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Chiara Gamberale, ”Nel mio libro e nella vita affronto il dramma con ironia”

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L’autrice ci presenta “Quattro etti d’amore, grazie”, uscito settimana scorsa per i tipi di Mondadori

MILANO – L’insoddisfazione nei confronti della propria vita, la fuga da ciò che si ha e la costante ricerca di qualcosa d’altro è un tratto fondamentale dell’animo umano, Chiara Gamberale ne è convinta. È un carattere che condividono anche Tea ed Erica, le protagoniste del suo nuovo libro, “Quattro etti d’amore, grazie”, arrivato una settimana fa in libreria. Per il resto le due donne sono completamente diverse una dall’altra: Erica ha un posto fisso in banca, un marito devoto, due figli. Tea è la protagonista della serie tv “Testa o cuore” e ha un marito affascinante ma manipolatore. Le due si scrutano da lontano. Erica ammira il carrello della spesa di Tea mezzo vuoto, a confronto con il suo traboccante, e fantastica sulla sua libertà, sulla sua esistenza felice, priva di responsabilità. Tea spia le abitudini rassicuranti di Erica e vi coglie il segno di una pace, di una stabilità che lei non avrà mai.

 

 

 

Com’è venuta l’idea del libro?
È sempre un po’ un mistero come nascano le idee: c’è un momento fatale in cui, semplicemente, prendono vita. Io, che fin da bambina volevo fare la scrittrice, sono continuamente tempestata da idee per nuove storie: me ne vengono moltissime, di buone e meno buone, che mi raggiungono quando meno me l’aspetto. Un giorno ero al supermercato sotto casa mia a fare la spesa – era un giorno particolarmente sconsolato – e invece di fare un rapido “mordi e fuggi” come mio solito – io non so cucinare e non amo fare la spesa – mi sono persa a contemplare un carrello traboccante di prodotti. È stato quel giorno che è nata l’idea per quest’ultimo libro.

 

Erica e Tea sono sue donne molto diverse tra loro, con due esistenze agli antipodi, eppure si somigliano in un tratto fondamentale: l’insoddisfazione nei confronti della propria vita, che si manifesta in un costante “spiare” l’altra alla ricerca di una felicità che si ritiene negata a sé. Crede che questa insoddisfazione sia un tratto comune a molti?
Sì, penso che sia proprio un tratto radicato nell’essere umano, una specie di guasto, non so se localizzato in testa, in pancia o nel cuore – tanto per giocare con il titolo del telefilm in cui recita Tea. Da una parte è un vizio dell’anima, ma dall’altra è anche un bene. L’insoddisfazione ha sicuramente un lato penoso, assassino, perché ci mette nelle condizioni di non poter mai essere felici di ciò che abbiamo. Ma è anche uno sprone alla ricerca. L’insoddisfazione può essere fine a se stessa, ma può anche essere il primo passo di un percorso necessario per guardare in faccia la nostra vita e capire se la possiamo definire davvero nostra.

L’aspirazione e la ricerca d’altro è insieme anche una fuga dalla proprio realtà e dalla propria vita. Qual è il confine tra una e l’altra?
Quale sia il confine non lo so. Io scrivo libri ponendomi delle domande, e questo nodo è proprio il cuore, la domanda fondamentale di questo libro. Non conosco la risposta: quando ci muoviamo in una direzione, non sappiamo mai se stiamo perdendo la strada di casa o se stiamo trovando la via verso la nostra vera casa. Neppure i miei personaggi lo sanno. Tea forse è più capace di entrare dentro a se stessa e ai pensieri degli altri, Erica è forse meno abituata, ma in tutte e due c’è lo stesso stupore di una prospettiva nuova che si apre e insieme il terrore di abbandonare il conforto della propria esistenza abituale.

È stato difficile inquadrare le psicologie di una e dell’altra?
Per Tea è stato facilissimo: mi somiglia molto e somiglia molto alle persone che sento affini. La confusione, la disperazione mi sono familiari, mi è familiare il suo modo di pensare. Erica invece pensa e agisce in un modo completamente diverso dal mio. Il viaggio dentro questo personaggio è stato forse il più entusiasmante che mi è capitato di fare nel mio percorso di scrittrice. Una sciocchezza: prima di scrivere questo libro non sapevo neppure cucinare un uovo, e invece per seguire Erica mi sono messa a cucinare con lei. Questo personaggio mi ha proprio “portato da un’altra parte”. Dopo la prima stesura, in cui mi sono dedicata a Tea, con Erica ho iniziato un lavoro più complesso, cercando un’empatia profonda con il suo carattere molto distante dal mio. E ho finito per amare lei più di Tea.


Nonostante il libro tratti argomenti essenziali, le domande fondamentali dell’esistenza umana, il tono è sempre lieve, ironico. Questa caratteristica della sua scrittura rispecchia il suo modo di vedere e affrontare la vita?

Sì, credo che si tratti di un vizio e di una virtù della mia scrittura, e insieme di uno stile di vita. Uno stile che gli autori che più amo e prendo a modello, come Philip Roth nel campo letterario o Woody Allen in quello cinematografico, condividono tutti. Io sono lontana dall’arrivare alle loro vette, ma è quella la meta che inseguo.
Credo che le amarezze e i drammi in questo libro siano tanto più veri proprio in quanto trasmessi attraverso l’ironia, che non toglie nulla, semmai anzi aggiunge, alla tragicità di certi aspetti dell’esistenza, ma insieme ci salva. L’ironia è un mio modo di guardare le cose: non mi ha preservata dall’avvertire l’ineluttabilità del tragico – il senso del tragico è un tratto che mi accomuna ai miei due personaggi, soprattutto Tea – ma mi ha aiutato a sopportarne il peso.    

4 aprile 2013

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