C’è chi ama i romanzi per fuggire, e chi sceglie i saggi per capire. Ma se pensi che il saggio sia ancora sinonimo di mattone universitario o manuale nozionistico, è il momento di aggiornare lo scaffale. Oggi i saggi si sono fatti brillanti, raccontati, talvolta autobiografici, a volte pop ma mai banali. Raccontano il mondo con la penna affilata dell’analisi e il ritmo della buona narrativa.
Dalla filosofia alla politica, all’introspezione, dalla scienza al memoir d’autore, questo è il regno della domanda sempreverde: “Che saggio mi consigli?”
Abbiamo fatto una selezione variegata di titoli capaci di stimolare il pensiero, aprire prospettive e far brillare nuove idee. Perché ogni lettura può diventare una piccola rivoluzione privata.
14 saggi, 14 libri che ti faranno dire: perché non l’ho letto prima?
Che tu sia in cerca di un saggio che ti faccia riflettere, sorridere, indignare o semplicemente imparare qualcosa di nuovo, il panorama editoriale di oggi offre una gamma sorprendente di titoli capaci di parlare a tutti i lettori.
I saggi che restano sono quelli che non si limitano a informare, ma riescono a dialogare con chi li legge: cambiano le domande, affinano lo sguardo, a volte scuotono, altre volte curano. Perché leggere un saggio è, prima di tutto, un modo per stare al mondo con più consapevolezza.
Un mondo diverso per davvero di Giuliano Boccali
Nel panorama degli studi indologici italiani, Un mondo diverso per davvero si distingue come un’opera preziosa e autorevole, in grado di coniugare rigore accademico e passione umanistica. Il volume raccoglie saggi fondamentali di Giuliano Boccali, figura di riferimento nello studio della letteratura classica indiana, offrendo al lettore occidentale una bussola per orientarsi in una tradizione millenaria tanto affascinante quanto misconosciuta.
Fin dal titolo, tratto da una celebre espressione del filosofo estetico Abhinavagupta, emerge l’intento profondo del testo: mostrare come l’esperienza estetica e letteraria, nella civiltà indiana, sia veicolo di liberazione spirituale. Non semplice evasione o divertimento, ma uno strumento per spezzare i legami con il mondo illusorio (maya) e avvicinarsi alla verità ultima. In questo senso, la poesia e il dramma sanscriti non sono solo forme artistiche, ma riti cognitivi, atti di conoscenza e trasformazione.
Il lettore si trova così immerso in un mondo che si muove secondo coordinate diverse da quelle occidentali: la teoria del rasa, che lega il piacere estetico all’emozione trascesa; il ruolo del poeta come sapiente e veggente; la centralità del mito e della metafora; la riflessione incessante sul rapporto tra parola e realtà. I saggi di Boccali attraversano queste tematiche con chiarezza, profondità e uno stile che non rinuncia mai alla densità concettuale, ma riesce comunque ad accogliere anche chi si avvicina per la prima volta a questi contenuti.
Tra i testi analizzati emergono classici immortali come il Ramayana, il Mahabharata, i poemi di Kalidasa e la lirica dell’epoca gupta, restituendo un’idea dinamica e pluralistica della letteratura sanscrita, lontana da stereotipi orientalisti. Ma Boccali spinge anche oltre, indagando il pensiero estetico che ha fondato questa produzione artistica, rendendo esplicito il legame tra parola, emozione e liberazione. Non c’è dualismo tra spirito e forma, ma un’esperienza integrata, capace di parlare all’umano di ogni tempo.
Questo libro è dunque uno scrigno di sapere, ma anche una porta socchiusa su una “diversità” che interroga profondamente la nostra idea di letteratura, di bellezza e di senso. Per chi studia indologia, è una tappa obbligata; per chi ama la poesia e la filosofia, è un invito ad allargare lo sguardo.
Raccontare libri. L’arte dell’intervista letteraria di Valentina Berengo
Cosa significa davvero “presentare un libro”? Quali strumenti servono per trasformare un incontro tra autore e pubblico in un momento autentico, stimolante e indimenticabile? Con Raccontare libri. L’arte dell’intervista letteraria, Valentina Berengo, giornalista, conduttrice e vera protagonista della scena culturale italiana, firma un manuale agile ma denso, capace di restituire tutta la complessità (e la bellezza) di un mestiere spesso sottovalutato.
Berengo parte da un’osservazione tanto semplice quanto illuminante: una buona presentazione non si improvvisa, né si limita a una lettura superficiale del testo o a una sequenza di domande stereotipate. Al contrario, l’intervistatore ideale è un lettore attento, un mediatore sensibile, un interprete consapevole. È chi crea lo spazio giusto perché l’autore si racconti e lo faccia davvero. E per riuscirci, servono metodo, tecnica, empatia.
Il libro si struttura come una guida pratica e riflessiva allo stesso tempo, con sezioni dedicate all’analisi testuale, alla preparazione delle domande, alla gestione della voce e della scena, fino alla gestione dei momenti imprevisti o delle presentazioni difficili. Ma non si limita alla teoria: Berengo arricchisce ogni passaggio con esempi concreti, consigli maturati sul campo, aneddoti che offrono uno spaccato sincero (e a tratti ironico) del panorama editoriale italiano. L’autrice ha infatti condotto oltre 800 interviste in più di dieci anni, e ogni pagina di questo libro ne riflette l’esperienza viva.
