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Bruno Tognolini, ”L’amore e la curiosità per i libri contagiano i più piccoli”

Il poeta Bruno Tognolini, protagonista e organizzatore del Festival Tuttestorie di Letteratura per ragazzi, racconta perché ha scelto di scrivere poesie per bambini e ragiona sull'importanza di testimoniare ai più piccoli l'amore per i libri...

Il poeta spiega perché ama scrivere per i bambini, parla della sua attività e di come catturare la curiosità dei più piccoli per i libri

 

CAGLIARI –Ai bambini che glielo domandano, risponde che da grande avrebbe voluto fare l’esploratore di terre sconosciute. E in fondo il suo lavoro non è molto diverso: con le sue poesie-filastrocche Bruno Tognolini esplora l’incanto che le parole sono in grado di creare. Il poeta, protagonista e organizzatore del Festival Tuttestorie di Letteratura per ragazzi, racconta perché ha scelto di scrivere poesie per bambini e ragiona sull’importanza di testimoniare ai più piccoli l’amore per i libri. 

 

Come nasce la sua passione per la letteratura per l’infanzia? Perché ha scelto di rivolgersi, come autore, ai più piccoli?
Come in tante scelte umane, confluiscono in questa casualità e intenzione. Dopo aver concluso il Dams, lavoravo come drammaturgo in una compagnia di Bologna e scrivevo pezzi tragici e tristissimi. Non avevamo però nessun riscontro di pubblico, nessun successo. Decidemmo allora, per poter sopravvivere, di iniziare a fare teatro ragazzi: in quel campo si gira di più, ci sono più piazze da coprire e più repliche da fare. È stato questo il caso cha ha fatto sì che scoprissi la mia passione per le storie “storiose”, avventurose, piene di avvenimenti, avvincenti: scrivere queste storie mi divertiva molto di più che scrivere pièce teatrali dove la dimensione della storia era negata. L’altro motivo per cui questo genere mi ha subito catturato è che potevo scrivere in rima, in metro, cosa che ho amato da sempre e che non si può fare in nessun altro campo. Detto ciò, l’equilibrio tra casualità e predestinazione è molto precario, difficile da determinare. Quando racconto questa storia ai bambini faccio il classico esempio del bosco, dove ci si perde. Si vaga alla cieca, finché all’improvviso non si vede una luce in lontananza: non si sa se sia una reggia o la casa dell’orco, ma si va in quella direzione. Per me è stato così: si è accesa la lucina del teatro ragazzi, le sono andato incontro e ho trovato una reggia.

 

Che caratteristiche stilistiche deve avere una poesia rivolta ai bambini? Come si può insegnare ai bambini l’amore per la poesia?
Io mi guardo dalla categorie corporative: mi sono trovato spesso in dissenso con teorizzazioni su cosa possa o non possa essere la poesia. Io posso dire solo come dev’essere la mia poesia per bambini. Ci sono categorie e stilemi che ho capito solo dopo anni che scrivevo: sono “trascrizioni” più che prescrizioni, seguono il fare, non lo precedono. Innanzitutto mi sono accorto che mi veniva spontaneo evitare termini aulici o poco frequenti: uso parole semplici, di tutti i giorni, è la composizione poi che fa l’incanto. L’altro stilema cui mi attengo è la musicalità, il ritmo, la metrica. Io sono solito dire che scrivo filastrocche, che rispetto alla poesia hanno una componente metrico-strofico assai rigida, sono scritte a metronomo. Le mie specialmente sono molto squadrate, altri poeti mi hanno espresso anche delle riserve su questo aspetto. Sono filastrocche scandite secondo un ritmo preciso, che dà molta importanza al suono della parola, risultato che si ottiene attraverso l’esercizio artigianale del proprio strumento. Bisogna riempire i propri versi, anche in maniera inconsapevole, di figure retoriche – chiasmi, allitterazioni, omoteleuti… Io non mi rendo conto di applicarle, ma quando ottengo da un verso la giusta sonorità vuol dire che sono presenti. La mia poesia “Il disegno” comincia così: “ Se voglio fare ciò che mostra l’occhio/Sul foglio appare un mostro scarabocchio”. Se si analizza questo distico, ci sono rime interne, rimandi. Per me il lavorio tecnico interno di poetica e retorica è importantissimo. Le filastrocche fanno quell’impressione di semplicità che viene solo dalla complessità artigianale riuscita.

Oltre che protagonista, lei è anche uno degli organizzatori del Festival Tuttestorie: eventi come questo sono efficaci nell’avvicinare i più piccoli al mondo dei libri e della letture? Come si può suscitare la curiosità dei bambini  nei confronti di questo mondo?
Possiamo trasmettere curiosità e amore ai bambini provando e mostrando, noi per primi, curiosità e amore. Bisogna provare piacere e trovare le forme per metterlo in mostra. Quello che si fa in questo festival. Le facce di chi costruisce gli eventi, la scenografia, l’impianto, la drammaturgia, sono divertitissime, anche se è impegnativo. Ma è una “fatica felice”, che contagia chi sta attorno. Ogni anno mi prendo la briga di girare per i luoghi del festival ad attaccare lo spago cui appendere i contributi poetici dei bambini, i loro pensieri sui temi proposti, stampati su fogli A3: è una fatica, ma è anche un piacere. C’è un’aria bella a questo festival, c’è un’aria di festa. E se i bambini vedono che in un ambiente pieno di libri ci sono questa allegria e questo piacere esplicito, l’idea di felicità resta associata ai libri nella loro testa.

Ci può citare un libro fondamentale della sua infanzia che consiglierebbe a un piccolo lettore?
Mi hanno fatto questa domanda al Festivaletteratura di Mantova, dove ogni autore doveva portare un libro che aveva tanto amato da bambino. È stato difficile decidere, ma alla fine ho scelto “Zanna bianca” e “Il richiamo della foresta” di Jack London. Era da quando ero bambino che non li aprivo: ho ritrovato la mia passione di allora. In questi libri c’erano scontri e azzannamenti tra animali che a me incantavano moltissimo: era come se le bestie dell’anima, che per i bambini prendono forma di animali, fossero messe in scena a combattere, a salvarsi, ad amarsi, con una forza eccezionale. Quando poi i bambini mi chiedono cosa volessi fare da grande, mi viene in mente un altro libro, di cui però non ricordo il titolo, che parlava dell’esplorazione dell’Africa da parte del capitano Livingstone. Ricordo appunto che quando ero bambino volevo fare l’esploratore di terre sconosciute: in fondo il mio mestiere, dico sempre, non è molto diverso.

 

4 ottobre 2012

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