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Chi è la scrittrice Yasmina Reza e perché è importante leggerla

Scopri chi è Yasmina Reza, una scrittrice fondamentale del nostro tempo, e perché è importante leggere le sue opere per comprendere la sua grandezza.

Yasmina Reza non scrive storie rassicuranti. I suoi personaggi non sono mai del tutto simpatici, i suoi dialoghi graffiano, le sue trame sembrano esplodere e sgonfiarsi con lo stesso gesto. Ma proprio per questo, leggerla è indispensabile.

Nata a Parigi nel 1959, figlia di padre iraniano e madre ungherese ebrea, Yasmina Reza è autrice di romanzi, opere teatrali e sceneggiature. È conosciuta per la sua scrittura secca, acuta, piena di tensioni sotterranee e di nevrosi familiari. Conquista i lettori non con l’azione, ma con le incrinature. È l’artista delle fratture minuscole, dei sorrisi che diventano ghigni, delle domande non dette.

Il suo teatro (Il dio del massacro, Felici felici) è stato portato in scena in tutto il mondo; i romanzi (Babilonia, Serge, La vita normale) sono incursioni raffinate nella psicologia contemporanea. Ma più che raccontare storie, Yasmina Reza scava nelle relazioni, nei silenzi, nell’imbarazzo, nelle piccole cattiverie quotidiane che costruiscono la nostra identità.

Attraverso l’ironia tagliente, la disillusione borghese e i rapporti umani più sottili, l’autrice francese ha costruito un corpus letterario e teatrale che è specchio crudele, e lucidissimo, del nostro tempo.

Yasmina Reza: 5 libri da leggere assolutamente

Leggere Yasmina Reza è come sedersi a un tavolo dove tutti fingono di essere in pace, ma sotto il tavolo si calpestano i piedi. I suoi testi, che siano romanzi o pièce teatrali, non offrono conforto: offrono verità. E lo fanno con una scrittura tagliente, essenziale, elegante.

In un mondo dove siamo costantemente spinti a raccontare solo il bello, Yasmina Reza ci ricorda che anche l’ambiguità, la fatica, il non detto, fanno parte della vita. O meglio: della vita normale.

 

La vita normale

Cosa resta di un gesto incomprensibile, una volta che l’aula di tribunale si svuota e la sentenza è stata pronunciata? Per Yasmina Reza, la risposta è tutto ciò che la giustizia non riesce a cogliere: l’abisso quotidiano. La vita normale (Adelphi), raccolta di riflessioni e ritratti ispirati a processi reali seguiti in Francia, è un libro che si legge con la stessa inquietudine con cui si osserva un volto familiare sotto una luce nuova, deformante.

Reza non cerca il colpo di scena, non moralizza, non risolve. Si accosta ai casi, oscuri o mediatici, come una scrittrice che fiuta la materia viva nel dettaglio più minimo: la postura di un imputato, una frase scivolata tra i denti, il bottone sbagliato sulla giacca. La sua non è cronaca giudiziaria ma sguardo obliquo, laterale, profondamente letterario.

Nel processo alla madre che lascia la figlia in mare, in quella frase che Reza sottolinea,

«incalzata, spinta da una forza senza nome»,

si annida l’enigma centrale del libro: cosa separa davvero il “normale” dal “mostruoso”? Nulla, sembra suggerire l’autrice. La violenza, la rimozione, la follia non vivono ai margini della vita ordinaria, ma coincidono con essa, la attraversano.

Reza dà voce a fantasmi silenziosi, e insieme affonda nella propria ombra. La scrittura è affilata, trattenuta, ipnotica: ogni pagina ha il peso specifico di una confessione trattenuta a lungo. Ma più che chiarire, La vita normale smonta. Le certezze, la giustizia, la morale. È un libro che scuote nel profondo proprio perché non pretende di spiegare nulla.

Per chi ama la letteratura che entra nel buio senza torcia, per chi cerca voci capaci di osservare l’umano senza filtri, questo libro è un colpo al cuore e allo sguardo. Un memoir giudiziario senza catarsi, che ci interroga su quanto ci somigliano i nostri incubi più silenziosi.