Il testo è rivolto a chi lavora con i libri, giornalisti, presentatori, editori, librai, festivalieri, ma può essere letto con interesse anche da chi ama la letteratura e vuole comprendere meglio come si costruisce il dialogo pubblico attorno ai libri. Ciò che emerge, al di là delle indicazioni tecniche, è una dichiarazione d’amore per la parola condivisa, per l’incontro tra lettore e autore, per il tempo della conversazione lenta e significativa.
Berengo non idealizza la figura dell’intervistatore, ma la considera un artigiano del racconto altrui, un tramite che deve essere preparato ma anche umile, curioso, flessibile. E soprattutto consapevole del proprio ruolo: non protagonista, ma alleato della narrazione.
In un’epoca in cui i talk letterari rischiano spesso di diventare formule vuote, Raccontare libri è un invito a riscoprirne il valore autentico. È un libro che mancava e che, con precisione e passione, definisce un’arte silenziosa ma decisiva: quella di saper far parlare i libri, e chi li scrive.
In un’epoca in cui la memoria collettiva viene spesso piegata a esigenze celebrative o negazioniste, il volume Resistenza. La guerra partigiana in Italia (1943-1945) si impone come un punto fermo nel panorama storiografico italiano contemporaneo. A cura di due autorevoli studiosi, Filippo Focardi e Santo Peli, il libro raccoglie i contributi di sedici storici e storiche che affrontano la Resistenza senza veli né retorica, ridando corpo e sangue a una stagione fondamentale, e ancora controversa, della nostra storia.
La tesi centrale è chiara: senza la guerra partigiana non ci sarebbe stata la cesura più significativa del Novecento italiano. Eppure, quella lotta armata, cruda, divisiva eppure necessaria, è stata col tempo addolcita, trasformata in una narrazione più accomodante, più adatta al consumo pubblico. La Resistenza come “secondo Risorgimento”, eroica ma priva di contraddizioni, inclusiva fino all’edulcorazione. Il rischio? Perdere di vista la realtà storica: il sangue, il rischio, le scelte laceranti.
Il pregio di questo volume è quello di evitare tanto l’agiografia quanto il revisionismo. I contributi presenti non indulgono in celebrazioni mitiche, ma neanche scivolano nel cinismo o nella svalutazione. Al contrario, mettono a fuoco la Resistenza per ciò che è stata davvero: un’esperienza di guerra, con i suoi errori, i suoi ideali, le sue tensioni, ma anche le sue ombre.
Il libro si interroga su cosa significhi oggi raccontare la Resistenza e su come farlo in modo onesto, senza tradirne la complessità. Lo fa partendo da una solida base storiografica, arricchita da approcci multidisciplinari, nuove fonti e sensibilità recenti: dal ruolo delle donne e dei giovani all’analisi della violenza, dalle dinamiche locali al confronto con l’eredità del fascismo.
Un’opera collettiva che ha il grande merito di recuperare la Resistenza nella sua concretezza, mostrandone limiti e potenzialità, e rifiutando tanto le semplificazioni quanto le demonizzazioni. Un lavoro che non solo “fa i conti con il partigianato così com’era”, come auspicava Nuto Revelli, ma spinge il lettore a interrogarsi sul valore della scelta, della libertà e della memoria.
In definitiva, Resistenza è un libro rigoroso, coraggioso e illuminante, ideale per chi voglia davvero comprendere, al di là delle semplificazioni, cosa fu la lotta partigiana e perché parlarne oggi è ancora un atto politico e civile.
Ernst Jünger di Gabriele Guerra
Figura tanto celebrata quanto controversa, Ernst Jünger è uno degli intellettuali più sfuggenti e complessi del Novecento europeo. In Ernst Jünger. Una biografia letteraria e politica, Gabriele Guerra firma un saggio rigoroso e necessario, che getta luce sulle molteplici incarnazioni di un autore che ha attraversato le stagioni storiche più drammatiche della Germania del XX secolo, dal Reich guglielmino alla Repubblica Federale, passando per Weimar, il nazionalsocialismo, le due guerre mondiali e il secondo dopoguerra.
Più che una semplice cronaca biografica, questo studio è un’analisi stratificata del pensiero e dello stile jüngeriano, in cui il nodo tra letteratura e politica viene osservato con attenzione filologica e profondità filosofica. Guerra mette in rilievo come Jünger, pur rifiutando etichette ideologiche nette, abbia attraversato temi e fasi segnate da tensioni fortissime tra “modernità e antimodernità”, incarnando un’ipermodernità critica, capace di metabolizzare tanto l’ordine quanto il caos.
Jünger fu soldato decorato della Prima guerra mondiale, celebrato per Nelle tempeste d’acciaio; intellettuale osservatore dei disastri del secolo e, al tempo stesso, affascinato dal mito dell’eroe, della tecnica, della distruzione come forma di rigenerazione. Ma fu anche l’autore di una scrittura metafisica, votata a scandagliare gli abissi del reale, l’irruzione del sacro, la trasformazione dell’individuo nella società totalitaria.
