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Carmelo Zaffora e la storia degli ebrei di Sicilia

Carmelo Zaffora, siciliano, psichiatra, pittore e poeta, รจ autore di Golem siciliano (Besa, 2006), storia di Simone lโ€™orafo, membro della comunitร  ebraica di Gangi, di un romanzo storico sul filosofo di origini ebraiche Avraham Ben Sโ€™hmuel Abulafi...

Carmelo Zaffora, siciliano, psichiatra, pittore e poeta, è autore di Golem siciliano  (Besa, 2006), storia di Simone l’orafo, membro della comunità ebraica di Gangi, di un romanzo storico sul filosofo di origini ebraiche Avraham Ben S’hmuel Abulafia, Le Confessioni di Abulafia (Vertigo, 2013) e di Theophanie (Carthago 2014).

 

Colpiscono sempre gli autori eclettici, che spesso svolgono professioni impegnative e hanno tanta energia vitale da dedicarsi anche a plurime espressioni creative. L’autore di questa settimana non solo esercita la sua attività di medico psichiatra, dirigendo un  Dipartimento di Salute Mentale, ma dipinge e pubblica poesie e testi impegnativi sugli ebrei siciliani. Mi sembra d’obbligo chiedergli innanzitutto se di tutte queste attività ce n’è una che considera come principale rispetto alle altre o se la gerarchizzazione è del tutto estranea al suo modo di vedere se stesso; e, subito dopo, se in ordine di tempo è venuta prima la pittura o la poesia.

L’arte in generale nasce da un’esigenza espressiva. Per me si tratta di un unicum all’interno del quale convivono vita pratica, esperienze esistenziali, vissuti personali, formazione culturale. Il mezzo espressivo attiene alla predisposizione individuale attraverso la quale la “voce narrativa”, sia essa visiva, poetica o del racconto, trova la strada. Nessuna arte è impersonale; l’artista attinge dal proprio sé ogni ispirazione che, congenialmente, viene collocata dentro la propria personale visione del mondo.

In ordine di tempo è arrivata la pittura, poiché ho avuto in dote naturale una buona mano per il disegno. Successivamente la poesia (La finta macchia, 1989, con prefazione di Dacia Maraini, Sikanie Poleis, 1994 e Ananke 1997 ) con interventi culturali molteplici e traduzioni all’estero.

 

 

In che cosa sono diverse, per te, la scrittura poetica e quella narrativa?

La poesia, credo, è equilibrio musicale trasformato in parola. La parola è suono, armonia, immaginazione e trasformazione. Ogni lettera deve trovarsi nel posto giusto, ogni frase possedere completezza e sintesi, ogni pensiero concorrere alla completezza armonica.

La prosa invece è più un lavoro di progetto, di disciplina, di ordine. Scrivere non è facile. Nella narrativa c’è più riflessione, meno spontaneità e più mestiere. Bisogna possedere il dono del sapere raccontare. Esistono persone che sanno  scrivere bene e non hanno niente da raccontare, altri hanno tante cose da raccontare ma non sanno scrivere. Tra questi due estremi si gioca la capacità di trasformare in arte una storia.

 

Sulla presenza degli ebrei in Sicilia hai già scritto due opere, Golem siciliano e Le confessioni di Abulafia. Come è nato il tuo interesse per queste tematiche e, in particolare, per i personaggi di Simone l’orafo, di Gangi, e di Avraham Abulafia, fiilosofo?

Una delle mie nonne, che non ho conosciuto, all’imbrunire di ogni venerdì accendeva due candele in direzione di Gerusalemme: era l’avvento dello shabbath. A distanza di secoli dall’editto di Granada del 1492, che decretò la drammatica fine delle 52 comunità dell’isola di Sicilia, in lei sopravviveva  la memoria dell’appartenenza. In questa abitudine si inscrive il mio interesse per l’ebraismo siciliano e per la damnatio memoriae a cui è andato incontro. Un uomo di cultura, penso, deve sapere cosa farsene del proprio sapere. Io l’ho reificato in questi due romanzi: Golem Siciliano, dedicato proprio alla tragedia derivata dall’Editto di Granada, e Le confessioni di Abulafia, centrato su  uno dei pilastri della mistica ebraica: Abulafia appunto, il quale trascorse gli ultimi dieci anni della sua esistenza in Sicilia, dove fondò numerose scuole di Kabbalah. Nella nostra terra scrisse i suoi libri più importanti che, dal  XIII secolo a tutt’oggi, arricchiscono la cultura sapienziale del mondo intero.

Il mio lavoro più recente, Theophanie, è una raccolta di racconti sul mito e la spiritualità siciliana, illustrate da Shoshannah Brombacher di New York.

 

Una persona di multiforme ingegno come te deve aver letto molto. Cosa ami leggere? Ci sono autori che consideri fondamentali nella tua formazione? Ti piace fare incursioni in libreria o sei almeno in parte da annoverare nella schiera dei lettori di ebook?

Elencare i libri formativi è arduo. Mi sovvengono Borges, Kavafis, Ritsos, Platone, Rilke, Dostoevskij, Miller, Hemingway, Oz, Singer, Mishima, lo Zohar o Libro dello splendore. Nelle librerie mi sento a casa e vi trascorro il mio relax esplorativo. Non sono ancora (e forse mai sarò) annoverato tra i fruitori di ebook. Mi piace la fisicità della carta, con la possibilità che il libro ti cada di mano, mi piace piegarlo per metterlo in tasca, scrivere a margine riflessioni o altro. Sarà un fatto romantico ma è così. Per le nuove generazioni, forse, queste preferenze non saranno più le stesse e quindi le biblioteche, come noi le intendiamo, probabilmente andranno a scomparire.

 

Progetti letterari in cantiere?

Un racconto su Baruch Spinoza che viene visitato da Leibniz  e un’altro sul dibbuk, lo spirito maligno che nell’ebraismo si incorpora in un’altra persona.

 

Grazie, Carmelo, per il tuo tempo e le tue risposte.

Lia Messina

 

24 gennaio 2015

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