Consigliato a chi ha amato Annie Ernaux, Emmanuel Carrère e i saggi di Janet Malcolm. Ma soprattutto a chi non ha paura di guardare nel volto della cosiddetta normalità, e trovarci qualcosa di perturbante.

 

Babilonia

In un luogo che si chiama Deuil-l’Alouette, Lutto-l’Allodola, se volessimo tradurlo alla lettera, alla periferia anonima di Parigi, una donna conduce un’esistenza ordinaria: un lavoro rispettabile, un marito, un figlio, una sorella, qualche vicino con cui scambiare frasi di circostanza. Nulla sembra incrinare la superficie regolare della sua vita, finché, in una notte di quasi primavera, qualcosa si incrina.

Per un gesto di umana vicinanza, forse per un bisogno di respirare fuori dal perimetro soffocante del quotidiano, la donna si lascia coinvolgere in una situazione ambigua, rischiosa, con un uomo che conosce appena. Di lui sa soltanto una cosa: è profondamente solo. E quella solitudine la attira, come un’eco muta della propria. Così, senza preavviso, decide di attraversare il confine, di cedere per un istante alla vertigine del lato oscuro, di concedersi una deriva nella “dimensione della tenebra”.

Yasmina Reza orchestra questa vicenda come un vaudeville nero e crudele, dove il comico e il tragico si intrecciano fino a diventare indistinguibili. Con la sua consueta maestria, dà voce a paure segrete, disincanti intimi, alla commedia feroce delle relazioni umane, soprattutto di quella zona ambigua e inquieta chiamata “coppia”.

Attraverso uno sguardo disincantato e beffardo, Reza ci mostra quanto sia facile vivere in esilio: da sé, dagli altri, dai propri desideri inconfessati. Come gli ebrei “sulle rive dei fiumi di Babilonia”, anche noi piangiamo un luogo perduto che non sappiamo più nominare: una versione di noi stessi che non siamo riusciti a diventare.

 

Il dio del massacro

Opera tradotta e rappresentata in tutto il mondo, Felici felici è una feroce critica alle relazioni umane travestita da commedia. Due coppie si incontrano per discutere civilmente di una lite tra i figli. Ma la conversazione si trasforma presto in un duello verbale, crudele, esilarante, velenoso.

È un testo che mette in scena l’ipocrisia della borghesia e il crollo della comunicazione. Tra battute fulminanti e cambi di tono improvvisi, Reza dimostra che dietro ogni scusa razionale si nasconde una guerra silenziosa.

 

Serge

Romanzo familiare ma atipico, Serge racconta la storia dei Popper, famiglia ebraica parigina disfunzionale e incapace di essere affettuosa. Dopo la morte della madre, i tre fratelli decidono di compiere un “pellegrinaggio” ad Auschwitz. Il viaggio, però, non è catartico: è tragicomico, pieno di malintesi e tensioni irrisolte.

Con l’arma dell’ironia, Reza mostra come la memoria storica, anche quella più sacra,  possa diventare un luogo svuotato, meccanico. Il titolo prende il nome dal fratello più problematico, Serge: un uomo che non riesce ad amare, ma neppure a sottrarsi al bisogno di essere amato.

Un libro amaro e dissacrante, che racconta il vuoto affettivo contemporaneo meglio di molti trattati di sociologia.

 

Felici felici

Con una scrittura tagliente e calibrata, capace di attraversare con disinvoltura registri e toni diversi, Yasmina Reza svela ciò che si cela dietro la patina delle buone maniere: la solitudine che consuma, la rabbia sotterranea, l’angoscia che pulsa sotto le conversazioni quotidiane. I suoi personaggi, mogli inquietamente assorte, mariti disorientati, amanti deluse e seduttori stanchi, giovani che scappano da tutto e anziani già in dialogo con la fine, danzano in una coreografia crudele ma lucida, che non concede illusioni. Con uno sguardo spietato eppure partecipe, Reza racconta ciò che è senza agghindarlo.

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