Uno dei meriti principali del volume è quello di cogliere la coerenza interna dell’opera jüngeriana, pur nella sua continua metamorfosi. Guerra mostra come l’autore tedesco abbia tentato, lungo tutta la sua esistenza, di saldare visione estetica e visione politica, e di restituire, attraverso la letteratura, un’immagine epica e filosofica di sé, una sorta di nuovo Goethe, secondo il modello dell’intellettuale totale.
Il libro risulta tanto utile per chi già conosce Jünger quanto per chi vi si avvicina per la prima volta, perché contestualizza le opere nei rispettivi momenti storici, ne analizza le derive ideologiche senza indulgenza, ma ne riconosce anche il valore letterario e la portata simbolica.
Un saggio acuto, solido, capace di restituire il fascino inquieto e la traiettoria contraddittoria di uno degli scrittori più ambigui e affascinanti del Novecento tedesco. Un invito a leggere Jünger non come monolite ideologico, ma come laboratorio vivente del pensiero europeo.
Ritratti di donne 3 di Sara Rattaro
Cosa accade quando la scrittura si mette al servizio della memoria e del riscatto? Accade Ritratti di donne 3, la terza tappa di un progetto editoriale curato da Sara Rattaro, che riunisce ventiquattro autrici per raccontare altrettante donne che hanno osato sfidare il proprio tempo, attraversando la Storia con la forza delle idee, delle scelte, del talento.
Il libro si presenta come una mappa emotiva e narrativa che attraversa secoli, continenti, e soprattutto ambiti troppo a lungo considerati appannaggio esclusivo del mondo maschile: la scienza, la politica, la cultura, l’arte, la spiritualità, l’educazione. Da Laura Bassi, prima donna al mondo a ottenere una cattedra universitaria, a Mary Varale, pioniera dell’alpinismo, ogni ritratto restituisce la complessità e la vitalità di esistenze che non si sono piegate alla rassegnazione, ma hanno scelto di affermarsi nonostante tutto.
A rendere potente questo volume è la coralità: ogni racconto è scritto da una penna diversa, con uno stile unico, ma tutte le voci si accordano in un canto armonico e necessario, che celebra la resistenza femminile come atto quotidiano, concreto, e al tempo stesso mitico. Non si tratta di biografie aride o pedanti: ogni donna è restituita attraverso una lente narrativa viva, empatica, che oscilla tra affondo storico, intimità psicologica e tensione letteraria.
C’è spazio per l’ammirazione e per la denuncia, per il fascino e per la rabbia, per l’ispirazione e per la consapevolezza. Le storie raccontate ci ricordano quante donne siano state cancellate, marginalizzate, ignorate, eppure quanto ogni loro gesto abbia contribuito a rompere una diga di silenzio e a creare nuove possibilità per le generazioni a venire.
Il pregio dell’antologia è anche quello di non rifugiarsi nella retorica, ma di restare ancorata a ciò che di reale e faticoso comporta il coraggio: la fatica, la solitudine, la perdita, il rischio. Ogni racconto è una piccola resistenza, ogni pagina è un esempio di “memoria attiva” che ci chiama in causa e ci chiede: e tu, che traccia vuoi lasciare?
Un libro da leggere con lentezza e gratitudine, una galleria di volti e voci che restituiscono dignità e luce a figure troppo spesso oscurate. Un’opera collettiva che è insieme omaggio, atto politico e invito all’azione.
L’antropologia del mondo antico di Maurizio Bettini
In un panorama dominato da letture storiche, filologiche e filosofiche del mondo greco-romano, L’antropologia del mondo antico, a cura di Maurizio Bettini, si impone come un’opera di rottura e, insieme, di profondissima sintonia con la materia trattata. Non è un semplice saggio di storia della cultura classica, ma un vero e proprio viaggio nei meccanismi invisibili che regolavano la visione del mondo degli antichi. Un libro che invita a disimparare la rigidità del nostro sguardo per imparare, finalmente, a guardare con gli occhi di un Greco o di un Romano.
Questo volume collettivo, articolato tra contributi teorici e casi di studio, si distingue per un approccio tanto affilato quanto umile: non pretende di dire tutta la verità sull’antichità, ma si interroga con intelligenza e delicatezza su ciò che spesso sfugge. Il cuore del metodo proposto è chiaro: non partire dai grandi eventi, ma dalle piccole pratiche, dagli oggetti trascurati, dalle parole comuni, dalle storie apparentemente minori.
Tra i temi affrontati: la costruzione dei generi e delle identità di genere nell’antichità, il rapporto tra umani e animali, il commercio tra popoli che non condividevano lingua o alfabetizzazione, il peso normativo delle leggi e dei rituali nel contesto romano. Ogni domanda si traduce in una nuova chiave di lettura dei testi e dei documenti classici, dai più noti ai più oscuri, riletti alla luce dell’antropologia culturale.
L’opera non si limita a descrivere una disciplina, ma è essa stessa un atto performativo di antropologia applicata: riflette sulle categorie dell’alterità, sull’uso del mito come strumento culturale, sull’importanza dei gesti, degli spazi, dei silenzi, delle norme non scritte. È un libro che costringe, con sottile gentilezza, a rimettere in discussione le nostre certezze moderne, proiettando sull’antico un’ottica problematizzante, capace di far parlare anche ciò che non era mai stato interrogato.
