“Come sale sulla pelle”, intervista ad Anna Pavignano

1 Dicembre 2025

Come sale sulla pelle è un romanzo intenso e struggente di Anna Pavignano che racconta la forza di una donna che trasforma la disabilità e il dolore in un atto di coraggio e libertà. Noi l'abbiamo intervistata per saperne di più!

"Come sale sulla pelle", intervista ad Anna Pavignano

C’è un dolore che segna la pelle e uno che la attraversa, invisibile, come un sale che brucia ma purifica. Anna Pavignano, con la sua scrittura empatica e lucida, restituisce questa doppia ferita nel romanzo “Come sale sulla pelle”, un’intensa storia di coraggio femminile ambientata tra l’Italia di fine Ottocento e la Francia dell’emigrazione.

La protagonista, Camilla, è una bambina quando la tragedia le spezza la vita in due: un incidente, una corsa disperata sotto la tempesta, un omnibus che la travolge. Sopravvive, ma perde una gamba. Da quel momento, la sua esistenza è una lotta costante contro lo stigma, la vergogna e i pregiudizi di un mondo che considera la disabilità una colpa. Pavignano racconta tutto questo senza pietismo, anzi: il romanzo è un inno alla resilienza, alla possibilità di vivere pienamente anche quando la società tenta di relegarti ai margini.

Anni dopo, Camilla incontra Felice, studente di medicina, idealista e appassionato. È lui a vedere oltre la “zoppia”, a innamorarsi della sua intelligenza e della sua forza. Il loro amore, ostacolato da convenzioni e povertà, attraversa paesi e battaglie morali: dalle colline piemontesi alle saline francesi di Aigues-Mortes, dove gli emigrati italiani lottano contro la fame e l’intolleranza.

Pavignano, già nota per la sua carriera cinematografica e la sua prosa evocativa, firma un romanzo che unisce il respiro storico alla delicatezza psicologica. La sua scrittura si muove tra la concretezza della miseria e la poesia del sentimento, dando voce a personaggi femminili forti, autentici, radicati nella terra e nel proprio destino. Ogni pagina riflette un tema ancora attuale: il diritto a essere visti, amati, riconosciuti, nonostante le cicatrici.

“Come sale sulla pelle” di Anna Pavignano: la fragilità che diventa forza

Con “Come sale sulla pelle”, Anna Pavignano consegna un romanzo di formazione e di rinascita, capace di intrecciare intimità e storia, fragilità e resistenza. Un libro che parla al cuore, ma soprattutto alla coscienza: ci ricorda che la forza delle donne sta proprio nelle loro ferite, e che ogni cicatrice è una forma di memoria.

Un romanzo storico che parla al presente

“Come sale sulla pelle” è anche un racconto sull’identità, sull’amore come atto politico e sulla ricerca di dignità. L’autrice dipinge un quadro vivido e struggente di un’Italia di frontiera, ma allo stesso tempo universale: una terra dove la condizione femminile è fatta di rinunce, ma anche di ribellione silenziosa.

Nella scrittura di Pavignano non c’è mai compiacimento, ma un ritmo interiore costante, una tenerezza trattenuta che avvicina il lettore ai personaggi come in un sussurro. Il dolore non viene mai edulcorato: è parte del cammino, necessario come il sale che brucia e preserva.

Intervista a Anna Pavignano per saperne di più sul suo romanzo

1
.Anna, “Come sale sulla pelle” nasce da una storia ambientata a fine Ottocento, ma la sua forza è incredibilmente attuale. Cosa l’ha spinta a raccontare proprio questa vicenda e questo periodo storico?

Entrambe le vicende, sia quella che riguarda Camilla, con il suo incidente che la rende ‘diversa’ perché amputata di un arto, che quella di Felice, emigrante vittima di pogrom contro gli italiani, sono fatti reali di cui sono venuta a conoscenza tempo fa e, nel tempo, è maturato il bisogno di raccontarli.

