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Darwin Pastorin, ”Scambiarsi un libro a inizio partita per rendere la letteratura popolare come il calcio”

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MILANO – “Prima dell’inizio di una partita i giocatori, oltre ai gagliardetti, si dovrebbero scambiare un libro, scelti da loro stessi. Questo potrebbe essere un bel gesto da parte del calcio per rendere sempre più popolare la letteratura”. E’ questa l’originale proposta da parte del giornalista italo-brasiliano Darwin Pastorin, di recente protagonista a  Santa Maria Maggiore di Sentieri e Pensieri. In questa intervista, Pastorin ci parla del suo rapporto con il Brasile, approfondito nel libro “Adesso abbracciami, Brasile!”.

Cosa rappresenta per te il Brasile?

Il Brasile è il luogo della memoria, dell’infanzia, della nascita ma anche del mito. Quando ricordo i miei primi 6 anni in Brasile, ci sono tante cose ingigantite dalla memoria. E’ il luogo dove ho imparato che il razzismo è la cosa più stupida del mondo. Nel quartiere dove sono nato, Cambuci, giocavo a pallone con bambini mulatti, ebrei, musulmani, giapponesi, in un momento di grande felicità per tutti, dove non contavano il colore della pelle, la religione ed il lavoro dei padri. Il Brasile è un Itaca che un giorno speri di ritrovare.

Quali sono le analogie e le differenze rispetto all’Italia?

L’Italia è sempre stata presente in me, anche quando ero piccolo. Anche in Brasile, c’erano sempre oggetti che mi riportavano all’Italia. Una nazione che imparato a conoscere dai 6 anni in poi, amandola profondamente. Il senso dell’ospitalità accomuna entrambe le nazioni. Nelle persone che vengono qui da noi vedo la stessa speranza che avevano i miei genitori, i miei nonni ed i miei bisnonni.

Ad accomunare Brasile e Italia è la passione per il calcio, vista più come un gioco ed un divertimento in Sudamerica, mentre da noi è sempre più trattato come un business. E’ possibile un ritorno al calcio romantico e inteso solo come un gioco in Italia?

Il calcio moderno ha sostituito il dribbling con il marketing. Il Brasile non è più legato così passionalmente al calcio: rimane lo sport popolare, ma la gente in piazza manifestava per chiedere scuole ed università. Questo grazie alla svolta democratica messa in atto da Presidenti come Lula e Dilma. Il calcio resta soprattutto un grande divertimento. L’Italia potrebbe ritornare al calcio di una volta, recuperando forse le famiglie allo stadio, la vicinanza delle società e dei giocatori alla gente. Quando ero un giovane cronista, potevo andare agli allenamenti e stare sul campo, frequentare i giocatori, mentre oggi c’è una barriera per i giornalisti emergenti, dove per parlare con un giocatore devi passare da manager, uffici stampa…tutto un filtro che prima non esisteva. Il calcio prima era una suggestione, una fantasia. Oggi la modernità ha tolto quella vena poetica che contraddistingueva il calcio. Oggi è difficile anche per gli scrittori raccontare il calcio di oggi. I narratori, quelli che Giovanni Arpino definiva “i bracconieri di storie e personaggi”, oggi si rifugiano nella memoria, personale e collettiva. Oggi i bei libri sul calcio guardano non avanti, ma dietro.

Possono i libri e la lettura diventare popolari come il calcio in Italia?

Sono uno che, pur lavorando in televisione, dedica almeno due ore alla lettura la sera. Per me i libri sono stati sempre una salvezza, nei momenti di malinconia come in quelli di felicità. Dico sempre a mio figlio “la nostra casa è sempre piena di personaggi: basta andare in libreria e ritrovare quegli amici che ci hanno saputo accompagnare in tanti nostri momenti”. Facendo mia un’idea di Gunter Grass, il quale aveva proposto durante gli intervalli delle partite di Bundesliga di leggere poesie o brani di letteratura dedicate al calcio, una volta ero arrivato a proporre che prima dell’inizio di una partita i giocatori, oltre ai gagliardetti, si scambiassero anche un libro, scelti da loro stessi. Questo potrebbe essere un bel gesto da parte del calcio per rendere sempre più popolare la letteratura. C’è bisogno, soprattutto oggi, di leggere molto.

25 agosto 2014

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