Uno dei grandi meriti del volume è quello di mostrare come l’antropologia del mondo antico non sia una disciplina ancillare o una curiosità da specialisti, ma uno strumento critico per comprendere il funzionamento delle culture in senso ampio, anche nella contemporaneità. Comprendere come gli antichi costruivano il senso del corpo, del tempo, della legge, della verità, non serve solo a studiare il passato: serve, soprattutto, a vedere meglio il presente.
L’antropologia del mondo antico è un’opera fondamentale per chi vuole andare oltre la superficie dei classici, per chi ama la cultura greca e romana ma vuole comprenderla da dentro, attraverso lo sguardo degli antichi stessi. Una lettura che è insieme raffinata, accessibile, illuminante. Non è solo un libro da leggere, ma da usare. E da rileggere.
Il libri del Beat di Maurizio Scudiero
La Beat Generation non è mai stata solo un movimento letterario. È stata una rivoluzione estetica, una visione alternativa del mondo, una risposta poetica e ribelle all’omologazione culturale del secondo Novecento. Ma raramente questa sua anima visiva, quasi “tattile”, è stata raccontata con la stessa passione e rigore che troviamo in I libri del Beat, un’opera unica nel suo genere firmata da Maurizio Scudiero.
Più che un semplice saggio, questo volume è un viaggio sensoriale nella materia viva dei libri della Beat Poetry, nella loro fisicità, nelle copertine artigianali, nei materiali poveri ma vibranti, nelle scelte grafiche audaci che accompagnavano la rivoluzione delle parole. Scudiero ci guida con l’occhio dello storico dell’arte e la dedizione del collezionista, ricostruendo con minuzia e slancio biografico la genealogia visiva dei testi beat.
Il libro non si limita a ricordare i grandi nomi, da Allen Ginsberg a William Burroughs, da Gregory Corso a Ferlinghetti, ma li fa rivivere attraverso le prime edizioni, le riviste introvabili, gli impaginati visionari e le copertine che sono già manifesti politici e poetici. È una galleria straordinaria, quasi una Wunderkammer cartacea della controcultura americana, dove ogni immagine è un frammento di storia e ogni libro è testimone della vitalità del movimento.
Nella lunga premessa, l’autore racconta il suo colpo di fulmine avvenuto nel 1981 alla libreria City Lights di San Francisco, il tempio del Beat fondato da Ferlinghetti. Da lì parte la sua ricerca: non teorica, ma affettiva, diretta, sensoriale. Una ricerca che lo ha portato a collezionare volumi rari, a incontrare figure chiave del movimento, a toccare con mano il sogno editoriale dei beatnik. Scudiero si fa così mediatore tra il lettore contemporaneo e l’anima concreta della Beat Generation, offrendo un’esperienza immersiva che unisce letteratura, grafica, archivistica e passione.
L’elemento più potente del libro è proprio la centralità dell’oggetto libro, inteso non solo come contenitore di parole, ma come gesto poetico integrale. Ogni volume della Beat Poetry è, nelle intenzioni dell’autore, un’opera totale: un atto estetico in cui la scrittura, il layout, la scelta del formato, la carta, l’inchiostro, diventano espressione coerente di un pensiero radicale. E Scudiero lo dimostra con una selezione visiva che lascia senza fiato.
Il libro perfetto per riscoprire la Beat Generation da una prospettiva inedita e visiva, spesso trascurata, per comprendere quanto la forma del libro sia parte integrante del suo messaggio, per appassionarsi alla storia editoriale e grafica di un movimento che ha cambiato il modo di scrivere e di pensare, per lasciarsi ispirare da un collezionista che è, in fondo, un poeta dell’archivio.
I libri del Beat è un’opera fuori dagli schemi che non si rivolge solo agli appassionati di Ginsberg e compagni, ma a chiunque ami i libri nella loro dimensione materiale e culturale. Un invito a riscoprire la bellezza della carta stampata come veicolo di rivoluzione. Un omaggio visivo, e insieme emotivo, a una generazione che ha fatto dell’inquietudine un’arte.
Con Troni e poteri, Dan Jones, già noto divulgatore e storico britannico, firma un’opera che ha l’ambizione, e la stoffa, di riscrivere la narrazione del Medioevo per il pubblico contemporaneo. Non si tratta di un semplice compendio cronologico, ma di un viaggio poderoso, coinvolgente e multidimensionale attraverso mille anni di storia, dal crollo dell’Impero romano d’Occidente fino alla caduta di Costantinopoli. Un arco temporale che Jones esplora non solo attraverso eventi e personaggi, ma soprattutto attraverso forze, strutture e rivoluzioni culturali che hanno forgiato l’Occidente.
Il grande merito di questo volume è quello di demolire la visione stereotipata di un “Medioevo oscuro”, sostituendola con una prospettiva complessa e dinamica. L’autore riesce a intrecciare abilmente il racconto dei regni e degli imperi, da Carlo Magno a Saladino, da l’Inghilterra dei Plantageneti alla Reconquista spagnola, con la storia dei popoli, delle trasformazioni climatiche, delle pandemie e delle migrazioni. Questo approccio sistemico restituisce al lettore l’immagine di un’epoca che fu tutt’altro che immobile, dove innovazione e crisi si alternarono con ritmo travolgente.