Camilla e Felice sono accomunati in quanto vittime dei pregiudizi che, rafforzati dall’essere condivisi da un’intera comunità, si trasformano in violenza fisica e verbale. Camilla e Felice si amano e insieme reagiscono a un mondo che li vorrebbe emarginati. I motivi per cui ho ambientato il romanzo nel passato deriva dalla realtà storica, perché la vicenda di Felice è accaduta nel 1893 ed è una fatto poco conosciuto, ma molto rilevante nella storia dell’emigrazione. Mi sembrava importante ricordare che anche noi italiani siamo stati emigranti non troppo tempo fa e, in quanto tali, abbiamo subito ingiustizie e persino violenze.

2.
Camilla è una protagonista indimenticabile: una donna ferita ma tenace, che affronta la vita con dignità e rabbia silenziosa. Come è nata dentro di lei questa voce femminile così intensa e realistica?

Camilla è dentro di me, in parte mi somiglia e in parte è ciò che non sono e vorrei essere. Nasconde il suo dolore dietro al buon umore e all’ironia, ha paure e rabbia che tiene a bada con la ragione. Non si lamenta, ma agisce per migliorare e risolvere al meglio le situazioni. Crede nell’amore e combatte per averlo, ma è disposta a sacrificarlo per non perdere di vista i propri valori.

3.
Nel romanzo il corpo diventa un campo di battaglia, luogo di dolore ma anche di resistenza. Quanto è importante oggi parlare del corpo delle donne e della loro libertà di autodeterminazione, anche partendo da una storia del passato?

Il corpo femminile è presente in tutto il romanzo. Camilla non c’è solo con la sua parte mancante, offesa dall’incidente e causa dalla sua diversità, ma anche con la sua bellezza, il suo calore, la sua capacità di percepirsi intera nonostante l’amputazione. Di essere cioè ciò che sente di essere. Poi ci sono i corpi delle altre donne del romanzo: le donne che nel passato partorivano da sole, facevano figli su figli e spesso ci morivano.

Ragazze cacciate di casa perché incinte, picchiate dall’uomo che le aveva ingravidate perché non potevano dimostrare che il figlio fosse davvero suo. Certo, qualcosa è cambiato rispetto al passato, ma il corpo della donna continua ad essere in molti casi qualcosa di posseduto, esibito, manipolato. E oggi c’è il pericolo di tornare indietro rispetto alle conquiste del passato più recente, gli anni settanta del novecento sono stati importanti.

4.
Il titolo, “Come sale sulla pelle”, evoca un dolore vivo, ma anche una sensazione di purificazione. Cosa rappresenta per lei questo “sale”?

Ci sono due letture della parola sale del titolo. La prima è molto concreta, legata al fatto che Felice, quando emigra in Francia, va a lavorare nelle miniere di sale della Camargue. Il sale non è solo nelle saline, ma i lavoratori ce l’hanno addosso, nei vestiti, nei letti, ovunque. Provoca dolore, ferite e rende la vita penosa.

C’è poi un aspetto più ‘simbolico’ legato alle varie sensazioni che il sale sulla pelle può evocare: come dici tu purificazione, anche il piacere di un bagno in mare. Nel romanzo ci sono momenti di dolore, ma anche gioia, divertimento, leggerezza. E il dolore non diventa mai tragedia, non è mai devastante nè annichilente.

5.
.Felice, il coprotagonista, è un personaggio maschile raro nella narrativa contemporanea: empatico, solidale, capace di guardare oltre le apparenze. È stato difficile costruire una figura maschile così positiva senza scivolare nella retorica?

Veramente no. Felice è il nome di mio padre e mi sono ispirata a lui. O meglio all’immagine che mi è rimasta di lui, sicuramente idealizzata dal tempo e dal fatto che l’ho perso quando ero molto giovane. Era una persona di valore. Poi Felice è l’uomo che Camilla ama incondizionatamente e non potevo ingannarla facendola innamorare di qualcuno che non meritasse il suo amore

6.
La disabilità di Camilla diventa una metafora della condizione femminile: esclusa, giudicata, ma anche capace di riscrivere il proprio destino. Si può leggere il romanzo come una riflessione sul potere di risanare le proprie ferite?

