Tutto quello che c’è da sapere su Butter, il romanzo sconvolgente di Asako Yuzuki
“Butter” è molto più di un romanzo: è un libro che s’ispira a una storia di true crime giapponese. Parla di donne, di standard estetici, di pressione sociale e grassofobia, ma anche, e soprattutto, d’immagine pubblica. “Butter” è una lente su ruoli di genere rigidi che, spesso, sfociano fino alla misoginia.
La “Konkatsu Killer”: il caso reale che ha ispirato il romanzo
La vera killer si chiama Kanae Kijima a cui è ispirato questo libro ha agito tra il 2007 e il 2009 uccidendo ben tre uomini in Giappone. È stata la stampa a soprannominarla “Konkatsu Killer”, perché incontrava le sue vittime attraverso siti di incontri e agenzie matrimoniali on-line, e “konkatsu” significa appunto “caccia al matrimonio”.
I tre casi hanno destato particolarmente attenzione perché tutti e tre gli uomini sono stati ritrovati morti per “incidenti” domestici che, a un’indagine più approfondita, si sono rivelati omicidi. Arrestata nel 2009, Kanae Kijima è stata incriminata per omicidio multiplo e condannata all’ergastolo nel 2012, confermato poi dalla Corte Suprema giapponese nel 2017.
Ma a ispirare l’autrice del libro non è stato tanto questo, bensì la narrazione mediatica che hanno fatto del caso e il suo aspetto fisico.
Era descritta come una donna “grassa”, “poco attraente”, “ingorda”, in contrasto con l’immaginario della femme fatale, e i giornali insistevano sul fatto che cucinasse piatti ricchi e pieni di burro, trasformando il cibo in un simbolo della sua “perversione” e della sua immoralità.
Il caos in Giappone e nel mondo
Il caso ha dunque acceso un dibattito sulla misoginia nei media giapponesi, che sono stati accusati di grassofobia: era possibile giudicare la donna per il corpo e l’appetito che mostrava, o che presumibilmente aveva, piuttosto che per i crimini commessi? Inaudito.
Parallelamente è emersa la questione della solitudine maschile in Giappone: uomini che cercano moglie attraverso siti internet, segno di un mercato matrimoniale regolato come un business. Ma non sono i soli e non accade solo in Giappone: recentemente, in Corea scoppia un altro scandalo che riguarda la solitudine maschile — Sorella Hong — e in Italia sale il numero di Incel.
La storia di una giornalista e delle sue ambizioni
Rika Machida è una giornalista che lavora per Tokyo Weekly, una rivista maschile dove lei risulta effettivamente come l’unica donna in redazione e, purtroppo, viene spesso sminuita, trattata come fosse una segretaria anziché una professionista.
Dopo lunghe notti di lavoro, Machida torna a casa esausta e spesso solo con un ramen preconfezionato come cena: tutti sforzi che non vengono nemmeno considerati dalla redazione. Ma c’è un’ossessione che la accompagna, e questa le basta per andare avanti. Ottenere un’intervista con Manako Kajii, cuoca gourmet accusata di aver ucciso alcuni uomini d’affari con cui aveva rapporti sentimentali, avvelenandoli a loro insaputa dopo averli sedotti con la sua cucina raffinata e domestica.
Tuttavia, Manako rifiuta interviste e visite… ed è solo con lo stratagemma di Reiko, la sua migliore amica, che Rika, trova un aggancio curioso: chiedere alla serial killer la ricetta di uno stufato di manzo, l’ultimo pasto di una delle vittime.
Tra le visite in carcere e lo scambio culinario, la relazione delle due si sviluppa come una masterclass gastronomica, più che come mera ricerca giornalistica. Machida, pur inizialmente attratta dalla storia professionale, si ritrova a cambiare e scopre piacere nel cibo, nella trasgressione, nel lasciarsi andare a desideri che fino ad allora aveva represso.
Nel frattempo emergono altre situazioni. “Butter” esplode come una stella: misoginia, aspettative sociali, standard di bellezza, giudizi morali, vergogna, rigidità culturali che opprimono soprattutto le donne…
“Butter”, il burro come metafora
Asako Yuzuki ha spiegato in diverse interviste che il titolo è stato scelto per più ragioni, ma prima bisogna capire qual è il significato che viene dato al burro nella tradizione giapponese: una pietanza pesante, voluttuosa, troppo grassa. Il burro, per i giapponesi, è associato al piacere. Il piacere del cibo, il grasso vero e proprio. Una pietanza con il burro è una pietanza saporita, non magra, che farà ingrassare chi la mangia, diversa dal riso in bianco, considerato delicato, pulito e salutare.