Tra le pagine del libro scorrono le tappe fondamentali della costruzione dell’Europa moderna: la nascita degli stati nazionali, l’evoluzione delle istituzioni religiose e civili, la codificazione delle leggi, la crescita dell’identità culturale e linguistica dei popoli. E ancora, le Crociate, l’espansione dell’Islam, il ruolo delle città e delle università, il fiorire dell’arte gotica e la rivoluzione della stampa. Jones non si limita ai re e ai papi: dà spazio anche ai monaci, alle donne, ai mercanti, ai pensatori, agli scienziati, alle masse che hanno fatto la storia da dentro.
Lo stile narrativo è fluido, avvincente e immersivo, come nella migliore tradizione della divulgazione anglosassone. L’autore dosa abilmente gli episodi noti con quelli meno esplorati, accompagnando il lettore in un percorso che non è mai scontato. Il tono è epico ma sorvegliato, capace di far rivivere castelli e corti, deserti e monasteri, mari e capitali perdute. Chi cerca una storia del Medioevo che sia allo stesso tempo rigorosa e pop, troverà qui una lettura ideale.
Il libro è per tutti colo che vogliono vedere il Medioevo con occhi nuovi, senza cadere nei luoghi comuni dell’“età buia”. Per comprendere come la modernità affondi le sue radici nei mille anni tra il V e il XV secolo.
Per appassionarsi a una narrazione storica brillante e accessibile, che unisce erudizione e ritmo narrativo.
Per riflettere su come guerre, crisi ecologiche, pandemie e migrazioni non siano solo temi del presente, ma trame ricorrenti nella storia umana.
Troni e poteri non è solo un libro di storia: è una lezione di sguardo lungo. Dan Jones ci ricorda che il Medioevo non è stato un tempo sospeso, ma un laboratorio della contemporaneità, dove si è forgiata l’idea stessa di Occidente. Con rigore accademico e verve narrativa, l’autore ci regala una storia totale, appassionante e politicamente lucida. Da leggere per scardinare certezze e rimettere in movimento la storia.
In un mondo editoriale saturo di ricettari ripetitivi e manuali tecnici, Flavorama di Arielle Johnson arriva come un’esplosione di colore, ironia e sapere: un libro che non insegna solo a cucinare, ma a pensare il sapore. Scienziata alimentare, consulente per ristoranti stellati e grande divulgatrice, Johnson ci conduce in un viaggio brillante attraverso le molecole, le emozioni e le alchimie che danno vita al gusto.
Il punto di partenza è chiaro: il sapore non è solo una questione di papille gustative, ma un fenomeno complesso e multisensoriale, dove chimica e creatività danzano insieme. Attraverso capitoli vivaci, Johnson esplora le leggi fondamentali che regolano l’esperienza del sapore, dalla texture alla temperatura, dalla fermentazione all’umami, fornendo strumenti pratici e concettuali per chiunque voglia cucinare con più consapevolezza e fantasia.
Il libro colpisce subito per il tono irriverente, intelligente e accessibile, con un linguaggio che riesce a tradurre concetti scientifici avanzati in intuizioni immediate. Johnson non è mai pedante, e non semplifica mai troppo. Porta in cucina i grandi temi della scienza alimentare senza snaturarne il rigore, ma rendendoli vivi, utili e soprattutto appetitosi. In questo senso, Flavorama è una guida tanto per lo chef ambizioso quanto per il curioso che vuole semplicemente capire perché quell’insalata è “piatta” o come dare più grinta alla cacio e pepe.
Le 99 ricette proposte non sono meri esempi, ma veri e propri laboratori del gusto. Troviamo fermentazioni non convenzionali, come il miso ai semi di zucca, ma anche intuizioni sorprendenti, come l’uso di un algoritmo del Seicento per bilanciare l’acidità nei condimenti. C’è un’intera sezione sulle salse alle erbe, una sulla gestione del “funk” (i sentori forti e complessi dati da muffe, fermentazioni, invecchiamenti), e molti suggerimenti per amplificare l’umami anche nei piatti più tradizionali. Il tutto con una scrittura che diverte e ispira. Un libro per imparare come nasce il sapore, e come possiamo manipolarlo consapevolmente. Per chi ama cucinare, ma vuole uscire dagli schemi, rompere le regole e inventarne di nuove. Per scoprire nuovi ingredienti, tecniche e approcci, anche se non si ha una cucina professionale. Perché ogni pagina mescola chimica e poesia, come solo una vera appassionata può fare.
Flavorama è un libro cult in potenza. Mescola rigore scientifico, passione per la cucina e una scrittura brillante in un unico, esplosivo volume. Johnson riesce dove molti falliscono: rendere la cucina un atto di consapevolezza sensoriale, e non solo di tecnica. È un manuale per chi sogna di capire come funzionano davvero i sapori, per chi vuole costruirli, romperli e ricomporli, per chi cerca un libro che profuma di futuro ma anche di pentole sul fuoco.
Un libro da leggere, da usare, da sporcare. E da tenere vicino, tra il sale e l’olio.
Donne che creano disordine di Alessandra Celati
Nel Cinquecento, in piena età della Controriforma, bastava poco per essere considerate pericolose: un’idea troppo personale su Dio, un rifiuto dei sacramenti, una parola fuori posto sul clero. Ma se a farlo era una donna, magari povera, illetterata e indipendente, allora il sospetto si trasformava in minaccia, e il disordine diventava colpa. È in questo contesto che si inserisce l’opera di Alessandra Celati, Donne che creano disordine, un saggio folgorante che, attraverso una rigorosa indagine d’archivio, fa emergere le voci sommerse di un’eresia al femminile, colta nel suo farsi quotidiano e concreto.
