C’era una volta un gruppo di intellettuali che sovvertì le regole della società edoardiana: Le Bloomsbury Girls. Armate non solo di libri, dipinti e teorie filosofiche, ma anche, e soprattutto, di libertà.
Libertà di amare, di pensare, di creare. E se il Bloomsbury Group è oggi noto per la sua influenza culturale, è nel cuore delle sue donne, le Bloomsbury girls, che si nasconde la vera rivoluzione. Virginia Woolf, Vita Sackville-West, Dora Carrington, Vanessa Bell: loro non chiedevano il permesso.
Vivevano come volevano. E spesso, amavano chi volevano. Uomini? Sì. Donne? Ancora di più. Dietro i salotti ordinati di Bloomsbury, tra il profumo di tè e le chiacchiere letterarie, si consumavano affari scandalosi, relazioni segrete, amori impossibili, gelosie degne di un feuilleton. Le Bloomsbury girls erano al centro di tutto questo.
E tutto, rigorosamente, in nome dell’arte e della libertà interiore. In un’epoca in cui l’omosessualità era ancora un reato, e il matrimonio l’unica via per la rispettabilità femminile, queste donne crearono un microcosmo in cui il desiderio poteva esprimersi senza maschere.
Le Bloomsbury girls: Virginia, Vita, Dora & Co, tra passioni ardenti, manifesti femministi e libertà sessuale
Oggi le chiameremmo iconiche, e su TikTok avrebbero milioni di fan. Le ragazze di Bloomsbury non scrivevano solo libri e manifesti, scrivevano se stesse . Le loro vite furono piene di ombre, errori, drammi privati e scelte discutibili, come tutte le vite vissute davvero.
Ma furono soprattutto vite che rifiutarono di piegarsi. E che ci ricordano che la letteratura è sempre anche un atto di coraggio e di desiderio . Perché Virginia, Vita, Dora, Vanessa e tutte le altre non volevano essere modelle di virtù. Volevano solo essere se stesse.
E questo, all’epoca, era già il più scandaloso degli atti.
Virginia & Vita: passione in lettere
Se oggi potessimo sfogliare i messaggi vocali di Virginia Woolf, troveremmo dichiarazioni d’amore per Vita Sackville-West, scritte in una prosa così lirica da far impallidire qualsiasi romanzo rosa. Il loro legame, immortalato in “Orlando” (che Virginia scrisse proprio per Vita), fu tenero, passionale e anticonformista.
Vita, sposata con Harold Nicolson, viveva un matrimonio aperto. E Virginia, con Leonard Woolf, aveva lo stesso tipo di accordo. Loro sì che avevano capito tutto: la fedeltà alla libertà, non alla convenzione . Nonostante le apparenze borghesi, la loro corrispondenza fu un vero atto di sovversione.
Frasi come “Ti amo più di quanto il tuo orgoglio possa sopportare” rivelano una tensione erotica che, per l’epoca, era a dir poco esplosiva. Ed è proprio lì, in quelle lettere conservate con cura, che si legge una rivoluzione fatta d’inchiostro e batticuori.
Dora Carrington: la pittrice dai molti amori
Carrington era la wild card del gruppo. Pittrice eccentrica e malinconica, visse un amore tormentato e platonico con lo scrittore Lytton Strachey, omosessuale dichiarato.
Il loro ménage à trois con Ralph Partridge fece discutere perfino nei circoli più libertini dell’epoca. Carrington amò uomini e donne, in un continuo rimescolamento tra amicizia, desiderio e dipendenza emotiva.
Era queer prima che lo si potesse dire ad alta voce. Una di quelle vite che non starebbero mai su un curriculum, ma in un romanzo, sì. E che romanzo. Il suo talento artistico fu spesso messo in ombra dalle cronache sentimentali, ma oggi viene finalmente riscoperta come una figura chiave dell’arte e del pensiero queer del primo Novecento. Non cercava fama: cercava autenticità.
Vanessa Bell: arte, amanti e scandali familiari
Sorella maggiore di Virginia e artista talentuosa, Vanessa Bell visse tra mille contraddizioni: madre borghese e pittrice d’avanguardia, moglie e amante, razionale e sfrontata. Ebbe una relazione con Duncan Grant, omosessuale, da cui ebbe una figlia, Angelica.
Angelica crebbe ignara delle vere origini paterne e, ironia della sorte, sposò l’amante del padre. Chi ha detto che solo le soap opera hanno trame complicate? Vanessa fu una pioniera dell’arte astratta in Inghilterra e realizzò alcune delle copertine più audaci della Hogarth Press, la casa editrice fondata da Virginia e Leonard Woolf.
Non era solo un’ombra creativa dietro una grande scrittrice: era una rivoluzionaria, anche quando dipingeva silenzi. Un mondo senza etichette. Le “Bloomsbury Girls” non si definirono mai femministe in senso stretto, ma lo furono in ogni gesto, parola e scelta di vita.
Rivendicavano il diritto all’autonomia, all’arte, alla sessualità fluida e alla maternità come scelta, non come destino. Sfidarono l’ipocrisia vittoriana con il silenzio sfrontato delle loro relazioni “aperte”, dei figli cresciuti fuori dal matrimonio, dei romanzi in cui le donne non erano più angeli del focolare, ma creature pensanti, irrequiete, disobbedienti. A Bloomsbury, si parlava di amore libero prima che diventasse slogan. Di identità non binarie senza bisogno di definirle. E di arte come veicolo di liberazione, non come ornamento borghese.