Certamente. Le donne hanno in sé la forza per risanare le proprie ferite. Purtroppo siamo cresciute con l’idea che arrivi un principe azzurro a salvarci e quando ci accorgiamo che i principi azzurri non esistono troviamo la forza in noi. Ci tengo a dire che l’idea del principe azzurro è negativa non solo per le femmine, ma anche per i maschi: deve essere un bel peso pensare di dovere per forza sfidare draghi per meritarsi l’amore! Purtroppo vedo tante bambine, anche oggi, che a Carnevale si vestono da principesse e mi colpisce che ancora abbiano il mito della principessa e, di conseguenza, del principe azzurro.

7.
L’emigrazione italiana in Francia e la condizione degli “altri” attraversano il finale del libro. Come si è documentata per ricreare questo mondo e quanto ritiene che la storia degli emigrati dell’Ottocento risuoni con le migrazioni di oggi?

Il motivo principale per cui ho raccontato questa storia di emigrazione è perché ritengo che risuoni profondamente nell’attualità. I pregiudizi, il rifiuto, la paura del diverso sono rimasti uguali, anche se è cambiato l’oggetto di tali comportamenti negativi: prima erano nei confronti degli italiani all’estero, poi dei meridionali al nord, oggi sono gli stranieri che arrivano con il barcone ad essere considerati gli invasori.

E’ un fenomeno non solo italiano, ma mondiale e tutte le politiche per gestire il problema sono incentrate sul rifiuto e non sulla comprensione e sull’integrazione. Come se bastasse il rifiuto per fermare persone che sono spinte dalla disperazione e dalla mancanza di alternative. Quello che racconto sull’eccidio di Aigues Mortes è l’elaborazione romanzata di testi storici che parlano dell’argomento e che ho letto e riletto, per assimilare non solo i fatti ma anche l’atmosfera. Anche le illustrazioni e i giornali dell’epoca sono stati di grande aiuto per la ricostruzione storica.

8.
La sua scrittura ha sempre un tono visivo e cinematografico, quasi da sceneggiatura poetica. Ha immaginato “Come sale sulla pelle” anche come un film o una serie?

Quando scrivo un romanzo non penso mai al film o, in generale, alla sua traduzione in immagini. Però immagino ciò che scrivo e descrivo ciò che ho immaginato, forse per questo molti pensano che i miei libri, questo in particolare, siano dei quasi-film. Non mi dispiacerebbe se qualcuno pensasse di farci un film o una serie, ma il libro nasce indipendentemente dal futuro cinematografico che potrebbe avere.

9.
C’è un equilibrio perfetto tra dolore e speranza, tra realismo e lirismo. Come riesce a mantenere questa delicatezza senza cedere mai al sentimentalismo?

Penso che sia una questione di gusto e di autocritica. Bisogna avere il coraggio di andare a fondo nei sentimenti senza crogiolarsi nel piacere o nel dispiacere (che a sua volta può essere una forma distorta di piacere) che i sentimenti ci danno. Quando ci si sta cullando troppo bisogna andare via, passare ad altro. Nella scrittura e nella vita. E’ una cosa molto facile da fare con i personaggi, meno nella vita.

10.
Se dovesse riassumere in una sola frase il messaggio che vorrebbe restasse nel cuore dei lettori dopo aver chiuso il libro, quale sarebbe?

Rubo una frase che ha pronunciato Ambra Sabatini, atleta paraolimpica, medaglia d’oro ai mondiali di Nuova Delhi, in cui ho rivisto la mia Camilla di oggi: stesso incidente in versione moderna, stessa capacità di reagire. Ha detto che bisogna capire che la diversità è ricchezza. Aggiungo che se ancora non siamo riusciti a convincerci di questa semplice verità, è nostro dovere almeno ricercarla con rispetto e curiosità in chi questa ricchezza la possiede.

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