Al centro del racconto c’è Caterina Colbertalda, donna veneziana di umili origini, coinvolta per oltre vent’anni nelle maglie del dissenso religioso. La sua storia, ricostruita con pazienza filologica e sensibilità narrativa, non è eccezionale nel senso tradizionale, ma è proprio per questo emblematica. Caterina non è una “grande” eretica, non è una pensatrice sistematica, non fonda un movimento. Eppure, la sua fede, la sua ostinazione, le sue scelte la pongono al cuore di una rete clandestina e instabile, fatta di incontri, fughe, testi proibiti, denunce e solidarietà.
Attraverso la figura di Caterina e di altre donne simili, Celati compone un affresco ricchissimo della dissidenza religiosa femminile nella penisola italiana, sfuggendo agli stereotipi e offrendo un’indagine stratificata. L’eresia qui non è solo devianza teologica, ma spazio di libertà, luogo di creazione e resistenza, atto di autoaffermazione in un mondo che chiedeva silenzio e obbedienza.
Lo stile della narrazione è tutt’altro che accademico: Celati scrive con precisione e passione, riuscendo a tenere insieme il rigore della ricerca con un ritmo narrativo avvincente. Le vite che emergono da queste pagine non sono mai ridotte a categorie astratte o note a piè di pagina: sono corpi, gesti, parole, rischi, emozioni, vissute da donne vere in un tempo spietato. E se i documenti parlano, lo fanno perché l’autrice sa farli vibrare, sa leggere nelle lacune, nei silenzi e nelle contraddizioni. Un libro da leggere per fa parlare le donne dimenticate dalla storia attraverso una lente rigorosa e insieme partecipe. Perché illumina una pagina spesso trascurata della Riforma italiana, quella vissuta dal basso e al femminile. Perché mostra quanto le scelte spirituali siano anche scelte di vita e di identità. Perché è un libro che interroga il presente: cosa significa oggi “creare disordine”? E per chi?
Donne che creano disordine è un saggio necessario. Un libro che riesce a fare ciò che ogni buona opera di storia dovrebbe tentare: ridare voce e complessità a chi è stato cancellato, ma anche offrire strumenti per leggere meglio il nostro tempo. Perché, come scriveva Michel de Certeau, la storia è fatta anche di ciò che la storia ufficiale rimuove. E Alessandra Celati, con finezza e coraggio, ci restituisce quelle schegge luminose di resistenza che furono le donne eretiche del Cinquecento.
Vivere con gli uomini di Manon Garcia
Manon Garcia non scrive un libro sul femminismo. Scrive un libro necessario, duro, e a tratti insopportabile. Perché Vivere con gli uomini è un’opera che non si limita a riflettere: interroga, lacera, espone. A partire da uno dei casi giudiziari più scioccanti avvenuti in Francia negli ultimi anni – il processo contro l’uomo accusato, insieme ad altri cinquanta, di aver violentato più volte la moglie Gisèle Pelicot con la sua stessa complicità – Garcia costruisce un testo filosofico, intimo e politico, che si fa atto di responsabilità, dolore e pensiero critico.
Il punto di partenza è biografico: Garcia assiste al processo, entra nell’aula, guarda i volti degli imputati, ascolta le loro parole. Ma quello che ne ricava non è solo indignazione: è una domanda bruciante, ossessiva, che attraversa tutto il libro come un monito: è possibile vivere con gli uomini? Non lavorare con loro, non dialogare con loro, non amare uno di loro. Ma proprio “vivere con”, nella dimensione dell’intimità, del corpo, della fiducia. È da qui che parte il suo scavo.
La forma di Vivere con gli uomini è ibrida: memoir filosofico, diario d’udienza, trattato etico, saggio femminista. Garcia non cerca di spiegare il male, non pretende di offrire risposte semplici. Al contrario, esplora la banalità del male, nei suoi aspetti più disturbanti: uomini comuni, padri, mariti, colleghi, che diventano carnefici senza sembrare mostri. E lo fa evitando ogni facile moralismo, ma scavando nei concetti di consenso, sottomissione, dominazione, mostrando quanto siano sfocati i confini quando si parla di sesso e potere.
Non mancano, nella riflessione, i riferimenti a Simone de Beauvoir, ad Hannah Arendt, a Foucault e Butler, ma il tono è sempre personale, affilato, politico. Garcia scrive con lucidità e coraggio, mettendo in discussione non solo la cultura patriarcale, ma anche l’impalcatura fragile su cui si regge l’illusione del vivere insieme. L’analisi del processo si fa così specchio della società, delle sue ipocrisie e delle sue rimozioni.
Il cuore di Vivere con gli uomini è proprio la contraddizione: quella tra l’amore e la violenza, tra l’attrazione e il dominio, tra l’intimità e il pericolo. Garcia non idealizza nessuna delle parti in gioco. Non costruisce una narrazione edificante. Anzi, mette a nudo l’impossibilità di trovare conforto nella filosofia, nella legge, nella razionalità, di fronte a ciò che sfugge, che scandalizza, che spezza.
