogno di trovare una diversa forma per narrarla. Quando ho iniziato a scrivere in questo modo, ho sentito, credo, l’energia e il ritmo della poesia: ne avevo bisogno. La sensazione che si prova di fronte a una catastrofe è quella di rimanere come fossilizzati, bloccati, e io avevo bisogno di tornare a muovermi, di ritrovare la libertà: questo rappresenta per me il mio libro.”

IL CAMMINO È CAMBIAMENTO E SCOPERTA – “Bisogna essere in grado di cambiare sempre, è questo che significa camminare, muoversi. Io e mia moglie ci alziamo sempre alle 5.45 del mattino e andiamo a camminare con una coppia di amici e il loro cane sulle colline attorno alla città. Ma non è questo il cammino più importante della mia giornata.” Quello più importante è il cammino che porta a compimento la sua ispirazione: quando Grossman comincia a muoversi per la stanza, significa che l’ispirazione lo sta abitando. “Forse questo mio camminare, questo mio muovermi ha a che fare con il mio amore per i viaggi, che mi permettono di scoprire punti di vista diversi. Ho il terrore di essere imprigionato in una singola definizione.”

IL LAGGIÙ – E a camminare è anche il personaggio che dà il via a questa storia. La scena iniziale di “Caduto fuori dal tempo” – proposta al pubblico attraverso la lettura di Elio De Capitani e Cristina Crippa – si apre su una cucina dove un uomo e una donna, moglie e marito, stanno consumando in silenzio la cena. All’improvviso l’uomo si alza e dichiara di dover partire per andare a trovare il figlio perduto, morto cinque anni prima. Una tragedia che Grossman conosce in prima persona: nel 2006 l’autore ha perso suo figlio Uri, ucciso da un missile sul confine con il Libano. Comincia così il viaggio dell’“uomo che cammina” verso il “laggiù”, il mondo dei morti, di quelli che non ci sono più.

TROVARE LE PAROLE – “Il Duca, uno dei personaggi del libro, a un certo punto afferma che la poesia è la lingua del dolore, e io sono d’accordo. Nella poesia c’è qualcosa che dà la sensazione di poter penetrare il muro ermetico che ci separa dal laggiù. Noi non sappiamo cosa sia la morte, cosa sia questo laggiù, ma l’arte ci consente di aprire una piccola crepa nel muro. Attraverso la poesia ho cercato di raggiungere il punto più estremo verso il laggiù, il confine tra ciò che si può dire e ciò per cui non ci sono parole. Quando ci si trova di fronte a una catastrofe come la morte di un figlio, o si rimane senza parole, oppure, spesso, si comincia a parlare per cliché. Io penso che sia umiliante ricorrere a dei cliché, come se non riuscissimo a trovare quelle nuances che invece sentiamo dentro di noi. Perché scrivere? Perché invece non fare qualcosa di più concreto, scalare una montagna, correre fino a perdere il fiato? Noi siamo esseri umani, e l’essere umano ha bisogno delle parole: più sfumature si trovano nella lingua, più sfumature si riescono a cogliere ed esprimere della realtà. È molto doloroso. Alla fine del libro, Centauro, un altro dei personaggi di questa storia, dice: ‘il cuore mi si spezza,/tesoro mio,/al pensiero/che io…/che abbia potuto…/trovare/per tutto questo/parole’. Ma al di là di quanto sia terribile la situazione, di quanto sia terribile riuscire a mettere nero su bianco quello che si prova, si è trovata nella parola una realtà.” Ecco la forza della parola, e soprattutto della parola poetica, che riesce a comunicare una fortissima voglia e gioia di vivere anche quando parla di morte.

DA UNA LINGUA ALL’ALTRA – L’attenzione per la parola è un aspetto che contrassegna tutto il lavoro su questo libro. L’autore si è occupato anche di seguire le traduzioni, così che questo testo potesse trovare la migliore espressione nelle diverse lingue. “Ho riunito sette miei traduttori in una cittadina tedesca per quattro giorni: ogni giorno leggevamo una pagina o un paragrafo e discutevamo sui problemi di traduzione che emergevano. Per quattro giorni ci siamo tuffati a dare un nome, una voce, una melodia a tutto. È stato bello vedere le differenze tra varie lingue, culture e personalità. In ebraico, per esempio, abbiamo una parola per definire un genitore orfano del figlio, nelle altre lingue non c’è un termine analogo.”

 

SCRIVERE PER CAPIRE – In un passaggio del libro Centauro dichiara di non riuscire a capire una cosa finché non l’ha scritta, ed è lo stesso per l’autore. “Ci sono molte cose nella vita che non posso capire se non scrivendo, mettendole in forma di storia. Ho bisogno di immergere tutte queste cose nella mia immaginazione, perché nella realtà sono come congelate. Trasformandola in una storia riesco a vedere la situazione da punti di vista diversi, a spezzettarla tra vari personaggi. Certamente questo non è un modo per sfuggire alla realtà, anzi, io voglio stare a contatto con la realtà e non proteggermi da nulla. Mi chiedono se aver scritto questo libro mi abbia reso più forte. Ma cosa significa ‘forte’? Diventare più forte non rientra nei miei programmi. Io voglio spiegare le ali e toccare la vita vera.” E numerosi sono i personaggi, i punti di vista di questa storia: “Ognuno di loro non è altro che una delle tante sfaccettature del lutto. Insieme formano un coro che si separa in tante singole voci.”

ISRAELIANI E PALESTINESI HANNO BISOGNO DI AIUTO – David Grossman parla anche del terribile conflitto che devasta la sua terra e della situazione nella striscia di Gaza. “Come ho dichiarato in un’intervista rilasciata a Il Venerdì di Repubblica, c’è uno iato tra l’immagine di Israele diffusa dai media e la fragilità che noi viviamo e proviamo. L’uso eccessivo che a volte facciamo della forza è volto a coprire questa fragilità esistenziale: nessun altro Paese ha la stessa incertezza che abbiamo noi riguardo al futuro. La situazione potrebbe deteriorarsi, e non voglio nemmeno parlare delle terribili situazioni che potrebbero darsi. Da quarant’anni iviamo come in una bolla in cui vige esclusivamente la logica della guerra, in cui ogni parte ha le sue giustificazioni e ogni gesto di violenza trova la sua legittimazione nella violenza dell’altro. Perché non si riesce a scardinare questa situazione? Perché non ci rendiamo conto che questa bolla in cui stiamo vivendo è una condanna per i nostri figli? Non dobbiamo rassegnarci all’ineluttabilità della tragedia, non dobbiamo pensare che sia normale agire secondo il principio che ‘chi di spada ferisce, di spada perisce’. Ma non ce la possiamo fare da oli, abbiamo bisogno dell’aiuto esterno.”

MANIFESTAZIONI PRO-PALESTINA – A questo punto, prima che l’autore possa leggere un passo del libro nella sua lingua a conclusione dell’incontro, si alza un gruppo di persone che con cartelloni e bandiere manifestano il loro appoggio alla causa palestinese. Le voci del pubblico si levano immediatamente contro di loro, ma Grossman chiede che ognuno possa parlare ed esprimere liberamente il proprio pensiero. Una donna parla allora alla sala: anche i figli dei palestinesi muoiono e stanno morendo sotto i bombardamenti. Grossman ascolta, poi risponde invitando a un uso più preciso delle parole. “Si può parlare di violenza, ma non di genocidio”, dice ai manifestanti, “perché Israele non ha occupato la Palestina con l’idea di uno sterminio sistematico della popolazione.”

 

20 novembre 2012

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