Chi era Ignazio Silone e perché è importante leggere i suoi libri oggi

9 Agosto 2025

Scopri chi era Ignazio Silone e perché i suoi libri sono fondamentali per comprendere il nostro presente:

Chi era Ignazio Silone e perché è importante leggere i suoi libri oggi

C’è una voce, nella letteratura italiana del Novecento, che ha saputo raccontare il potere con uno sguardo tagliente, umano e disilluso.

Quella voce è di Ignazio Silone, scrittore, giornalista, militante politico, esule, e costante coscienza critica del suo tempo.

Un intellettuale che ha scelto sempre l’esilio piuttosto che il compromesso, la parola piuttosto che il silenzio. Tra i suoi libri più attuali, e troppo spesso dimenticati, c’è “La scuola dei dittatori” , pubblicato per la prima volta nel 1938, ma sorprendentemente attuale ancora oggi.

Ignazio Silone e l’incredibile attualità dei suoi libri

Ignazio Silone è stato molte cose: scrittore, politico, antifascista, eretico, esule, credente in crisi. Ma sopra ogni cosa, è stato un uomo che non ha mai smesso di interrogarsi sul significato della libertà.

“La scuola dei dittatori” non è un libro sul passato. È un libro sul presente che non vogliamo vedere. E leggere Silone oggi non è solo un esercizio letterario: è un atto politico, un gesto necessario per tornare a pensare, dubitare, resistere.

“La scuola dei dittatori” perché leggerlo e perché è attuale 

“La scuola dei dittatori” si presenta come un pamphlet travestito da romanzo satirico. È la storia di due americani, Mr Doppio Vu, aspirante autocrate, e il professor Pickup, teorico della “pantautologia”, che sbarcano in Europa per capire come si costruisce una dittatura.

Incontrano gerarchi fascisti, nazisti e teorici del totalitarismo, ma è un esule antifascista, Tommaso il Cinico, a fornire loro un vero e proprio manuale per aspiranti dittatori.

Attraverso il suo monologo, Silone smonta uno a uno i meccanismi con cui i regimi, anche i più “moderni”, manipolano le masse: la costruzione del consenso, l’uso strategico della paura, il ruolo degli intellettuali complici, il culto dell’uomo forte, la semplificazione brutale del linguaggio, il controllo dell’informazione.

Un decalogo della tirannia, scritto non da un moralista, ma da un disilluso che ha vissuto il tradimento delle ideologie sulla propria pelle.

“La scuola dei dittatori” di Ignazio Silone Pubblicato per la prima volta nel 1938 in forma anonima, è una delle opere più audaci e lucide di Ignazio Silone.

A metà tra il romanzo filosofico, il dialogo satirico e il saggio politico, il libro racconta l’arrivo a Zurigo di due americani: Mr Doppio Vu (ovvia parodia del potere americano in ascesa) e il professor Pickup, ideologo di una bizzarra dottrina totalitaria chiamata “pantautologia”. Il loro scopo? Imparare dai regimi europei, fascismo e nazismo in primis, l’arte di instaurare una dittatura perfetta.

Tuttavia, i colloqui con i rappresentanti ufficiali del potere risultano sterili, ripetitivi, grotteschi. Sarà un emigrato italiano antifascista, Tommaso il Cinico, a smascherare con disarmante chiarezza i meccanismi universali dell’autoritarismo.

Il suo “manuale” non è solo una guida per costruire una dittatura, ma un atto d’accusa verso tutte le forme di conformismo, populismo e manipolazione che si annidano anche nelle democrazie.

Silone alterna ironia tagliente a osservazioni filosofiche, costruendo una narrazione che, pur ambientata alla vigilia della Seconda guerra mondiale, parla ancora direttamente al nostro presente.

Il linguaggio è limpido, asciutto, disilluso, e il tono è quello di chi ha perso ogni fede ideologica, ma non ha rinunciato a difendere la libertà con la sola arma possibile: la parola critica.

“La scuola dei dittatori” è un libro che si legge come una provocazione, si ricorda come una diagnosi e si rilegge come un avvertimento.

Perché il potere non è mai solo quello che si impone. È anche, e soprattutto, quello che ci si abitua ad accettare.

Chi era Ignazio Silone

Nato come Secondino Tranquilli nel 1900 in Abruzzo, Ignazio Silone fu tra i fondatori del Partito Comunista Italiano, ma se ne distaccò precocemente, rifiutando la svolta stalinista.

Dopo l’arresto e la morte del fratello per mano del fascismo, Silone scelse l’esilio. Visse in Svizzera, Francia, poi ancora in Italia, sempre braccato, censurato o diffamato, sia dalla destra autoritaria che dalla sinistra ortodossa.

La sua opera più celebre, Fontamara (1933), racconta la miseria e la resistenza contadina contro il sopruso. Ma è nei libri successivi, “Pane e vino”, “Una manciata di more”, “Il seme sotto la neve”, “La volpe e le camelie”, che emerge la sua riflessione più profonda sull’individuo, la fede, l’etica, e il tradimento politico.

Ignazio Silone scriveva da uomo solo, disilluso, ma mai cinico: la sua narrativa è sempre un gesto morale, un tentativo di salvare la dignità individuale in un mondo che la nega.

Perché leggerlo oggi

“La scuola dei dittatori” è più che un romanzo: è uno specchio. Oggi che il concetto di “dittatura” si è fatto liquido, ibrido, mimetico, tra algoritmi, populismi e propaganda, il libro di Silone diventa una lettura essenziale per comprendere come nasce il consenso, come si addestra l’opinione pubblica, come si prepara il terreno al dominio.

Nella figura di Tommaso il Cinico troviamo un narratore amaro, ma lucidissimo: un intellettuale che ha visto le utopie trasformarsi in repressione, e che ha capito che non esiste dittatura senza la complicità delle masse.

Ignazio Silone non denuncia soltanto i tiranni, ma smaschera i piccoli meccanismi quotidiani con cui si accetta l’autoritarismo: il disinteresse, la semplificazione, la rinuncia al dubbio.

Ed è proprio questa analisi chirurgica, applicabile a ogni tempo, ogni Paese, ogni potere, a renderlo così contemporaneo.

Una scrittura necessaria

Leggere Silone oggi significa riaprire una finestra sulla storia del dissenso, non quello gridato o violento, ma quello silenzioso, interiore, fatto di parole scelte con cura.

Significa riscoprire la forza di una narrativa che rifiuta le consolazioni, che non ha bisogno di compiacere né di accondiscendere. La sua lingua è scarna, essenziale, spoglia di orpelli. Ma proprio per questo arriva dritta: “La scuola dei dittatori” non cerca effetti speciali, ma verità. Ed è proprio quella verità, scomoda, non accomodante, inascoltata, che fa tremare chi ha qualcosa da nascondere.

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