Il caso Pelicot è solo il detonatore di un discorso più ampio: la sessualità maschile come terreno minato, come luogo in cui si incrociano desiderio e potere, vergogna e dominio. E la sottomissione femminile come strategia, sopravvivenza, educazione alla rinuncia. Un testo che non cerca consolazioni, ma solo onestà intellettuale. Perché denuncia senza retorica una realtà strutturale di violenza. Perché interroga la filosofia dall’interno, rompendo la distanza tra pensiero e vissuto. Perché ci riguarda tutte e tutti, nella nostra quotidianità, nei rapporti affettivi, nella fragilità delle relazioni.
Vivere con gli uomini è uno di quei libri che non si dimenticano. Perché non ci permettono di tornare indietro. Dopo averlo letto, si è costretti a pensare di più, a sentire di più, a mettere in discussione tutto ciò che si dava per scontato. È un’opera che non consola, ma chiarisce. Che non giudica, ma espone. E che non propone soluzioni, ma apre uno spazio necessario per una riflessione etica sul vivere insieme, oggi, tra uomini e donne, nella ferita mai chiusa della violenza sistemica.
Le radici profonde di Valerio Renzi
Con precisione analitica e scrittura lucida, Valerio Renzi affronta in Le radici profonde una delle questioni più urgenti e meno indagate del nostro presente: quali sono i riferimenti culturali della destra italiana contemporanea? E, soprattutto, da dove vengono?
Il libro non si limita a denunciare lo slittamento verso destra del dibattito pubblico, ma va a scavare nella genealogia simbolica e ideologica della destra postfascista, mettendo in luce un dato inquietante: l’egemonia culturale della destra non nasce oggi, né è solo un riflesso del potere politico. È piuttosto il risultato di una lunga e tenace costruzione culturale, portata avanti anche quando la destra era ai margini del potere istituzionale.
Renzi mostra come i miti del passato, il culto dell’ordine, la nostalgia per la patria e la famiglia tradizionale siano stati tenuti in vita da una fitta rete di case editrici, circoli culturali, riviste e movimenti giovanili, che oggi forniscono linfa alla narrazione dominante. Non si tratta di citazioni casuali o folcloristiche: la destra italiana di oggi attinge apertamente e consapevolmente a una tradizione che va da Julius Evola a Pasolini, da Mishima a Tolkien, rielaborando un immaginario dove l’estetica reazionaria si fonde con il populismo digitale.
In questa miscela esplosiva, Renzi riconosce una strategia precisa: la costruzione di un pensiero “alternativo”, anti-egualitario e anti-intellettuale, ma perfettamente in grado di agire sul piano simbolico. Perché la destra non ha bisogno solo di voti: ha bisogno di conquistare il senso comune, di riscrivere i significati, di appropriarsi del linguaggio. E spesso ci riesce.
Uno dei capitoli più forti del libro riguarda il modo in cui la destra racconta il corpo, la virilità, il ruolo delle donne, il rapporto con la religione. Temi che non appaiono sempre nei discorsi ufficiali, ma che emergono nei testi, nelle narrazioni e nei miti veicolati da film, social network, fumetti, canzoni. E che danno forma a una visione del mondo fortemente gerarchica, nostalgica e identitaria.
Renzi è abile nel cogliere le sfumature, evitando semplificazioni. Non demonizza la cultura di destra, ma la prende sul serio. E proprio per questo ne svela la potenza. Perché mentre la sinistra si disgrega tra individualismi e accademismi, la destra ha saputo fare sistema, costruendo una controcultura capace di attrarre, emozionare, legare le persone.
Un libro che ci aiuta a decodificare le narrazioni che alimentano la destra di oggi. Mostra la forza culturale del pensiero reazionario in Italia. Ci costringe a riflettere su quanto sia fragile e arretrata oggi la contro-narrazione progressista. Fa nomi e cognomi a un mondo spesso ignorato o banalizzato.
Le radici profonde è un libro necessario per chi vuole capire la sfida culturale del nostro tempo. Valerio Renzi ci guida in un viaggio attraverso i simboli, i libri, i miti, le estetiche e le fratture che animano la destra italiana. Un saggio che è anche un invito: non basta denunciare, bisogna rispondere sul piano delle idee, della cultura, dell’immaginario. Perché è lì che si gioca la partita più profonda della politica.
Asia criminale di Emanuele Giordana e Massimo Morello
Ci sono luoghi in cui la geografia non è solo paesaggio, ma complicità. Terre dove i confini sfumano nel traffico illegale, nei paradisi criminali, nei conflitti travestiti da rivoluzione o da business. In Asia criminale, Emanuele Giordana e Massimo Morello ci portano al centro esatto di una mappa che non troverete sulle guide turistiche: il Nuovo Triangolo d’Oro del Sudest asiatico, un intreccio di interessi, violenze e mercati clandestini che si estende da Singapore al Myanmar, dal Laos al Vietnam, dalle coste del Borneo fino alle trame digitali del crimine globale.
Scritto da due reporter di razza, Asia criminale è molto più di un’inchiesta: è un attraversamento fisico ed emotivo di territori perduti, di economie fondate sulla frode e sulla schiavitù, di intere città trasformate in prigioni a cielo aperto. Ma soprattutto, è un viaggio dentro la zona grigia in cui politica, criminalità e globalizzazione si toccano.
