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Conversazione con Tommaso Pincio sul suo ultimo romanzo, ”Panorama”, storia di un uomo ”che consacra la propria esistenza alla lettura assoluta”

Tommaso Pincio ha attraversato diverse esperienze: fumettista, gallerista, dal 1999 in poi ha pubblicato diverse opere (romanzi e saggi). La sua ultima opera letteraria รจ il romanzo Panorama (NN Editore, 2015)...

Tommaso Pincio ha attraversato diverse esperienze: fumettista, gallerista, dal 1999 in poi ha pubblicato diverse opere (romanzi e saggi). La sua ultima opera letteraria è il romanzo Panorama (NN Editore, 2015).

 

Ciao, Tommaso. E innanzitutto, devo chiamarti Tommaso, cioè con lo pseudonimo che usi, o con il tuo vero nome, Marco (Colapietro)? E vogliamo parlare del rimando che − si dice − nel tuo nome d’arte fai a Thomas Pynchon, nome che sembra evocare la tua passione e la tua competenza in letteratura statunitense (materia di cui ti occupi collaborando con importanti testate)?

Puoi chiamarmi come preferisci, è indifferente per me. Il mio nome d’arte è uno pseudonimo come tanti, non vuole evocare nulla se non il colle dove sorge villa Borghese. Tra l’altro la vera funzione non è mai quella di evocare bensì il suo contrario, ovverosia quella di nascondere, eludere, mascherare. 

 

Quando mi imbatto in autori che provengono da esperienze multiformi non resisto alla domanda sul loro percorso. La vocazione letteraria è venuta fuori all’improvviso o covavi la malattia della parola scritta anche quando ti occupavi d’altro?

Nessuna vocazione emerge all’improvviso. Credo che una certa propensione alla letteratura sia comune a tutti gli esseri umani, analfabeti inclusi. Dipende ovviamente da cosa si intende per letteratura, ma preferisco pensare che qualunque individuo si serva delle parole per raccontare ciò che gli accade ed esprimere sentimenti. Da giovani, molte persone, anzi moltissime provano a comporre poesie o tengono un diario. La gran parte di esse smette, presa da altre cose o, se preferisci, dalla vita. I pochi che persistono sono coloro che chiamiamo scrittori e poeti. Trovo sbagliato chiedere a costoro come e perché abbiano cominciato. Bisognerebbe chiedergli perché non hanno smesso, perché non si sono lasciati prendere dalla vita al punto di smettere. Perché è questo il vero nodo: la ragione per cui ci si distacca da certe inclinazioni giovanili. Io non ho mai smesso, neppure nei tempi in cui mi occupavo d’altro. Quanto al perché, non lo so. Forse perché non sapevo fare molto altro.

 

Hai scritto opere di vario genere. La più recente è il romanzo Panorama, edito da NN Edizioni. La collocazione di questa tua opera nella collana ViceVersa forse merita qualche parola. Di che si tratta? Perché “viceversa”? Qual è il filo conduttore che lega fra loro le opere? Poi parleremo di Panorama.

È andata in maniera molto semplice: gli amici di NN mi hanno proposto di scrivere un testo narrativo ispirandomi più o meno liberamente a un vizio o una virtù. Ho accettato perché ragionavo da tempo su una storia in cui l’accidia rivestiva un ruolo importante. In effetti, l’accidia è sempre stato un mio chiodo fisso ed è presente in misura finanche più massiccia nei miei romanzi precedenti.

 

E veniamo alla storia di Ottavio Tondi, il protagonista di Panorama. Uno che legge e non ambisce a scrivere, che diventa lettore per una casa editrice, che ha un amico che forse non è un amico, Mario Esquilino, che vive poco la realtà e molto la virtualità, che è innamorato di una donna con la quale è in contatto solo attraverso un social, che appunto si chiama Panorama. Una donna il cui nome è Ligeia Tissot. Quattro anni di messaggi e la visione costante della camera da letto della donna, con i suoi oggetti e le tracce del suo passaggio. Naturalmente in un libro denso come questo ogni lettore poi privilegerà uno o alcuni aspetti: i temi dai quali sono stata più colpita io sono la passione totalizzante per la lettura e l’estraniamento dalla realtà. Ma quando hai iniziato a scrivere era questo che avevi in mente? Lo chiedo perché spesso la storia che ci si racconta in mente prima di scriverla può poi prendere la mano al narratore e portarlo un po’ dove vuole.

Il libro ha avuto una gestazione lenta. Come ho detto, pensavo a questa storia già da tempo, da un paio di anni per la precisione, anche se la sua forma era molto diversa da quella che ha poi visto la luce. L’idea iniziale era infatti quella di raccontare una persona con cui ho avuto un rapporto epistolare durato a lungo e bruscamente interrotto. Volevo mettere una certa distanza tra me e questa persona, e per far ciò mi serviva un personaggio che funzionasse da filtro o da schermo, se non da entrambe le cose. Così è nato Ottavio Tondi, l’uomo che consacra la propria esistenza alla lettura assoluta. Doveva essere un semplice comprimario, una specie di spalla, e invece, come spesso succede e come tu hai anticipato, i personaggi reclamano attenzioni impreviste, scombussolano i piani dello scrittore prendendosi più spazio di quello che gli era stato riservato. Se la convivenza interiore con questa storia è stata abbastanza lunga, la stesura vera e propria del libro si è risolta in tempi relativamente brevi. Va tuttavia precisato che considero Panorama un’opera aperta, un libro non finito o, per meglio dire, in continua evoluzione. Ciò che intendo è che seguiterò a scriverlo e riscriverlo. Non so dire se questo lavorio porterà a una nuova edizione riveduta e allargata, ma è comunque una possibilità che potrebbe presentarsi all’orizzonte.  

 

Una domanda ancora: le tue letture, i libri che hai amato di più, che magari hanno avuto un’influenza forte sulla tua formazione.

Le letture che formano uno scrittore sono quelle dell’infanzia e dell’adolescenza. Lessi il mio primo libro a sette anni. Passai una torrida giornata d’estate senza staccare gli occhi da I ragazzi della via Pal. Conservo un ricordo molto confuso riguardo alla storia ma riesco ancora a rivivere lo stato di estatico isolamento nel quale compii l’impresa di leggere un libro intero in solo giorno. Mi sembrò di avere scalato una montagna e provai un senso di vertigine al contempo inebriante e pauroso. La seconda scalata fu Moby Dick, seppure in un’edizione per bambini. Dopodiché sopraggiunse la prima adolescenza. Intorno ai dodici anni lessi L’idiota di Dostoevskij e poi i racconti di Kafka. Ma non voglio dare di me un’immagine particolarmente sofisticata; sarebbe una falsificazione. In quel periodo ero anche un avido lettore di fumetti e anch’essi ebbero la loro importanza. Le letture fatte in seguito mi hanno insegnato certamente molto, ma il nocciolo della mia formazione va ridotto alle poche cose che ho citato.

 

Grazie, Tommaso, per il tuo tempo e le tue risposte.

Grazie a te per la pazienza.

 

Rosalia Messina

 

29 agosto 2015

  
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