Manako Kajii, la cuoca accusata degli omicidi, prepara piatti ricchi, cremosi, pieni di sapore: il burro diventa quindi il simbolo della scelta di abbandonarsi al gusto, di trasgredire alle regole dietetiche e culturali che impongono moderazione, leggerezza e magrezza alle donne.
È così che la scelta di Asako Yuzuki ricade sulla parola “Butter” per un atto di ribellione, per riflettere l’eccesso proibito, ma anche la libertà, il piacere, la colpa e anche tutte quelle donne che, nel suo paese, continuano a “castrarsi” con la dieta tradizionale pur desiderando fare un solo sgarro per il timore d’ingrassare, degli sguardi altrui.
Ma, e lo ricordiamo di nuovo, “Butter” diventa anche un parallelo con il caso di Kanae Kijima e con le dicerie dei media. Se non avesse sentito tutte le loro critiche, non avrebbe avuto la scintilla per cominciare a scrivere.
Critica e ricezione
The Guardian (Josh Weeks) fa notare come Butter esplori la grassofobia, la misoginia, e il modo in cui il cibo – la cucina gourmet o piatti ricchi – diventa al contempo piacere, trasgressione e causa di giudizio.
Financial Times evidenzia che il libro mette in scena l’ossessione, l’identità femminile, e come il desiderio e il cibo possano trasformarsi in atti di ribellione. Tuttavia, segnala che il romanzo spesso rischia di diventare superficiale nell’approccio al “true crime” o nella caratterizzazione di chi indaga.
Gamobu (italiana) apprezza la scrittura intensa di Yuzuki, la capacità di far sentire autentiche le pressioni a lavorare male, a sacrificare il sé per soddisfare le aspettative altrui. Elogia le riflessioni su come il peso del giudizio (sul corpo, sul ruoli di genere) segni profondamente le vite dei personaggi.
Standard estetici
In Giappone, come in generale accade in tutti i paesi asiatici più che in occidente, si ha una forte stigmatizzazione del grasso corporeo. Le donne subiscono una pressione forse maggiore degli uomini sotto quest’epoca punto di vista: devono essere belle, precise, impeccabili, e raggiungere degli standard impensabili, ricorrendo spesso e volentieri alla chirurgia estetica per assomigliare al modello di idol da copertina.
Chi ingrassa viene tacciata di essere disattenta, sciatta, brutta e via discorrendo. Nel libro, Manako Kajii viene continuamente additata per il suo corpo e anche la protagonista, una volta scoperta la libertà nel cibo, si trova a dover far fronte a questo difficile pensiero ormai radicato nell’immaginario comune.
Misoginia e ruoli di genere
Lo abbiamo già detto all’inizio: Rika Machida lavora sodo e si stanca fino allo stremo delle forze; è una donna piena di potenzialità, che però viene relegata a un ruolo inferiore da chi le sta attorno. La concezione deriva da un’immaginario comune di stampo patriarcale: le donne devono essere dolci, docili, devote e con la testa bassa. Senza contare che, per la società, il successo professionale si misura anche in base alla femminilità, alla disponibilità emotiva, alla bellezza e all’immagine pubblica; non a caso il fidanzato di Rika, inizialmente, le dice “Gli uomini che ingrassano sono diversi dalle donne che ingrassano”.
Una lettura necessaria
“Butter” è un libro che resta: un true crime, ma anche una lettura che libera i canoni estetici e un’indagine su cosa significa essere donna oggi, mangiare e piacersi. Perché non sempre “magro è bello” e non sempre “grasso è bello”: l’importante è che sia sano e che non ci sia nessuno a imporci il suo sguardo addosso.
Il libro riflette la società. Le ingiurie, le ingiustizie, gli omicidi e le costrizioni. Fa riflettere su come in ogni parte del mondo, ancora oggi, le donne siano poste sotto una lente severa e su come la libertà di corpo, desiderio e gusto possa diventare atto politico.