Il libro racconta un mondo dove l’illegalità non è solo tollerata: è sistemica, strutturale, istituzionalizzata. Dove le mafie digitali gestiscono eserciti di schiavi informatici rinchiusi nelle Scam City, e dove i signori della guerra trattano armi e esseri umani come pacchetti logistici. Ogni zona è una “special criminal zone”, e ogni frontiera è un’opportunità per frodare, riciclare, corrompere.
Giordana e Morello mettono in luce una criminalità proteiforme: non più solo trafficanti di eroina e oppio (che pur restano), ma un’economia globale parallela, fatta di pietre preziose, foreste depredate, giochi d’azzardo online e frodi algoritmiche. Il racconto si fa più disturbante quando tocca il cuore umano della questione: gli uomini e le donne ridotti a merce, schiavizzati nei centri tecnologici o inghiottiti dalle rotte migratorie che dalla costa birmana al Mare Cinese Meridionale diventano autentiche trappole.
Ogni pagina di Asia criminale ci ricorda che la globalizzazione ha anche un volto oscuro, e che spesso le sue arterie più efficienti non sono quelle tracciate sulle mappe ufficiali, ma quelle che scorrono sotto la superficie del lecito.
Un reportage potente, che unisce rigore giornalistico e coinvolgimento narrativo.Racconta la nuova criminalità asiatica, dove la frontiera non è più tra legalità e illegalità, ma tra visibile e invisibile. Ci mostra come il Sudest asiatico sia diventato una chiave geopolitica essenziale per capire le nuove forme del potere criminale. Ci interroga: quanta parte di quel mondo, apparentemente remoto, ci riguarda? Più di quanto pensiamo.
Asia criminale è una mappa rovesciata, una guida infernale per comprendere i meccanismi di un capitalismo criminale in espansione, le sue rotte, i suoi mercati, i suoi volti. È un libro che disturba, informa e accende interrogativi: proprio ciò che dovrebbe fare il buon giornalismo narrativo. Giordana e Morello dimostrano che si può ancora scrivere di realtà senza filtri, e che per raccontare il mondo serve andare là dove pochi hanno il coraggio di spingersi.
Un braccio piegato, una mano infilata nel panciotto, una linguaccia. Sono piccoli gesti, spesso dati per scontati, ma in realtà carichi di significato. In In posa, lo studioso e artista Desmond Morris ci accompagna in un viaggio sorprendente nella semiotica del corpo nell’arte, trasformando ogni gesto rappresentato nei dipinti in una porta aperta sulla cultura del tempo. Perché la posa non è mai solo una questione estetica: è una dichiarazione d’intenti, un codice sociale, una testimonianza culturale.
Morris, noto soprattutto per i suoi studi etologici e antropologici, applica qui il suo sguardo scientifico a un mondo solo apparentemente distante: quello dell’arte figurativa. Il risultato è un testo che riesce a coniugare erudizione e curiosità, offrendo al lettore nuove chiavi di lettura per interpretare non solo i ritratti rinascimentali o le statue classiche, ma anche le immagini del nostro presente.
L’autore ci guida attraverso i secoli, dalle sculture greco-romane ai ritratti monarchici, dalle icone religiose alle copertine delle riviste pop. Ogni postura, ogni inclinazione del busto o movimento delle mani viene analizzato non come un dettaglio ornamentale, ma come un messaggio: conscio o inconscio, costruito o ereditato da riti e convenzioni ormai scomparse.
Il libro risponde a domande che ci siamo posti distrattamente davanti a un dipinto, ma che raramente abbiamo saputo decifrare. Perché Napoleone è ritratto con la mano nel panciotto? Perché in tante rappresentazioni regali un piede guarda dritto verso di noi? E ancora: che significato avevano i gesti apotropaici nel Medioevo? Quando e come l’espressione del volto ha sostituito la simbologia delle mani nella comunicazione non verbale?
Le risposte che Morris propone sono affascinanti e documentate, ma mai pedanti. Ogni capitolo scorre come un piccolo saggio autonomo, ricco di immagini, collegamenti storici e intuizioni. C’è qualcosa di profondamente liberatorio nel modo in cui l’autore destruttura il linguaggio artistico: non più imperscrutabile bellezza, ma testimonianza viva e dinamica dell’umanità e delle sue ossessioni.
Un libro illuminante: dopo averlo letto, guarderete i quadri con occhi completamente nuovi. Riesce a essere scientifico e divulgativo insieme, senza mai rinunciare all’ironia né al rigore. Mostra come il corpo sia sempre stato un messaggero potente, anche quando ridotto a silenziosa figura dipinta. Perfetto per chi ama l’arte, ma anche per chi studia comportamento umano, sociologia, storia della cultura visiva.
In posa è molto più di una storia del ritratto: è un atlante culturale del gesto umano, un’enciclopedia visiva capace di restituire voce a ciò che, nel tempo, abbiamo smesso di ascoltare. Desmond Morris ci ricorda che il linguaggio del corpo è eterno, ma mai identico a se stesso: si trasforma, si maschera, si ripete, lasciandoci tracce che solo uno sguardo attento può davvero comprendere. Un libro da leggere, ma soprattutto da osservare, come si fa con un quadro che, improvvisamente, si anima sotto i nostri occhi.